Epicuro nacque a Samo nei primi
mesi del 342-1 a.C.. Il padre Neocle (pedagogo) e la madre Cherestrata (che su
richiesta recitava formule magiche e di purificazione casa per casa) erano di
Atene, dove lui morì nel 270. Pare che sia stato discepolo di Nausifane,
democriteo, e di Panfilo, platonico, sebbene nella lettera ad Euriloco affermi
di essere discepolo solo di se stesso. All'età di 18 anni si recò ad Atene. Nel
310 fondò a Mitilene la scuola, poi trasferita a Lampsaco. Nel 306 di trasferì
ad Atene ove in una casa col giardino fissò la scuola che i suoi discepoli
ereditarono. Questa scuola fu conosciuta appunto come "il giardino" (kepos) ed
essa poteva essere frequentata da donne e schiavi.
Intollerante e critico
con gli altri filosofi, fu generoso con i suoi discepoli, venendo da essi
venerato sia in vita che in seguito. Le lettere alla madre ed ai discepoli
mostrano un animo buono; compì una vita estremamente frugale e la sua salute fu
molto cagionevole, sebbene sia stato raffigurato come dissoluto ed effeminato.
Diogene Laerzio, nel III d.C. ne ha trattato
nel X libro delle Vite dei filosofi, facendo un elenco delle sue opere
(sono più di 300) e tramandandoci tre lettere (a Erodoto sulla fisica e la
logica, a Pitocle sui fenomeni celesti, a Meneceo sulla morale) e 40 Massime
capitali (su vari argomenti) accanto alle quali vanno poste le Sentenze
Vaticane. Perdute le lettere ai familiari, agli amici, ai discepoli, le lettere
polemiche (Ai filosofi di Mitilene), quelle apologetiche (agli amici di
Lampsaco, agli amici d'Asia).
Nella villa dei Pisoni ad Ercolano sono stati
trovati papiri con scritti di Epicuro e dell'opera Sulla natura, in 37 libri.
Fonti importanti per capire il
suo pensiero sono gli scritti dei suoi discepoli, attendibili giacchè Epicuro
pretendeva da essi una stretta osservanza dei suoi insegnamenti e giacchè la
dottrina si preservò costante nel tempo.
Di Filodemo di Gadara, del
tempo di Cicerone, abbiamo dei papiri rinvenuti ad Ercolano in cui è esposta la
dottrina epicurea su alcuni punti, in contrapposizione alle altre scuole ed alle
altre opinioni all'interno della stessa scuola epicurea.
Tito Lucrezio
Caro (96-55) fu autore del De rerum natura, poema in cui è fedelmente
espressa la dottrina epicurea ed in cui Epicuro è ritratto come una divinità,
fondatore della sapienza, liberatore dell'umanità dal soprannatuirale e dalla
morte . Opera in sei libri, incompiuta (si tramanda altresì che fosse affetto da
pazzia causata da filtro amoroso), tratta di metafisica (1-2 la materia, lo
spazio, la costituzione dei corpi), di antropologia (3-4), di cosmologia (5-6 ).
Essa è stata edita da Cicerone.
Altra fonte Diogene di Enoanda, che
scrisse su blocchi di pietra la dottrina, difendendola dalle idee dei dialoghi
platonici di Aristotele e delle altre scuole.
Altri spunti li abbiamo dalle
opere filosofiche di Cicerone e dagli scritti di Plutarco e
Seneca.
La filosofia deve affrontare il problema
dell'uomo e della felicità, altrimenti è da disprezzare se ha per fine se
stessa; la filosofia è ricerca personale piuttosto che apprendimento scolastico
(salpa l'àncora ragazzo e fuggi ogni forma di cultura)o vuota astrazione
(ripudiando la dialettica si deve tener dietro alle voci delle cose).
Quattro sono i problemi dell'uomo a cui offre un rimedio: la paura degli
degli dei, la paura della morte, la paura di non poter raggiungere la felicità,
la paura di non poter eliminare il dolore.
L'introduzione alla fisica ed all'etica è la canonica, ricerca del criterio di verità, del metodo. Unico criterio di validità è la sensazione, l'impressione che le immagini atomiche (simulacri) producono sull'anima dopo essersi staccati dal corpo. Gli errori sono solo errati giudizi sulle sensazioni. Il pensiero razionale si basa sull'anticipazione e sulla prolessi di sensazioni che già abbiamo sperimentato; la memoria conserva le immagini che poi il ragionamento connette, di cui coglie analogie e che usa come base per nuove conoscenze e previsioni.
Così criteri di verita risultano essere la sensazione innanzitutto, poi i concetti, poi il sentimento. Proprio perché la logica epicurea è basta sui canoni del vero è detta canonica.
Ogni sensazione è manifestata dall'uomo originariamente in un'espressione, in un suono, perciò la prima espressione linguistica è un fenomeno naturale. Convenzionale, e perciò non naturale, è invece il linguaggio, complesso di nomi con cui indichiamo la realtà, necessario alla comprensione reciproca. Su queste posizioni gli studiosi hanno notato una vicinanza con le idee platoniche del Cratilo.
La fisica materialistica di Epicuro si basa
sull'insegnamento democriteo.
La realtà è costituita da atomi:
eterni, invisibili, privi di qualità, intangibili, dotati di forza e resistenza
essi si aggregano formando corpi sensibili; le forme (schémata) degli atomi sono
finite anche se di un numero troppo elevato per essere concepito; gli atomi
possono essere pensati come semi, princìpi di tute le cose, non potendo essere
pensati né come punti fisici (che sono sempre divisibili) né come enti
matematici (che sono astratti); essi si muovono nel vuoto ed il loro moto è a
velocità costante e rettilineo anche se il peso può produrre deviazioni che
causano l'aggregazione degli atomi. Queste deviazioni spezzano il meccanicismo
insito nella cosmologia epicurea, per cui l'aggregazione degli atomi è del tutto
casuale. In questo processo non vi è alcuna influenza divina.
