Sant'Agostino (Tagaste, Numidia 354 - Ippona 430), filosofo e santo, uno dei più eminenti dottori della Chiesa. Figlio di padre pagano e di madre cristiana, di famiglia umile, Agostino studiò retorica con eccellenti risultati, disciplina che insegnò inizialmente a Cartagine, dove visse insieme a una donna da cui ebbe un figlio, Adeodato ("dono di Dio").
All'età di diciannove anni, in seguito alla
lettura dell'Ortensio di Cicerone, Agostino riconobbe in sé la vocazione
alla filosofia e, dopo breve tempo, aderì al manicheismo, una dottrina dualista
di origine persiana che era diffusa soprattutto nell'impero romano d'Occidente.
Fondato sul chiaro principio del conflitto fra male e bene, il manicheismo
sembrò inizialmente al giovane Agostino la migliore dottrina cui aderire. La
contraddittorietà di talune (in particolare l'incoerenza tra regole morali e
l'effettiva condotta dei membri della setta) lo spinse ben presto a prendere le
distanze dai manichei.
Intorno al 383 lasciò Cartagine per Roma, ma l'anno
successivo si recò a Milano, come maestro di retorica. Le letture di testi
filosofici neoplatonici, particolarmente delle Enneadi di Plotino, e
l'incontro con il vescovo della città, sant'Ambrogio, contribuirono alla sua
conversione al cristianesimo: nel 387 Agostino ricevette il battesimo dalle mani
di Ambrogio, dal quale aveva appreso il valore dell'esegesi allegorica delle
Scritture. Egli intuì allora la superiorità metafisica del cristianesimo, che
risolveva il problema del male senza elevarlo al ruolo di principio sostanziale,
come avevano fatto i manichei, ma definendolo come privazione o assenza
d'essere. La filosofia, conoscenza dell'essere, avrebbe dunque dovuto illustrare
razionalmente ciò che per la fede è certezza assoluta: solo il percorso svolto
nell'interiorità dell'anima verso il riconoscimento del superiore livello della
fede corrisponde al cammino di salvezza che il cristianesimo
rappresenta.
Agostino fece ritorno in Africa
settentrionale, dove nel 391 venne ordinato sacerdote e nel 395 vescovo di
Ippona, in un periodo di disordini politici e conflitti teologici: mentre i
barbari premevano ai confini dell'impero, la Chiesa si vedeva minacciata da
scismi ed eresie. Agostino si dedicò totalmente alla lotta contro le dottrine
eretiche dei donatisti e dei pelagiani: i primi facevano dipendere la validità
dei sacramenti dal rigore morale di chi li amministra, mentre i secondi negavano
la dottrina del peccato originale. Nel corso di quest'ultimo conflitto, che fu
lungo e aspro, Agostino elaborò le sue dottrine sul peccato originale, la grazia
divina e la predestinazione.
Cercando una mediazione fra gli estremi del
pelagianesimo e del manicheismo, Agostino affermò la presenza del peccato
nell'uomo e la necessità dell'intervento della grazia divina per conseguire la
salvezza, al fine di confutare la dottrina pelagiana; contro i manichei, egli
difese invece la coesistenza di libero arbitrio e Grazia. Secoli dopo, gli
aspetti istituzionali ed ecclesiastici delle dottrine agostiniane incontrarono
il favore della Chiesa cattolica, mentre quelli più puramente teologici vennero
a costituire il nucleo fondamentale tanto della teologia cattolica quanto di
quella protestante.
L'importanza di Agostino è equiparabile a quella di san Paolo. La sua opera più nota, le Confessioni (400 ca.), è un'autobiografia dove si ritrova il cammino intellettuale che porta l'uomo al progressivo riconoscimento, nella sua interiorità, della Verità e del fatto che questa Verità è Dio di cui l'uomo è immagine e somiglianza. Nella Città di Dio (413-426), una vera e propria apologia del cristianesimo, Agostino elaborò una concezione teologica della storia. Dieci dei ventidue libri dell'opera sono dedicati alla polemica contro il panteismo, mentre i rimanenti dodici descrivono l'origine, la crescita e il destino della Chiesa, considerata peraltro come l'erede degli aspetti più nobili della cultura pagana: Dio determina le vicende storiche e alla città terrena, mossa da stolti appetiti, si contrappone la città di Dio, comunità dei giusti. Fra il 426 e il 427 Agostino compose le Ritrattazioni, in cui giudicò retrospettivamente tutte le proprie opere, correggendone gli errori. Fra gli altri suoi scritti vi sono le Epistole, che abbracciano il periodo compreso fra il 386 e il 429; i trattati Il libero arbitrio (389-395), La dottrina cristiana (397-426), Del battesimo contro i donatisti (400-401), Sulla trinità (399-419), Sulla natura e sulla grazia contro Pelagio (415), e studi su vari libri della Bibbia, in particolare sulla Genesi.
