La vita
Galileo Galilei nasce a Pisa il 15
Febbraio 1564, 21 anni dopo la morte di Copernico. S’iscrive allo studio di Pisa
nel 1581 per ottenere la laurea in medicina, ma interrompe gli studi per tornare
a Firenze dove viveva la sua famiglia. Otto anni dopo la sua iscrizione diventa
lettore di matematica allo Studio pisano. Nel 1592 comincia il lungo periodo
dell’insegnamento di matematica a Padova, dove scopre la e la forma parabolica
del moto dei proiettili. Nel 1609 perfeziona e usa il "telescopio". Pubblica il
nel 1610. L’anno successivo Galileo Galilei viene ascritto all’Accademia dei
Lincei, fondata da nel 1603. Comincia tra i due un sodalizio che durerà fino al
1630 (morte di Federico Cesi). Nel 1609 l’Università di Padova riconferma a
Galileo l’incarico come lettore di matematica, ma nel 1610 torna a Firenze come
"matematico e filosofo" del Gran Duca di Toscana.
Già nel 1604 aveva tenuto
una conferenza sulla comparsa di una "stella nuova", in cui sosteneva dei punti
di vista quanto mai scomodi per la cultura di quegli anni. Il primo consisteva
nell’affermare che un problema astronomico è risolubile solo sulla base di
misure, non di considerazioni metafisiche. Il secondo portava a demolire la
diffusa opinione secondo cui era fondamentale, anche per uno scienziato,
conoscere l’essenza delle stelle. Le opinioni di Galileo erano pertanto
aspramente criticate. Le sue affermazioni erano in evidente contrasto con
l’interpretazione letterale di taluni passi delle Sacre Scritture e l’autorità
religiosa cominciò a preoccuparsi. Galileo allora nel 1615 scrive la. Nel 1616
il Cardinale Roberto Bellarmino convoca Galileo nella sua abitazione e, a nome
del Papa, gli fa divieto di professare l’opinione "che il Sole sia al centro del
Mondo e immobile mentre la Terra si muoveva: non doveva professarla in nessun
modo né inserirla o difenderla a voce o con gli scritti, altrimenti contro di
lui si sarebbe proceduto nel Sant’Uffizio". Quasi contemporaneamente la,
proibisce i libri di Copernico "De revolutionibus orbium coelestium".
L’ammonizione era esplicita e perentoria, cosicché accade che uno dei lincei,
Luca Valerio, colto da scrupoli religiosi, chiede di uscire dalla comunità
lincea.
Federico Cesi reagisce energicamente a quella provocazione.
Riunisce, il 24 Marzo 1616, un’adunanza tra i lincei più qualificati, che, alla
presenza di Galileo, decreta severe sanzioni nei confronti del "fratello" non
solidale.
C’è rimasta in un piccolo codice dell’archivio Linceo la minuta del
verbale di quella adunanza stilata dal cancelliere Giovanni Faber in una
scrittura corrente quasi indecifrabile, irta d’abbreviazioni pressoché
stenografiche, stilata nel "ductus" ermetico dell’antico corsivo gotico. Nel
1623, a cura dell’Accademia dei Lincei, si stampa a Roma.
Nove anni dopo a
Firenze viene pubblicato "il Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo".
L’ostilità verso Galilei, che i avevano coltivato sin dai tempi de "il
Saggiatore", il rancore dei filosofi "in libris", le gravi difficoltà politiche
che assillavano il regime papale, scatenano grandi polemiche e denunce. Il Papa
Urbano VIII, accusato da più parti d’essere troppo aperto nella cultura e troppo
debole nei confronti dell’eresia, sceglie Galileo come capro espiatorio. Il
"Dialogo", fu inviato alla congregazione del Sant’Uffizio e l’autore
nell’ottobre del 1632 riceve a Firenze l’ordine di recarsi entro trenta giorni a
Roma, presso il commissario dell’.
Malgrado le precarie condizioni di salute,
viene a Roma per il processo, in seguito al quale viene condannato all’abiura e
al carcere, con la proibizione del "Dialogo". La condanna al carcere viene
commutata dal Papa prima in una vincolata dimora Trinità dei Monti a Roma, poi a
Siena e finalmente ad Arcetri dove muore nel 1642, ormai cieco e
malato.
