Sidereus nuncius (1610) annuncia
le scoperte al cannocchiale (scopre nuove stelle, invisibili a occhio nudo, per
cui si scoprì che l'universo è più grande di quanto si pensava, la rugosità
della superficie lunare e le macchie solari (per cui veniva imponendosi
l'ipotesi della imperfezione dei corpi celesti)
Il saggiatore (1623) sulla
natura delle comete, in polemica col gesuita Grassi
Discorso sopra i due
massimi sistemi del mondo (1632) tra Sagredo (Galileo), Simplicio (peripatetico
imbecille) e Salviati (osservatore quasi neutrale)
Contro l'autorità di
Aristotele nella scienza
Galileo criticò più che Aristotele,
l'uso che della sua autorità facevano gli aristotelici. I quali a suo dire (ma
in molti casi c'è da credergli) rifiutavano di fare i conti con l'esperienza,
trincerandosi dietro l'autorità del Filosofo (come lui stesso rappresentò nella
figura di Simplicio, nel Dialogo sopra i massimi sistemi del
mondo).
Contro l'autorità della Bibbia nella scienza
Galileo
si proclamò sempre cristiano credente, e si può anche credere che tale sua
professione di fede fosse sincera, benchè la fede non abbia mai costituito per
lui un esauriente motivo di vita. Va pure ricordato che due sue figlie
divvennero, in verità proprio per suo interessamento e non del tutto liberamente
(Vanni Rovighi), suore e una di queste raccolse, come ultima parola pronunnciata
dal morente Galileo, l'8 gennaio 1642, "Gesù". A lui che anche dopo la condanna
del 1633 era stato ben trattato e benvoluto da vescovi ed ecclesiastici, il papa
aveva concesso una indulgenza plenaria e una particolare benedizione (Messori,
p. 386).
Egli volle perciò tentare di "liberare" la scienza dalla dipendenza
non solo da Aristotele, ma anche dalla Sacra Scrittura. Lo fece proponendo non
solo una distinzione tra la sfera della ragione e quella della fede che ne
lasciasse sussistere, come nella tradizione patristica e medioevale, un ambito
di fecondo reciproco rapporto (si veda ad esempio la teoria scolastica dei
preambula fidei), ma una vera e propria separazione: fede e
ragione, Rivelazione e scienza sono da intendersi ormai come due sfere
separate, e senza rapporti, se non quello di una generica impossibilità di
contraddizione reciproca.
Il fine della Scrittura/rivelazione, infatti, è di
insegnare "come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo", mentre
appunto quest'ultimo è il fine della scienza. Così, parallelamente esistono due
diversi oggetti che vengono consideratio dalla fede e dalla scienza: il Libro
della Scrittura, oggetto della fede, e il libro della natura, oggetto della
scienza, scritto in un linguaggio matematico, e perciò solo matematicamente
leggibile.
Due sono i cardini del metodo della scienza,
secondo Galileo, le "sensate esperienze" e le "matematiche
dimostrazioni"
Le "sensate esperienze"
"I discorsi nostri hanno da
essere sopra il mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta" (Discorso sopra
i massimi sistemi)
Le matematiche dimostrazioni
La
genialità di Galileo, in effetti, fu proprio nello stabilire questo fattore come
quello decisivo: dove non era arrivato Francis Bacon, che rimaneva ancora legato
ad una visione qualitativa della scienza, Galileo teorizzò il carattere
matematico del sapere scientifico. Per questo gli unici aspetti della realtà
sensibile che ci devono interessare sono quelli quantitativi,
matematizzabili.
Al termine del processo di osservzione/sperimentazione
guidato dallo strumento matematico si giunge non più a delle essenze, come
pensava la tradizione scolastica e Aristotele, ma semplicemente a delle leggi,
formulate matematicamente.
Il contenuto (filosofico) del nuovo sapere: il meccanicismo
Per Galileo il mondo è ridotta pura materia estesa in
moto locale: non hanno esistenza oggettiva le qualità, e conseguentemente le
"forme", che per la filosofia scolastica ne sono la radice. Dunque colori,
suoni, sapori, odori non esistono "fuori" di noi, ma -dice Galileo- "tengono lor
residenza nel ciorpo sensitivo".
