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L'illuminismo è un movimento
culturale che si sviluppa nel XVIII secolo. Esso consiste anzitutto in uno
specifico modo di rapportarsi alla ragione; l'Illuminismo è l'impegno di
avvalersi della ragione in modo libero e pubblico ai fini di un miglioramento
effettivo. Gli illuministi ritengono infatti che l'uomo, pur avendo quel bene
che è l'intelletto, non ne abbia, nel passato, fatto il debito impiego; di
conseguenza tale movimento segna l'uscita dell'uomo dalla stato di minorità che
egli deve imputare solamente a sé stesso. Sapere aude significa per gli
illuministi assumere un atteggiamento di battaglia contro il pregiudizio, il
mito, la superstizione e contro tutte quelle forze che hanno ostacolato il
libero uso dell'intelletto e della crescita mentale dei vari individui: le
autorità, il potere politico, le religioni ecc. Quindi questo concetto
dell'Illuminismo come lume rischiaratore delle tenebre implica una mutata
interpretazione dell'intellettuale e del suo compito. Il filosofo non è più il
sapiente avulso dalla vita, ma un uomo in mezzo ad altri uomini e che si rende
utile. Egli ha il compito di stimolare le altre persone nell'opera di
divulgazione culturale.
Illuminismo e borghesia:
l'Illuminismo non nasce dal vuoto, ma manifesta un legame con la civiltà
borghese, ovvero con quella classe sociale che dal 500 in poi è apparsa
economicamente in espansione e politicamente in ascesa. Visto da un certo punto
di vista si può dire che l'Illuminismo si configuri come l'espressione del
processo di avanzamento della stessa borghesia. Infatti, se la civiltà comunale
aveva celebrato l'intellettuale laico in contrapposizione a quello
ecclesiastico, se l'Umanesimo aveva onorato il filosofo amante dei classici, se
il Rinascimento aveva magnificato il cortigiano colto e raffinato, l'Illuminismo
si rispecchia nelle figure del filosofo e del mercante, esplicitando quindi i
suoi modelli di tipo borghese.
Illuminismo e
Rinascimento: l'Illuminismo si configura come continuazione ideale del
Rinascimento. La celebrazione dell'individuo, la difesa della sua dignità,
l'avversione per il Medioevo ritornano nel pensiero settecentesco. Ma sebbene
tale periodo si possa definire un secondo Rinascimento, notiamo comunque delle
differenze tra i due: in particolar modo l'Illuminismo ha dei tratti di
originalità rispetto al 500. Si crede in una rinascita antropologica, ma la si
intende unicamente come riscatto operato dall'uomo per l'uomo. Egli diviene il
fabbro totale della propria sorte e in tale contesto la ragione trova in sé
stessa i principi del conoscere e dell'agire, atteggiandosi a basilare criterio
direttivo della vita.
Illuminismo, razionalismo ed
empirismo: l'illuminismo è anche l'erede delle due grandi scuole
filosofiche dell'età moderna: il razionalismo e l'empirismo. Il razionalismo,
iniziato da Cartesio, stabilisce che si debba accettare per vero solo ciò che
appare alla mente in modo evidente. L'Illuminismo ha sicuramente dei legami con
tale teoria, ma si contraddistingue per una rigorosa limitazione della ragione
nel campo dell'esperienza. Di conseguenza la ragione non può fare a meno
dell'esperienza, perché è una forza che si nutre di essa. Da questa teoria, che
è alla base dell'empirismo, si potrebbe pensare che l'Illuminismo ne sia una
continuazione; ma anche da esso egli ha delle diversità: il concetto
illuministico di ragione si differenzia da quello empiristico per una maggior
fiducia nei poteri intellettivi dell'uomo.
Illuminismo e
religione: l'Illuminismo appare fortemente critico nei confronti della
religione e in particolar modo nei confronti delle grandi fedi storiche
dell'umanità: ebraismo, cristianesimo ed islamismo e giudica Mosè, Cristo e
Maometto come les trois imposteurs. Tale ostilità nei confronti della religione
nasce da diverse cause: 1) da una mentalità razionalistica, che
non riconoscendo altro criterio di verità all'infuori della ragione e
dell'esperienza, misconosce il concetto di rivelazione, ritenendo che i dogmi
siano credenze anti-razionali;
2) da una teoria secondo la
quale sono state le varie religioni del mondo a tenere i popoli nell'ignoranza e
nella servitù;
3) dalla convinzione che la ragione vuole la
felicità e che la religione, imbrogliando i popoli, li abbia intristiti con il
senso del peccato, della morte, e del castigo.