OPERE
1. - 1610 - "SIDEREUS NUNCIUS"
2. - 1615 - "LETTERA
A CRISTINA DI LORENA"
3. - 1623 - "IL SAGGIATORE"
4. - 1632 - "DIALOGO
SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO"
1. Dedicato a Cosimo dei Medici,
questo libro di poche pagine, esercitò un ruolo fondamentale nella cultura del
‘600. Contiene tutte le scoperte al telescopio e quindi le prove sperimentali
dell’.
2. In questa magnifica lettera è affrontato da Galileo lucidamente lo
spinoso problema della pretesa incompatibilità dell’eliocentrismo con le Sacre
Scritture: "non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o
stia fermo, né se la sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in
piano, né se la Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda, non avrà,
manco avuta intenzione di renderci certi d’altre conclusioni dell’istesso
genere. . . quali sono il determinar del moto e della quiete di essa Terra e del
Sole. . .". Egli così voleva conciliare la Teologia, massima depositaria delle
verità "de fide" e l’Astronomia, vista come depositaria delle verità "de rerum
natura".
3. E' l’opera più elegante e vivace da un punto di vista letterario,
in cui Galileo traccia una nuova teoria della conoscenza e dove ribadisce
l’importanza di un metodo scientifico razionale e sperimentale. Essa prende
l’avvio da una disputa astronomica con il gesuita O. Grassi - il titolo deriva
dalla bilancetta di precisione (Saggiatore) con la quale gli orefici "saggiano"
l’oro - (il nuovo metodo) contrapposta alla grossolana stadera (libra) con cui
il Grassi pesa le opinioni proprie e altrui (scienza libresca fondata sui libri
antichi e sul ragionamento astratto).
4. Il trattato ha la forma di un
dialogo e si svolge, in quattro giornate, tra F.Salviati, G.F. Sagredo,
sostenitori entrambi del sistema copernicano, e Simplicio, filosofo
aristotelico, difensore del sistema tolemaico. Temi principali del Dialogo sono
la concezione copernicana, l'autonomia della ragione umana, l'affermazione del
nuovo metodo scientifico, matematico e sperimentale: "voi errate, signor
Simplicio; voi dovevate dire che ciaschedun sa ch'ella si chiama gravità.Ma io
non vi domando del nome, ma dell'essenza della Cosa: della quale essenza voi non
sapete punto più di quello che voi sappiate dell'essenza del movente le stelle
in giro... Ma non è che realmente noi intendiamo di più, che principio o che
virtù sia quella che muove la pietra in giù, di quel che noi sappiamo chi la
muova in su, separata dal proicente, o chi muova la luna in giro, eccettochè il
nome". La pubblicazione suscitò una reazione ostile così intensa da provocare
una presa di posizione dello stesso Papa Urbano VIII, che si riteneva offeso e
raggirato, poiché una sua tesi era stata esposta nel Dialogo in modo da metterlo
in ridicolo. La tesi era quella secondo cui Dio, nella sua infinita potenza, era
in grado di far sì che i fenomeni osservabili potessero prodursi in un’infinità
di maniere tra loro diverse. Stando così le cose, l'osservazione dei fenomeni
non poteva certamente portare gli uomini verso la verità. Il Papa aveva comunque
ragione nel sentirsi offeso. L'argomento che egli aveva suggerito a Galileo era
infatti difeso, nelle ultime righe del Dialogo, da quel Simplicio che
nell'intero libro era il bersaglio della polemica galileiana e il difensore
delle posizioni più arretrate e conservatrici. Il Dialogo, quindi, fu la causa
della condanna di Galileo da parte del Sant'Uffizio.
Osservazioni ed esperimenti di Galileo |
Le osservazioni astronomiche di
Galileo sono state di fondamentale importanza nell'affermarsi della Teoria
Copernicana
I suoi studi di meccanica e termologia sono stati
importanti non soltanto per le nuove conoscenze e la tecnologia che ne è
derivata, ma anche perché hanno chiarito al mondo scientifico la natura
matematica che sta alla base di tutti i fenomeni fisici, e hanno sottolineato
l'importanza di un'indagine che fosse anche quantitativa.