I mondi che vengono creati dalla aggregazione atomica sono infiniti, ognuno con astri, terre e gli altri fenomeni. Mentre la physiologìa che abbiamo appena spiegato non può essere messa in discussione i singoli fatti e fenomeni celesti possono essere spiegati in molteplici modi purchè siano compatibili con i fenomeni.
Apprese la logica e la fisica epicurea, per comprendere la via che Epicuro suggerisce per la soluzione dei quattro grandi problemi dell'uomo va precisato che il piacere è l'armonia e l'equilibrio degli atomi, il dolore ed il turbamento il loro moto disordinato.
L'universo, abbiamo già esaminato, è infinito e nessun dio è intervenuto per creare od ordinare la realtà, dio che riposa e che sarebbe reso imperfetto se avesse obblighi di tal genere. Mondo ed atomi sono eterni perché perché nulla viene dal non essere. Dio non interviene nel mondo: di fronte al male del mondo o non vuole intervenire (perchè invidiosa) o non può (impotente?), perciò è da ipotizzare che esistono (altrimenti gli uomini non se ne farebbero un'immagine) ma che vivono beati negli spazi celesti (intermundia là dove non avvengono urti tra atomi) senza turbamenti e quindi senza azioni o passioni come vorrebbe il volgo, in amicizia tra di loro. L'uomo li onora per la loro beatitudine ed eccellenza ma non ne deve aver timore.
Perciò non bisogna temere gli dei nè la morte. L'anima è corporea (fatta di atomi più sottili e rotondi) e perciò muore; facoltà dell'anima sono la sensazione, l'immaginazione, la ragione, il sentimento; essendo perciò la morte insensibilità noi non la sentiremo e non ne dobbiamo aver paura (se c'è la morte non ci siamo noi e viceversa).
Il piacere è il fine dell'uomo,
concordemente alle premesse materialistiche. Epicuro è contrario al piacere
volgare o in movimento cirenaico, riconducibile alla gioa e allegria, misto
com'è a turbamento e dolore, optando invece per il piacere in riposo
(catastematico) proprio dell'assenza di dolore (aponìa) e di turbamento
(atarassìa).
Il dolore cessa con la soddisfazione del desiderio. Solo i
desideri naturali necessari (mangiare) vanno soddisfatti, perché i desideri
naturali non necessari (mangiare bene) ed i non naturali non necessari
(ricchezze) non sono raggiungibili completamente e perciò provocano anche
dolore. Così bisogna rinunciare ad un piacere se da ciò possa venire un dolore
maggiore ed accettare il dolore se da ciò possa venire un maggiore piacere. Il
frammento in cui sostiene come sia più bello e più piacevole fare il bene che
riceverlo fuga qualsiasi dubbio di edonismo avanzato nei confronti della
filosofia epicurea.
Perciò il ragionamento che cerca le cause delle scelte e scaccia le false opinioni offre felicità. La saggezza infatti è più preziosa della filosofia, fonte di virtù e della bellezza, giustizia, dolcezza della vita. Meglio la saggezza della fortuna, se non è possibile ottenere entrambe. Il saggio si comporta in maniera onesta anche se sa che la sua ingiustizia non verrebbe comunque scoperta.
Non è da temere, infine, il dolore che se violento dura poco e se cronico non viene più percepito.
Questa filosofia individualistica, mirata a rimuovere i turbameti, spiega il tenersi lontano dalla politica di Epicuro ed il suo precetto "vivi nascosto"; le leggi e la giustizia vanno comunque rispettate perchè utili all'uomo per non nuocere ai suoi simili. La legge è un prodotto convenzionale e non un fenomeno naturale.
Non bisogna perciò pensare ad una filosofia che rifugga la socialità. Anzi, per Epicuro il più grande bene che la saggezza ci offre per la felicità è l'amicizia. Essa nasce dall'utilità e dal reciproco vantaggio, ma è un bene in sè. L'amico non è chi cerca sempre l'utile (sarebbe un traffico l'amicizia) nè chi non lo cerca mai (la speranza di ricevere aiuto è radicata nell'amicizia). L'amicizia non è passionale (come l'amore) né costrittiva (come l'organizzazione politica).
Tra i discepoli di Epicuro ricordiamo:
Metrodoro di Lampsaco, morto sette anni prima della morte del maestro
(Epicuro si preoccupa della sorte dei suoi figli nel suo Testamento), difese il
maestro contro medici, dialettici, sofisti e contro il fratello Timocrate che
aveva abbandonato la scuola;
Idomeneo di Lampsaco, uomo politico che
scrisse di Socrate e dei socratici;
Colote di Lampsaco, che scrisse
contro Platone ed altre dottrine nel Non è possibile vivere secondo le dottrine
degli altri filosofi (Plutarco scrisse Contro Colone e Non è possibile vivere
felicemente secondo Epicuro);
Ermarco di Mitilene, a capo della
scuola dopo la morte di Epicuro, autore di scritti contro Empedocle, Platone,
Aristotele;
Polistrato successore di Ermarco, autore di Sul disprezzo
irragionevole delle opinioni popolari secondo cui solo l'epicureismo poteva
liberare dalle opinioni volgari (la fede nella divinità o le superstizioni) e
dalle paure;
a dimostrazione della partecipazione anche femminile alla
scuola, Temistia e l'etera Leontina (scrisse contro Teofrasto)
furono le sue discepole più importanti.