Capita spesso di leggere o di sentire che il
torto, per così dire, del "caso Galileo" sarebbe da ascriversi interamente
all'autorità ecclesiastica. Questa, si dice, abusò del suo potere per impedire
la libera ricerca scientifica, incorrendo peraltro in un errore madornale (la
condanna del copernicanesimo, che già sarebbe stato adeguatamente dimostrato
come vero).
In realtà bisogna chiedersi se quello che l'Inquisizione tentò di
impedire fosse una ricerca libera, realmente rispettosa di un metodo rigoroso e
dialogico, o piuttosto una modalità neanche tanto larvatamente dogmatica di
imporre come assolute tesi non ancora provate.
Non per nulla Giovanni Paolo
II ha detto, in un suo celebre discorso sul "caso Galileo" (10/11/1979): "io
auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera
collaborazione, approfondiscano l'esame del caso Galileo e, nel leale
riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le
diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa
concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo." Come dire che, se da parte
del'autorità ecclesiastica ci fu una insufficiente "percezione" della "legittima
autonomia della scienza" (e si noti che insufficiente non vuol dire assente),
qualche torto ci fu anche da parte di Galileo.
Potrà stupire alcuni questa
tesi, ma va ricordato quanto segue:
§ è comunemente ammesso dai suoi biografi
come il temperamento di Galileo fosse tutt'altro che facile, poco disposto
com'era a concedere una parte di ragione ai suoi interlocutori, propenso
all'arma dell'ironia sferzante, irruento e scarsamente diplomatico.
§ al di
là di tali limiti temperamentali, Galileo tendeva costantemente a incorrere
nell'errore di dare per assolutamente certo quello che era semplicemente
probabile, o anche molto probabile (nel caso del sistema copernicano); tuttavia
alla sua epoca non esisteva alcuna prova inconfutabile e definitiva della verità
dell'eliocentrismo (che si sarebbe avuto solo nel secolo XVIII, e precisamente
nel 1748); addiriittura nel caso della natura delle comete si sbilanciò ad
attaccare il p. Grassi, che invece sosteneva la teoria più vicina al
vero.
Galileo insomma può essere visto come dispotico e poco dialogico
assertore di quello che potremmo chiamare un neoimperialismo scientista (alla
pretesa panfilosofica o panteologica dei suoi avversari contrapponeva un
panscientismo non meno arrogante e pericoloso). Una dialogicità meno arrogante
gli avrebbe invece consentito di a) attenersi all'effettivamente constatabile
titolo di attendibilità che le sue tesi scientifiche avevavo (senza confondere
probabilità con certezza), b) confrontarsi seriamente con la comunità
scientifica nella sua totalità, ivi compreso quel mondo cattolico che non era
compattamente restio ad ogni seria novità, ma presentava, ad esempio nella
persona del Papa Urbano VIII e del card. Bellarmino, una disponibilità al
confronto maggiore di quanto venga spesso presentato (come non manca di
riconoscere un intellettuale tutt'altro che tenero con la Chiesa come Brecht,
nella sua Vita di Galileo). Possiamo in proposito ricordare il pensiero del
Bellarmino, che fu il più illustre "oppositore" ecclesiastico del
Galilei:
"... Dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia
nel centro del mondo e la terra nel cielo, e che il sole non circonda la terra,
ma la terra circonda il sole, allhora bisogneria andar con molta consideratione
in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l'
intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra" (lettera del 1615
al copernicano Foscarini)
Un simile modo di esprimersi rivela come l'animo
della massimo autorità ecclesistica non fosse poi così ottuso e chiuso al
dialogo:
a) non affema in modo categorico che l'eliocentrismo sia
incompatibile con la Bibbia;
b) rileva soltanto che nè Galileo nè altri
avevavno, per il momento, portato alcuna prova inconfutabile della verità
dell'eliocentrismo. Il che è storicamente e scientificamente inoppugnabile.
Aveva perciò ragione Galileo a rivendicare il diritto di osservare e basarsi su
fatti sperimentali, come appunto gli riconosceva il cardinal Bellarmino. Torto
suo però fu di affermare dei nuovi a-priori scientisti.
E, cosa più grave,
discutibile scelta fu il vestire i panni di un divulgatore "rivoluzionario", che
non solo criticava ma metteva in ridicolo, con la sua acida ironia, la Chiesa.