La
Luna
La Luna, anche osservata ad occhio nudo, presenta delle strutture
superficiali: mari, altipiani e crateri. Nella cosmologia aristotelica, per la
quale tutti i corpi celesti appartenevano al regno della perfezione e pertanto
non potevano avere irregolarità, l'apparenza della Luna rappresentava un
problema. Le regioni scure sulla sua superficie venivano spiegate nel Medioevo
come variazioni della densità lunare da un punto all'altro, le quali avrebbero
dato alla Luna, anche se perfettamente sferica, l'apparenza che
ha.
L'avvento del telescopio fece crollare definitivamente il concetto
di perfezione degli oggetti celesti. Con il suo cannocchiale, Galileo osservò
non solo i "mari" della Luna, quei grandi avvallamenti che ad occhio nudo
apparivano come regioni scure sulla sua superficie, ma anche molte regioni di
dimensioni minori, contornate da righe scure. Egli notò che la larghezza di
queste linee cambiava al variare delle fasi lunari, cioè dell'angolo di
incidenza della luce del Sole. Galileo concluse quindi che esse sono ombre e che
la superficie lunare ha montagne e crateri.
La Luna, dunque, non è
sferica ne’perfetta.
I satelliti di Giove
I quattro maggiori satelliti di
Giove (Io, Europa, Ganimede e Callisto) sono piuttosto luminosi, soprattutto
quando il pianeta è in opposizione, ma ad occhio nudo non sono osservabili
perché la luminosità di Giove li nasconde. Il primo a scoprirli fu Galileo, che
sul finire del 1609, mentre concludeva le sue osservazioni della Luna al
cannocchiale, notò dapprima tre e poi quattro "stelline" vicine al pianeta. Dopo
averle osservate per diverse settimane, l'astronomo notò che esse sembravano
seguire Giove nel suo moto attraverso il cielo, cambiando però posizione sia tra
loro che rispetto al pianeta. Nel gennaio del 1610, Galileo giunse alla
conclusione che non si trattava di stelle, bensì di quattro "lune" che ruotano
attorno a Giove, come la Luna attorno alla Terra. Egli annunciò la sua scoperta
nell'opera che lo rese famoso, il "Sidereus Nuncius", pubblicato a Venezia nel
marzo 1610. Questa scoperta fu di fondamentale importanza per l'imporsi della
teoria copernicana del moto planetario. Nella cosmologia aristotelica vi era un
unico centro del moto (la Terra), attorno al quale ruotavano tutti corpi
celesti. Copernico sosteneva invece che fosse la Terra a muoversi attorno al
Sole, e la Luna attorno alla Terra, cioè che ci fossero due centri del motto. Il
fatto che anche Giove possedesse dei satelliti, cioè che fosse anch'esso un
centro del moto, se non era una conferma della teoria copernicana, confutava
però quella tolemaica.
Saturno
Secondo la cosmologia aristotelica, tutti i
corpi celesti erano sferici e perfetti, ma le prime osservazioni di Saturno al
telescopio costituirono una vera sorpresa. Dopo aver pubblicato il "Sidereus
Nuncius", Galileo continuò ad osservare il cielo al cannocchiale nella speranza
di fare nuove scoperte.
Nel luglio del 1610, osservò Saturno quando era
in opposizione. Il suo strumento non era abbastanza potente per distinguere gli
anelli, ed essi gli apparirono come dei rigonfiamenti laterali del pianeta. Egli
interpretò così questo aspetto: "....Saturno non è un astro singolo, ma è
composto di tre corpi, che quasi si toccano, e non cambiano ne' si muovono l'uno
rispetto all'altro, e sono disposti in fila lungo lo zodiaco, e quello centrale
è tre volte più grande degli altri due...." Lo scienziato dette così al pianeta
il nome di "Saturno tricoeporeo". In seguito, egli osservò anche che i corpi
laterali erano scomparsi; infatti, durante il moto di Saturno nella sua orbita,
il piano degli anelli cambia direzione rispetto alla Terra: quando essi si
presentavano di taglio, non potevano essere visti al cannocchiale. In seguito,
altri astronomi confermarono lo strano aspetto di Saturno e le sue variazione,
ma fu solo nel 1659 che l'astronomo Christiaan Huygens lo spiegò con la presenza
di un anello attorno al pianeta.