Nell'ambito della critica
illuministica alla religione si contraddistinguono due filoni: uno più moderato,
deista, e uno più estremista, ateo.
Il deismo, distinguendo fra natura e
storia, ragione e superstizione, crede in una religione naturale ed immutabile,
fondata su verità comuni a tutti gli uomini. Per gli illuministi questa forma di
religione risulta la sola capace di garantire l'autonomia dell'umano e la realtà
di una Mente superiore. All'interno di tale concezione il dogma è un complesso
di credenze superflue; il culto è un insieme di pratiche di origine magica; la
classe sacerdotale è un usurpazione ai danni della comunità dei fedeli.
L'ateismo trova i suoi rappresentanti più importanti in Meslier e D'Holbach. La
corrente atea, a differenza di quella deista che scinde dalla religione un
momento fisiologico ed uno patologico, ritiene che la religione sia di per sé un
fenomeno patologico ed irrazionale, che non sgorga dall'intelletto, ma da
fattori quali l'interesse e la paura. Meslier appare decisamente favorevole ad
un'interpretazione del fatto religioso in chiave politica, ritenendo che la
sottomissione al Monarca divino non sia altro che una manovra per sottomettere i
popoli ai monarchi umani. D'Holbach appare invece propenso a ricercarne
l'origine soprattutto nel timore e nel disagio dell'uomo di fronte all'universo.
Ma se la ragione affonda le sue radici nella paura e nell'irrazionale, la
ricerca deista di una religione razionale appare una contraddizione, perché dove
vince la paura non può vincere il raziocinio e viceversa. Quindi se Dio è una
falsa immagine all'interno della nostra mente, l'unica verità è da ricercarsi
nel mondo reale, ossia nella natura.
Illuminismo e mondo
storico: il rapporto tra storia e Illuminismo rappresenta uno degli
argomenti più discussi dagli studiosi. Tale argomento è formato da più
questioni: la storia vista in generale, la storia nel passato e quella nel
presente e nel futuro. Nella storia prima dell'Illuminismo ci si identificava in
un modo tipicamente ebraico-cristiano. Solo con il pensiero del 700 abbiamo il
distacco dal modello teologico-provvidenzialistico, sebbene Machiavelli e
Guicciardini avessero delineato un modo laico di vedere la storia. Infatti fino
al secolo XVIII gran parte della cultura ufficiale aveva continuato a
presupporre la nozione di un Dio autore del mondo delle nazioni. Con
l'Illuminismo francese e con Voltaire in particolare, comincia a farsi strada la
persuasione che l'uomo sia l'unico soggetto della storia con tutti i suoi
sforzi, errori, e successi. Il Dio degli illuministi cessa di essere l'autore
dell'universo storico, ma si configura come puro garante del cosmo fisico. Per
quanto riguarda la storia nel passato e nel presente, ci troviamo di fronte ad
un bifrontismo illuministico, in quanto il passato è visto in un ottica
negativa, mentre il presente in una ottimistica. La storia, nel passato, secondo
gli illuministi è stata vissuta per lo più in condizioni negative,
configurandosi come una miriade di irrazionalità, ignoranza, superstizione ecc.
Perciò alla mentalità cristiana che vede nella storia la mano segreta di Dio,
l'Illuminismo contrappone una visuale apertamente critica e polemica, basata
sulla constatazione che la ragione non conosce sé stessa nella storia. Da questa
forma di pessimismo storico, si ha la contrapposizione fra homme naturel e homme
artificiel che porta alcuni scrittori ad idoleggiare la felicità preistorica da
cui l'uomo sarebbe decaduto, sia la forma del mito del buon selvaggio. Questa
visione primitivistica è comunque importante perché esprime quel disagio verso
la storia del passato che è tipica del 700.
Ma la forma più specifica in cui
si identifica il pessimismo storico degli illuministi è invece l'anti-
tradizionalismo: alla mentalità comune, secondo la quale una credenza che sia
stata accettata per vera nel passato lo sia anche nel presente, si oppone la
critica per cui la patente di antichità non è mai contrassegno di verità. Anzi,
gli illuministi ritengono che l'appello alla tradizione sia stato uno dei tanti
modi disonesti ed ingannatori per giustificare e tenere in piedi credenze
irrazionali. Ma un tale attacco serrato sulla storia passata, non toglie che vi
siano stati comunque dei momenti felici, che a detta di Voltaire sono l'età di
Pericle, di Cesare e Augusto, del Rinascimento e di Luigi XIV. In rapporto alla
storia presente e futura, l'Illuminismo tende ad assumere un tono fiducioso ed
attivistico. Ecco perché se si è parlato di pessimismo adesso si parla di
ottimismo. Infatti, nello stesso momento in cui distrugge, l'Illuminismo è
pronto a costruire. Riguardo il presente e il futuro gli illuministi sono
fiduciosi e speranzosi di poter trovare l'uomo al di là della storia, ossia la
persuasione di poter edificare, sulle rovine del passato e tramite la ragione,
un mondo nuovo e a misura d'uomo.