La discussione avrebbe dovuto, con più saggezza, svolgersi tra i dotti, almeno
finché non ci fosse stata la prova della verità inconfutabile del
copernicanesimo: in tal modo Galileo avrebbe trovato probabilmente non solo e
non tanto plumbei e coriacei oppositori, ma attenti e interessati interlocutori
in una parte consistente dello stesso mondo ecclesiastico, in cui non mancavano,
ad esempio tra i Gesuiti, veri e propri scienziati, desiderosi di vivere la
nuova stagione di scoperte scientifiche in armonia con la fede degli Apostoli.
Invece la scelta della lingua italiana, al posto del latino, e di un taglio
divulgativo, unita allo stile arrogante e ironico, faceva assumere al suo
pensiero i tratti di un pressante appello al popolo affinché si scrollasse di
dosso il giogo di un dominio ecclesastico sulla cultura, presentato come
insopportabilmente oppressivo. Il che, per la autorità ecclesiastica, non doveva
essere tanto facile da digerire, tanto più in tempi in cui la Riforma
protestante e il neopaganesimo, dilagante tra le élites, erano occasione di
quotidiana, allarmata preoccupazione.
Inoltre Galileo si sforzò sì di mostrare come
la scienza non fosse incompatibile con la fede, ma lo fece in un modo che non
doveva convincere la autorità ecclesiastica, e non a torto. Infatti la celebre
distinzione dei due libri, quello della Scrittura e quello della natura, aventi
due diverse finalità (la Scrittura dirci come si vadia al cielo, la natura come
vadia il cielo) incorreva nei seguenti inconvenienti:
a) negava alla
Rivelazione una valenza ontologica, restringendone la portata al solo ambito
etico; come dire che la fede nulla dice di come sia la realtà (terrena), ma si
preoccupa solo di indicarci la strada per il Paradiso, fornendoci dei precetti
etici: il che è francamente poco. Se infatti Dio, creatore del cielo e della
terra, si è fatto Uomo, questo ha delle implicazioni precise non solo
sull'al-di-là, ma anche sull'al-di-qua. La fede insomma non ci dice, è vero,
dettagliatamente, come sia fatto il mondo, ma nemmeno è indifferente a qualsiasi
visione-del-mondo. Se non giudica la scienza in quanto tale, può giudicare, o
meglio orientare, la sua interpretazione sintetica, la filosofia della natura, e
il significato ultimo del suo utilizzo.
b) attribuiva implicitamente alla
scienza il monopolio interpretativo della natura, confermando
quell'imperialismo scientista di cui abbiamo sopra parlato; in altri passi
infatti Galileo ritiene che la natura sia scritta in caratteri matematici e
dunque leggibile solo da un sapere fisico-matematico, con esclusione quindi di
quella filosofia, che più stretti legami di parentela avrebbe con la fede e
potrebbe tentare l'impresa di ricomprendere sinteticamente la conoscenza del
mondo materiale alla luce di una unitaria visione della realtà.
Non per nulla
Galileo non risulta abbia fatto alcuno sforzo per mostrare come, specificamente,
l'eliocentrismo non sarebbe stato un corpo estraneo nella visione cristiana
della realtà. Una riflessione più appassionatamente sintetica avrebbe potuto
portarlo a evidenziare come in realtà non solo esso non contraddiceva realmente
la fede, ma si attagliava ad essa meglio del geocentrismo. Per fare questo però
Galileo avrebbe dovuto ricorrere a quella mentalità simbolica, che appare invece
del tutto estranea al suo monolitico matematismo meccanicista. Abbandonando il
quale avrebbe potuto vedere ad esempio nel Sole il simbolo di Cristo, che grazie
al totale sacrificio di Sè, irradia sulla Terra-umanità, la propria luce e il
proprio calore, ossia tutta la luce (la verità) e tutto il calore (la grazia) di
cui l'umanità può godere. Avrebbe potuto pensare che l'Umanità non è più al
centro dell'Universo non perchè abbandonata dalla Provvidenza in uno spazio
infinito di totale casualità, ma perché orbitante intorno al Sole-Cristo, da cui
dipende totalmente per il vero e il bene che la Provvidenza le concede. E
similmente di tutte le altre scoperte si sarebbe potuto e dovuto dare una
interpretazione simbolica (certo, non solo da parte di Galileo).