Le fasi di Venere
Il pianeta
Venere, nella sua rivoluzione intorno al Sole, viene illuminato in modo da
formare, come la Luna intorno alla Terra, delle fasi. Galileo lo verificò con le
osservazioni al cannocchiale, e scrisse: "Cynthiae figuras aemulatur mater
amorum" (la madre degli amori, Venere) imita le configurazioni di Cinzia (la
Luna). Le fasi di Venere falsificavano il sistema tolemaico e provavano che
Venere ruota attorno al Sole, come previsto dal sistema
copernicano.
Le
macchie solari
Le macchie solari sono regioni scure, di forma
irregolare e variabile, sulla superficie del Sole. Sono visibili anche ad occhio
nudo, sebbene l'osservazione diretta del Sole sia molto pericolosa. Le prime
osservazioni delle macchie solari ad occhio nudo sono dovute ai Cinesi e
risalgono almeno al 28 a.C. mentre non è no` in Occidente. Il loro studio
sistematico cominciò subito dopo l'introduzione del telescopio in astronomia, da
parte di Galileo, nel 1609. Lo scienziato compì una delle prime osservazioni
delle macchie, insieme a Thomas Herriot, Johannes e David Fabricius e Christoph
Scheiner. Il fatto che il Sole presentasse delle irregolarità sulla sua
superficie e che il suo aspetto variasse nel tempo, era anch'esso una prova a
sfavore della teoria tolemaica, secondo la quale ogni cosa appartenente al regno
celeste era perfetta e immutabile.
Isocronismo del pendolo
Galileo era
molto interessato ad un approccio di tipo matematico alla questione del moto;
egli incominciò fin da giovane ad analizzare criticamente la fisica aristotelica
che gli era stata insegnata, attraverso la sperimentazione diretta sugli oggetti
del proprio studio. Si dice che Galileo intraprese lo studio del moto del
pendolo nel 1581, dopo aver osservato il moto di oscillazione di una lampada
sospesa nella Cattedrale di Pisa, città nella quale compì gli studi
universitari. Egli si accorse che il periodo di oscillazione di un pendolo è
indipendente dalla sua ampiezza, fenomeno detto "isocronismo" del pendolo, e
cercò di trovare le relazioni tra la lunghezza e il peso del pendolo e il suo
periodo. In realtà, un pendolo è strettamente isocrono soltanto se le sue
oscillazioni sono di piccola ampiezza, come fu scoperto da Huygens pochi decenni
più tardi.
Un pendolo poté quindi essere usato come strumento per
misurare gli intervalli di tempo, trovando applicazione per esempio in medicina,
come misuratore delle pulsazioni cardiache.
Molti anni più tardi, nel
1641, Galileo propose l'utilizzo del pendolo come meccanismo regolatore degli
orologi, e ne abbozzò un progetto. Tuttavia, ormai vecchio e cieco, non riuscì a
realizzarlo, e l'orologio a pendolo venne costruito solo nel 1657, da Christiaan
Huygens.
Moto dei gravi
Galileo studiò la fisica
aristotelica all'università' di Pisa, ma cominciò subito ad analizzarla
criticamente. Mentre gli aristotelici avevano un approccio di tipo qualitativo e
filosofico nei confronti del mondo fisico, il quale veniva descritto per
categorie e mai sottoposto a verifiche sperimentali, lo scienziato cercò di
sviluppare un metodo di indagine quantitativo e matematico. Uno degli oggetti di
indagine di Galileo riguardò il moto dei corpi materiali (detti "gravi"), in
particolare quello dei corpi in caduta libera. Secondo la fisica aristotelica,
il moto di un corpo è determinato dalle forze alle quali è soggetto; per un
corpo in caduta, esse sarebbero il suo peso e la resistenza dell'aria. Quindi,
secondo questa visione, un corpo lasciato cadere da una determinata altezza
raggiungerebbe il suolo tanto più velocemente quanto maggiore è il suo
peso.