Quest'atto di fiducia nei confronti della
storia e delle sue possibilità di riscatto, costituisce il presupposto di fondo
dell'attivismo illuministico che si concretizza in una visuale della storia come
processo di incivilimento. Questa dottrina della storia come storia della
civiltà si basa sulla connessione ragione-civiltà, in quanto l'avanzamento
storico è condizionato dalle conquiste della ragione, e si radica sul concetto
della storia come sforzo di progresso da parte dell'uomo. Tale maniera di
interpretare il mondo storico trova delle tendenze anche nella
storiografia.
La storiografia tradizionale incentrata sulla dimensione
politica, diplomatica e militare viene ampliata da quella illuministica che si
propone di considerare anche la vita economica, il progresso scientifico ecc.
L'Illuminismo è stato nel corso dei secoli accusato di antistoricismo, così
tanto che è quasi diventato un luogo comune. Ma ciò non è esattamente vero.
Le domande che nascono spontanee riguardo questo argomento sono due: perché
è nato tale concetto? E da quali accuse? La qualifica di antistoricismo
illuministico nasce in un ambiente romantico e rappresenta un accusa coniata dal
Romanticismo per muovere guerra alla filosofia dell'Illuminismo. Infatti il
Romanticismo professa nei confronti della storia una concezione diametralmente
opposta a quella degli illuministi perché basata sull'idea di un ordine
provvidenziale e necessario che regge gli eventi.
Le accuse sono le seguenti:
1) l'Illuminismo avrebbe ignorato il mondo della storia.
Questa ipotesi denuncia una mancanza d'informazione riguardo questo periodo,
perché oltre ad essersi interessato alla storia, ha pure elaborato quel concetto
che la vede come cammino della civiltà.
2) l'Illuminismo
avrebbe negato in blocco il passato. Ma sappiamo che ciò non è avvenuto dal
momento che tale pensiero non ha eliminato tutto il passato ed anzi ha
identificato all'interno di quello dei momenti felici.
3)
gli illuministi avrebbero riconosciuto alcune strutture antropologiche
permanenti e sarebbero rimasti legati alla concezione naturalistica della
ragione come insieme di criteri validi. Ma se bastasse questo a far emettere il
verdetto, allora quasi tutto il mondo occidentale dovrebbe essere
antistoricista. Inoltre anche al giorno d'oggi si ammette l'esistenza di alcune
strutture costanti.
4) l'Illuminismo avrebbe ignorato il
concetto di svolgimento, ossia la continuità tra passato, presente e futuro. Ma
l'Illuminismo non ha affatto misconosciuto questo dato, ma ha semplicemente
reputato che, sebbene il passato prema sul presente, l'uomo può ribellarsi ad
esso, progettando un futuro diverso.
5) l'Illuminismo
anziché rapportarsi al passato come passato, avrebbe giudicato il passato alla
luce del presente, valutandolo sulla base dei criteri della mentalità
settecentesca. Qui, l'errore(se errore vi è) dell'Illuminismo non è tanto l'aver
giudicato il passato, bensì di non aver saputo distinguere a sufficienza fra
l'esigenza di comprendere il passato il più oggettivamente possibile ed il
bisogno di valutarlo criticamente.
Ma da ogni accusa può sempre partire una
contro accusa: infatti la contro accusa decisiva e capitale risiede nella messa
in luce di quanto sia antistoricistico giudicare l'Illuminismo sulla base della
propria concezione della storicità.
Illuminismo e politica: una delle altre caratteristiche salienti
dell'Illuminismo è l'attenzione per i problemi politici. L'uomo, nel corso del
tempo, ha subito un processo di alienazione e di smarrimento, per cui gli
illuministi hanno ingaggiato una sorta di battaglia per restituirlo a sé stesso,
tramite una modifica della vita nella globalità dei suoi aspetti economici,
giuridici, culturali ecc. Gli illuministi, alla teoria millenaria della politica
come arte di offesa e difesa, contrappongono l'idea di una politica al servizio
dell'uomo. Come nel campo religioso vi era la contrapposizione fra religioni
naturali e religioni positive, così nel campo politico vi è la distinzione tra
diritto naturale e diritto positivo.