Non si trattava comunque solo e soprattutto
dell'eliocentrismo (che pur non essendo provato, era, oggi sappiamo,
vero, o almeno relativamente tale), sostanzialmente compatibile alla fede. A
nostro avviso il torto più grave di Galileo, l'errore più gravido di effetti
negativi fu soprattutto la sua esclusione dell'ilemorfismo, la disinvolta
sicurezza con cui ridusse il mondo a quantità: non riusciva a vedere come il
fatto che solo delle quantità si potesse dare sapere scientifico non equivalesse
al fatto che solo le quantità esistessero. Il presupposto a tale conclusione,
cioè che solo il conoscibile scientificamente sia esistente non fu mai da lui
tematizzato e giustificato argomentativamente. Ed egli affermava la riduzione
del mondo a quantità misurabile, il meccanicismo, senza che tale tesi fosse
rigorosamente dimostrata, e senza rendersi conto di quanto tale visione
meccanicistica fosse, questa sì, radicalmente incompatibile con la fede. In
proposito osserviamo:
a) Galileo intende la scienza, sempre in nome
del già ricordato imperialismo scientistica, come unica conoscenza valida della
natura, escludendo la filosofia della natura (o cosmologia filosofica); ma ciò
facendo sbaglia, perchè del medesimo oggetto (materiale) si possono avere
diverse conoscenza, non alternative, ma integrative (diversi "oggetti
formali").
b) Egli di conseguenza estende quello che è vero sul piano
scientifico, cioè il meccanicismo, al piano ontologico puro e semplice.
Dimenticando che il meccanicismo scientifico è l'ovvia consegneza dell'aver
concepito la scienza come fisico-matematica: filtrando tutto
matematicamente tutto appare come matematizzato, considerando solo gli aspetti
quantitativi, matematizzabili, si vedono solo gli aspetti quantitativi,
matematizzabili: analogamente al fatto che, mettendo delle lenti gialle, uno
vede il mondo come giallo. Ma il mondo diventa giallo per il fatto che io lo
guardo con lenti gialle? Il mondo si riduce a pura quantità per il fatto che io
lo osservo con un filtro matematico? Galileo lo da per scontato. Sbagliando. Ma
sbagliando con gran sicumera:
Signor Sarsi, la cosa non istà così. la
filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto
dinanzi agli occhi (...). Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son
triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è
impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi
vanamente per un oscuro labirinto
c) Una più equilibrata
considerazione avrebbe dovuto portare a dire che, accanto al sapere scientifico,
fisico-matematico e dunque programmaticamente fermo al livello quantitativo,
esiste un sapere filosofico, che può ammettere l'esperienza nella sua originaria
integralità, comprensiva di aspetti quantitativi e qualitativi e giungere a una
spiegazione sintetica della realtà fisica, in termini universalizzanti ma non
perciò invalidi, di tipo ilemorfico.
d) Il meccanicismo filosofico in
effetti non è compatibile con la fede (nonostante quanto ne pensasse Cartesio e
Malebrache, ad esempio) in quanto legato al materialismo e alla insignificanza
del mondo.
La Chiesa cattolica si comportò in un modo che
a noi appare insopportabilmente lesivo della libertà di pensiero. Ma dobbiamo
tener presente la mentalità di allora:
1) se fosse caduto nelle mani
dei protestanti la sua sorte sarebbe stata ben peggiore
2) Galileo
venne dapprima, nel 1616, ammonito privatamente, non tanto a non ricercare più,
ma a farlo a condizione di non creare sconcerto e turbamento nella gente
"semplice". Perciò gli venne ad esempio intimato di non pubblicare in volgare,
ma solo in latino, la lingua dei dotti. Il processo pubblico, del 1633, segue a
una infrazione pubblica delle ammonizioni precedenti: Galileo aveva pubblicato
in volgare un'opera corrosivamente critica. Questo non giustifica fino in fondo
l'Inquisizione, ma costituisce un contesto di cui tener conto, testimoniando di
una attenzione alla persona di Galileo, amico personale del Papa, e di una non
totale chiusura alla novità scientifica, ma alla sua prematura e arrogante
(abbiamo detto sopra in che senso) divulgazione.
3) il suo
trattamento effettivo fu tutto sommato mite: nel procedimento nessuna tortura,
nessuna violenza, non un solo giorno di carcere; anzi quando venne
convocato a Roma per il processo del 1633 venne alloggiato in un "alloggio di
cinque stanze con vista sui giardini vaticani e cameriere personale" (Messori)
come condanna un esilio dorato in una villa toscana, la sua villa di Arcetri,
che non per nulla si chiamava "Il Gioiello", per non essere precisamente quello
che si direbbe un tugurio.