Galileo cominciò ad investigare criticamente questa ipotesi, come
fecero prima di lui Giuseppe Moletti e Benedetto Varchi, i quali constatarono
che corpi dello stesso materiale ma diverso peso, lasciati cadere dalla stessa
altezza, raggiungono il suolo nello stesso tempo. Lo scienziato pensava dapprima
che i corpi cadessero con una velocità uniforme caratteristica, che dipendeva
non dal loro peso, bensì da una proprietà intrinseca detta gravità specifica.
Durante gli anni in cui insegnava matematica all'Università' di Pisa (dal 1589
al 1592), egli cominciò ad esporre questa sua prima teoria sul moto dei gravi
nel libro "De Motu", che però non pubblicò mai. Nei vent'anni successivi,
Galileo fece altri esperimenti ed arrivò alla conclusione che tutti i corpi nel
vuoto (cioè non soggetti alla resistenza dell'aria o di un altro mezzo
materiale) cadono con accelerazione uniforme, indipendentemente dal materiale di
cui sono composti, dal loro peso o dalla loro forma, e che la distanza che essi
percorrono durante la caduta è proporzionale al quadrato del tempo impiegato per
percorrerla.
Moto dei proiettili
Nel "Dialogo intorno a
Due Nuove Scienze", Galileo affronta il problema del moto dei proiettili. Prima
di Galileo, si credeva che un corpo lanciato in direzione orizzontale, per
esempio un proiettile sparato da un cannone, si muovesse in direzione
orizzontale fino a quando non perdeva il suo "impeto", dopodiché cadeva verso
terra, seguendo una traiettoria curvilinea che però non era ancora conosciuta.
Galileo si accorse, durante lo studio del moto dei proiettili, che essi non sono
soggetti soltanto alla forza che li spinge in direzione orizzontale, bensì anche
alla forza di gravità, che li attira verso il basso. La prima componente agisce
come una forza inerziale, nel senso che il corpo ad essa soggetto percorre una
distanza in orizzontale che è proporzionale al tempo impiegato per percorrerla.
La seconda invece provoca un moto uniformemente accelerato, cioè la distanza
percorsa in verticale è proporzionale al quadrato del tempo impiegato a
percorrerla. Galileo dimostrò che la combinazione dei due moti orizzontale e
verticale risulta nel moto del proiettile lungo un arco di parabola.
La
teoria delle maree
Galileo cercò di spiegare il fenomeno delle maree non
tramite l'influenza gravitazionale della Luna, dato che la teoria della
gravitazione universale non era stata ancora formulata, bensì in modo puramente
dinamico, nell'ambito della teoria copernicana del moto degli astri. Allo stesso
modo in cui il moto dell'acqua all'interno di un vaso è condizionato dal moto
del vaso stesso, così il moto degli oceani, secondo l'interpretazione
galileiana, sarebbe condizionato dal moto della Terra. Secondo lo scienziato,
nel suo moto combinato di rotazione e rivoluzione, la Terra sarebbe soggetta a
rallentamenti ed accelerazioni periodiche del proprio moto di rotazione, con
periodo di 12 ore. A causa della propria inerzia, i mari si solleverebbero
perché "lasciati indietro" dalla Terra sottostante o viceversa. Questa teoria
non è corretta: la causa reale delle maree è l'attrazione gravitazionale della
Luna sulla Terra. Tuttavia, anche se a volte fu in errore, Galileo cercò di
spiegare per mezzo dell'osservazione e della matematica i fenomeni osservati in
natura, al posto di accettare l'interpretazione aprioristica della filosofia
aristotelica. Questo rappresentò un passo avanti nella costruzione della scienza
moderna.