Il concetto di diritto per gli
illuministi cessa di essere un'astratta proclamazione di principio per divenire
un'idea-forza capace di smuovere le energie sociali degli individui. Fra i
diritti più difesi dagli illuministi vi è innanzitutto la felicità. Essa viene
intesa come quella forza che consente agli uomini di soddisfare i propri bisogni
materiali e spirituali.
Gli illuministi reputano che la guerra e le contese
tra gli Stati siano mali dai quali l'umanità deve liberarsi. Di conseguenza,
essi auspicano il superamento delle barriere nazionali e vedono nella fraternità
degli individui la condizione di un'umanità vivente sotto la guida della ragione
e della scienza. E siccome fa parte della nozione di felicità anche il benessere
e la lotta contro la miseria, gli illuministi da un lato incoraggiano le
industrie e i commerci e dall'altra si fanno cultori delle scienze economiche e
sociali. Quest'ideale della pubblica felicità costituisce l'idea madre della
politica illuministica.
Fra gli altri diritti difesi dagli illuministi ve ne
sono tre: l'eguaglianza, la libertà, la tolleranza. La proclamazione
dell'eguaglianza degli uomini rappresenta una delle idee più importanti
dell'Illuminismo che giudica gli individui uguali per natura in quanto
accomunati dalla ragione. L'aspetto specifico dell'eguaglianza è quello
dell'eguaglianza dei diritti da parte delle persone. Tale concetto si è espresso
nella rivendicazione politico-giuridica della parità di tutti i cittadini di
fronte alla legge e nella lotta della borghesia contro i privilegi della
nobiltà. Inizialmente però tale ideale non si accompagnò né all'idea di
eguaglianza democratica né all'idea dell'eguaglianza sociale.
Un altro
basilare diritto difeso dagli illuministi è quello di libertà, intesa come
libertà dall'invadenza del potere politico e da ogni forma di assolutismo
pratico e teorico. Questa battaglia, capeggiata da Voltaire, si è indirizzata
soprattutto contro il dispotismo della Corona e della Chiesa cattolica e si è
concretizzata nella salvaguardia della libertà di pensiero, di parola e di
stampa. A questa forma di liberalismo però è rimasta estranea l'idea del
concetto di libertà come partecipazione, che sarà poi teorizzata da Rousseau.
Parte integrante della libertà civile è il rigetto del fanatismo e il
riconoscimento della tolleranza. Se il fanatismo è la vittoria del dogmatismo,
la tolleranza è l'accettazione del diverso.
Questa esigenza del rispetto
reciproco ha rappresentato uno dei fondamenti della delineazione dello Stato
laico, ossia di uno Stato che si propone di salvaguardare l'autonomia delle
istituzioni dall'invadenza ecclesiastica, e si pone anche come garante
dell'eguaglianza di tutte le religioni del mondo. L'Illuminismo sostiene anche
il concetto di Stato di diritto, secondo la tesi che non devono governare gli
uomini, bensì le leggi, cioè strumenti capaci di garantire i diritti degli
individui e di impedire forme di dominio personale. All'interno di queste idee
generali, sono sorte alcuni correnti di pensiero, principalmente in Francia. Gli
illuministi francesi possono venir distinti e classificati sia in relazione alla
radicalità delle riforme da loro proposte, sia in relazione al metodo per
metterle in atto.
Una terza tendenza è quella che propone riforme borghesi
più avanzate e delinea programmi di mutamento della società. In relazione ai
metodi politici, i philosophes parigini apprezzano la prospettiva del dispotismo
illuminato, ossia che partendo da un ordine naturale oggettivo, il legislatore
deve solamente riconoscere le sue leggi ed applicarle.
Su questa base, Le
Mercier distingue due tipi di dispotismo: uno legale, l'altro
arbitrario. Mentre il secondo poggia sull'opinione e sulla passione e risulta
cattivo, il primo si fonda sulla ragione e sull'evidenza delle leggi e risulta
buono. Ma per la realizzazione di tale compito è necessario un sovrano unico,
che sappia individuare le leggi a vantaggio dei sudditi. Tuttavia, le critiche
mosse da Mably(secondo cui il concetto di un dispotismo legale è una
contraddizione perché se un governo è dispotico, finirà comunque nell'arbitrio),
segnano la decadenza di tale teoria e l'affacciarsi, con D'Holbach, di critiche
sui governi autoritari e lo sviluppo di istanze liberali e borghesi. Tale
moderatismo si tramuta però in radicalismo con Rousseau, che teorizzerà l'idea
della sovranità popolare.