Il libero arbitrio ha una grande rilevanza in
teologia. Uno dei dogmi fondamentali della teologia cristiana sostiene che Dio è
onnisciente e onnipotente, e che ogni azione umana è preordinata da Dio. La
dottrina della predestinazione, il corrispettivo teologico del determinismo,
sembra escludere l'esistenza del libero arbitrio. Poiché moralità e astensione
dal peccato sono elementi fondamentali dell'insegnamento cristiano, com'è
possibile che gli individui siano moralmente responsabili se si accetta la
predestinazione? I teologi hanno cercato in ogni modo di risolvere questo
paradosso.
Sant'Agostino, il grande padre e dottore della Chiesa, credeva
fermamente nella predestinazione, sostenendo che soltanto gli eletti da Dio
avrebbero ottenuto la salvezza. Nessuno, comunque, può sapere se è tra gli
eletti: tutti sono quindi tenuti a vivere nel rispetto della religione e nel
timore di Dio. Per Agostino la libertà era il dono della Grazia divina. Contro
Agostino il monaco irlandese Pelagio e i suoi seguaci sostenevano che il peccato
originale riguardava solamente Adamo e non l'intero genere umano, e ognuno,
benché assistito dalla Grazia divina per raggiungere la salvezza, aveva completa
libertà di volere, nello scegliere o nel rifiutare la via tracciata da Dio. Alla
fine i teologi cattolici, per spiegare il libero arbitrio, enunciarono la
dottrina della "grazia preveniente", secondo la quale Dio concede agli individui
la grazia di scegliere di vivere in una condizione di Grazia.
Nella teologia cristiana, l'insegnamento secondo cui il destino eterno di una persona è predeterminato per immutabile decreto divino. La predestinazione non implica necessariamente una negazione del libero arbitrio. La maggior parte degli esponenti della dottrina sostiene che sia predeterminato unicamente il destino eterno di ciascuno, non le sue azioni, che rimangono libere. La dottrina tradizionalmente assume due forme: predestinazione singola, duplice predestinazione.
La doppia predestinazione è una conclusione tratta dalla predestinazione singola. Se alcuni godranno della presenza di Dio per sua decisione eterna, altri devono essere separati da Dio, ugualmente per suo decreto. Poiché salvezza e gloria sono predestinati, ne segue che anche condanna e distruzione devono essere predestinate. Il primo teologo a enunciare la dottrina della doppia predestinazione fu sant'Agostino nel V secolo, senza avere, però, molti continuatori. Il più noto esponente della doppia predestinazione fu Giovanni Calvino, secondo cui "predestinazione" è l'eterno decreto con il quale Dio ha deciso in sé che cosa sarà di ciascun uomo, perché non tutti sono stati creati per la stessa condizione; al contrario per alcuni è preordinata la vita eterna, per altri la dannazione eterna (Institutio 3.21.5). Dopo Agostino, i teologi cattolici hanno rifiutato la doppia predestinazione, sottolineando che non esiste alcuna predestinazione al male e che chi è dannato ne ha la piena responsabilità.
Per descrivere il rapporto tra fides et ratio, Agostino enuncia due formule: crede ut intelligas, intellige ut credas (credi per capire e capisci per credere). All'atarassia scettica si contrappone la desperatio verum inveniendi (disperazione per non trovare la verità). Con la fede Agostino supera l'epochè e cerca di confutare il dubbio scettico razionalmente, cioè illustrando razionalmente ciò che per fede è certezza assoluta. La prima certezza è dal dubbio e dall'errore l'uomo ricava la certezza di esistere "si fallor, ergo sum" (se sbaglio, allora esisto) e "in interiore homine habitat veritas" (la verità dimora nell'uomo interiore).
Noi vediamo che al mondo c' è un Dio buono, ma al tempo stesso c' è anche il male e la domanda che sorge spontanea è "Si deus est, unde malum?" (se c'è un Dio, da dove viene il male?). A questa domanda ci sono due possibili risposte:
Per questi motivi in terra non ci sarà mai una città celeste.