Opere e strumenti di Galileo |
Sidereus
Nuncius
In quest'opera, pubblicata nel marzo del 1610, Galileo
descrisse la scoperta di 4 satelliti di Giove al cannocchiale; egli notò
dapprima tre e poi quattro "stelline" vicino al pianeta, che sembrano seguirlo
nel suo moto e che si spostano l'una rispetto all'altra. "Adi' 7 di gennaio 1610
Giove si vedeva col cannone (il cannocchiale) con 3 stelle fisse, delle quali
senza il cannone niuna si vedeva". Non potendosi trattare, per questo motivo, di
stelle fisse, l'unica conclusione possibile era che fossero dei satelliti di
Giove: "...quattro stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno
alla Terra...". Questa conclusione rappresentò una prova a sfavore della
cosmologia tolemaica, che non ammetteva altro centro del moto oltre alla Terra,
centro delle sfere celesti. L'astronomo volle dedicare la scoperta a Cosimo II
de' Medici, allora Granduca di Toscana, com'e' scritto anche sul frontespizio
dell'opera.
Dialogo
sui due massimi sistemi del mondo
Nel 1623 Maffeo Barberini, che era
considerato un patrono di artisti e scienziati, divenne Papa Urbano VIII.
Galileo cercò di riproporre la questione copernicana, ed ottenne dal Papa il
permesso di scrivere un dialogo, nel quale esporre i principi della teoria,
senza però arrivare ad una conclusione sulla sua validità, bensì trattandola
come una semplice ipotesi matematica.
Galileo lavorò al Dialogo fino al
1630. Il testo è diviso in quattro giornate, durante le quali il copernicano
Salviati (che rappresenta lo stesso Galileo) e l'aristotelico Simplicio si
confrontano esponendo le due teorie; un terzo personaggio, Sagredo, interviene
spesso nel dialogo tra i due, a favore di Salviati.
Durante le prime
tre giornate, i tre prendono in considerazione il moto terrestre e alcuni
fenomeni celesti che sembrerebbero invalidare la cosmologia aristotelica. La
quarta giornata è dedicata invece all'analisi del fenomeno che più degli altri
convinse Galileo della validità della teoria copernicana, cioè quello delle
maree. Egli spiegava il fenomeno in maniera errata, semplicemente come la
combinazione del moto annuale di rivoluzione terrestre con quello diurno di
rotazione; non prese invece in considerazione l'attrazione gravitazionale della
Luna. Nel Dialogo vengono presentate alcune conclusioni a favore della teoria
copernicana. Quando Galileo sottopose l'opera al giudizio della Chiesa, Papa
Urbano VIII gliene impedì la diffusione e segnalò la questione al Tribunale
dell'Inquisizione. Galileo venne processato e costretto
all'abiura.
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove
scienze attinenti alla meccanica e ai movimenti locali
In
quest'opera, scritta tra il 1633 e il 1636, Galileo tratta la resistenza dei
materiali e alcuni argomenti di dinamica. L'opera è articolata, come il
"Dialogo", in quattro giornate durante le quali gli stessi personaggi (Salviati,
Simplicio e Sagredo) discutono di vari argomenti di fisica. Le prime due
giornate sono scritte sotto forma di un vero e proprio dialogo, durante il quale
vengono presentati incidentalmente molti esperimenti di fisica; nelle ultime
due, invece, vengono trattati alcuni teoremi di dinamica con formalismo
matematico.
In quest'opera, Galileo dimostra la sua abilità nello
svelare i paradigmi che stanno alla base dei fenomeni della fisica "quotidiana".
Egli confronta per esempio la velocità del suono con quella della luce, il moto
di caduta libera dei corpi col moto lungo un piano inclinato, le vibrazioni
acustiche con gli intervalli musicali, il moto libero dei corpi con quello
forzato (ad esempio quello dei proiettili). Egli cercò sempre di trovare il
denominatore comune dei vari fenomeni, abbinando l'intuito per il fenomeno
fisico con il rigore della sua descrizione matematica.
Bilancia
idrostatica
Un tempo, i metalli preziosi venivano pesati sia in aria
che immergendoli in acqua, per determinarne la gravità specifica (cioè il peso
relativo ad un pari volume di acqua. All'età' di 22 anni, Galileo scrisse un
piccolo trattato nel quale proponeva un metodo per rendere più precisa e
quantitativa la misura, progettando un dispositivo detto bilancetta o bilancia
idrostatica. Essa era costituita da un dispositivo a leva. Il braccio
all'estremità' del quale andava fissato il contrappeso era avvolto in un filo
metallico. Lo spostamento del contrappeso poteva essere determinato molto
accuratamente contando il numero di spire del filo metallico lungo le quali si
spostava.
Galileo costruì la bilancetta solo molti anni più tardi, nel
1608.
Termoscopio
All'inizio del diciassettesimo secolo,
non c'era alcun metodo per quantificare il calore di un corpo. Molti studiosi
dell'epoca sapevano che l'aria si espande quando viene riscaldata. Il
termoscopio fu ideato da Galileo all'inizio del 1600 ed era costituito da una
piccola fiaschetta con il collo lungo e sottile, piena d'aria, posto a testa in
giù entro una vasca piena d'acqua. Quando la fiaschetta veniva riscaldata,
l'aria al suo interno si espandeva, e il livello dell'acqua nel collo scendeva,
mentre quando l'aria si raffreddava, il suo volume decresceva e l'acqua saliva
dalla vaschetta lungo il collo del fiasco. Negli anni successivi, il dispositivo
venne perfezionato da Galileo e dai suoi amici Santorio Santorio e Gianfrancesco
Sagredo, per includervi una scala numerica: si ebbe così il primo termometro ad
aria. Contemporaneamente ed indipendentemente, altri studiosi europei misero a
punto analoghi dispositivi. Si passò poi, intorno al 1630, ai termometri
riempiti di liquido, ma fu solo nel diciannovesimo secolo che venne stabilita
una scala universale di temperature, sulla base di alcune temperature base
(quella di fusione del ghiaccio e quella di ebollizione dell'acqua) da parte di
D.G. Fahrenheit e A. Celsius.
Telescopio
Il telescopio e' stato uno degli
strumenti più importanti nella rivoluzione scientifica del 1600, ed ebbe un
ruolo di primo piano nell'affermarsi del sistema copernicano. Le proprietà che
certi oggetti trasparenti hanno di aumentare e ridurre le dimensioni delle
immagini erano note sin dall'antichità', ma solo alla fine del 1200 le lenti si
diffusero in Europa. Esse venivano utilizzate come occhiali, per correggere i
difetti della vista.
Anche se forse era gia conosciuto in precedenza,
il telescopio comparve per la prima volta nel 1608 in Olanda, dove venne
presentata richiesta di brevetto da parte di H. Lipperhey e di J. Metius. Esso
ingrandiva le immagini di un fattore tre o quattro.
La notizia della
sua invenzione si diffuse presto in tutta Europa, dove venne costruito ed
utilizzato nel 1609 da vari scienziati per le osservazioni astronomiche. Galileo
non fu dunque ne' l'inventore del telescopio, ne' il primo ad usarlo per questo
scopo, tuttavia fu lui che compì le prime scoperte fondamentali di astronomia e
che rese famoso lo strumento; egli costruì un telescopio ad otto ingrandimenti e
lo presentò al Senato di Venezia nell'agosto del 1609. Più tardi, con uno
strumento ancora più perfezionato, a 20 ingrandimenti, osservò la Luna e scoprì
i satelliti di Giove. In seguito, altri studiosi costruirono strumenti
altrettanto potenti e compirono osservazioni indipendenti, come quelle delle
macchie solari . Un tipico telescopio galileiano, detto anche "cannocchiale",
come quello usato dallo scienziato per osservare i satelliti di Giove, e'
composto da due tubi, infilati uno dentro l'altro e alle cui estremità sono
inserite due lenti: un obiettivo (cioè la lente che sta verso l'oggetto)
piano-convesso, con distanza focale di 75-100 cm, e un oculare (la lente a cui
si appoggia l'occhio) piano-concavo con lunghezza focale di circa 5 cm. Il tubo
dell'oculare può essere aggiustato per la messa a
fuoco.