Agostino è considerato il Platone del cristianesimo, ma si dice anche di lui che è stato quello che ha battezzato il paganesimo, o meglio, che ha cercato di coniugare la cultura pagana con la religione cristiana. Agostino è stato molto importante sia per il cristianesimo sia per il protestantesimo, infatti Lutero riprese i concetti di fede e salvezza da Agostino. Anticipò anche un tema di psicanalisi che creò problemi a Freud stesso, ovvero che i bambini hanno la libido, contro la credenza radicata che i bambini fossero delle creature innocenti (ancora oggi si dice che i bambini sono la voce dell'innocenza). La sua fu una vita rocambolesca: nato da madre cristiana e padre pagano, ebbe un rapporto così morboso con la madre che decise di trasferirsi a Milano, quindi di tagliare tutti i ponti con Tegeste (nell'attuale Tunisia), città che gli diede i natali nel 354 d.C., e con Cartagine, dove insegnava retorica. Ma anche a Milano la madre lo raggiunse e lì ripudiò la donna sua concubina, tra l'altro anche madre del suo unico figlio, ai tempi del soggiorno a Cartagine speso per studiare retorica, si convertì al cristianesimo dopo aver rifiutato un matrimonio di interesse con una ricca vedova milanese. In realtà nel suo libro "Le confessioni", nel quale racconta il cammino della sua conversione, narra che la sua conversione avvenne nella chiesa che oggi è a lui intitolata a Ostia, dove morì anche la madre. Ritornato in Africa, venne acclamato a furor di popolo sacerdote e nel 397 divenne vescovo di Ippona, dove morì nel 430 durante l'assedio dei vandali. Agostino ad oltre ad opere filosofiche, si dedicò anche alla scrittura di opere contro le eresie che pullulavano all'epoca.
Inizialmente Agostino, da professore di
retorica, per di più manicheo, quindi di religione diversa da quella cristiana,
considerò la Bibbia come un'opera dal sermo humilis, cioè poco valida dal
punto di vista della retorica, non comprendendo che la Bibbia era scritta in
quel modo per essere comprensibile a tutti.
Il Manicheismo era una setta che
fondeva la religione cristiana a quella persiana. Sosteneva l'esistenza di due
principi, il bene e il male, inizialmente separati, e poi in un secondo momento
in compenetrazione fra loro. Ed è proprio questo momento che l'umanità sta
vivendo, in attesa di un terzo in cui il bene si dividerà e prevarrà sul male.
Al momento, quindi, ogni uomo può fare in modo di far prevalere il bene al suo
interno, quindi cercando di conoscere (gnosi). E in nome di questa gnosi i
manichei si opponevano alle Scritture dell'Antico Testamento, considerate false
e contraddittorie.
Ma c'è un primo passaggio che avviene in Agostino, ovvero
quello dalla retorica alla filosofia grazie alla lettura dell'Ortensio di
Cicerone. Scrive nelle Confessioni: "...Man mano che leggevo l'Ortensio
sentivo venir meno ogni aspettativa vana..." di raggiungere la gloria con la
retorica, ma capì che contava la ricerca della verità, ovvero la filosofia. Si
attestò quindi su posizioni scettiche, portando avanti un atteggiamento di
scepsi, cioè di dubbio e ricerca, e non si vuole per questo sottomettere
all'autorità della scrittura, che viene definita "Tremenda Auctoritas"e
anzi invita a "Sapere audere". Questo cambiamento dal Manicheismo alla
filosofia avviene perché il giovane Agostino capisce che il manicheismo non gli
offre certezze, perché al dubbio contrappone il dogma. Ma lo scetticismo di
Agostino non è radicale, ma è soprattutto un'opposizione al dogmatismo.
Ma la
scepsi comporta l'epoche, cioè la sospensione del giudizio, non offre
quindi certezze. Allora Agostino temette di cadere nella "Disperatio verum
inveniendi", ovvero nella disperazione di non riuscire a trovare la verità.
Ma lui voleva delle certezze, e in particolare la "certitudo salutis",
ovvero la certezza della salvezza. È evidente quindi l'influenza cristiana della
madre, che pur non essendo riuscita a convertire il figlio gli aveva comunque
dato un'impronta basata sul cristianesimo. Ma la certitudo salutis è una
certezza religiosa, non razionale, pertanto Agostino si risolse a sottomettersi
alla tremenda auctoritas, che divenne quindi la saluberrima
auctoritas, perché offriva la certezza della salvezza.
Agostino non temette più di sottomettersi alla Scrittura, perché essa permette all'uomo di raggiungere la verità che egli non arriva a concepire con la ragione. Ma una volta praticata l'operazione di sottomissione, l'uomo non deve essere un credulone, non si deve arrestare qui ma deve cercare di spiegarsi razionalmente quella verità raggiunta con la fede. Quindi la vera fides è quelle sostenuta dalla ragione. Per spiegare questo Agostino usò queste frasi latine:
Quindi Agostino afferma che la fede è vera
solo quando è accompagnata da una ricerca razionale, fin dove si arriva.
Consiglia insomma una sottomissione alla fede, alle Scritture, solo dove la
ratio non arriva a capire. Quindi salva fede e ragione, ma allo stesso tempo
riserva un ruolo di secondo piano alla filosofia greca, perché utilizzando lo
scetticismo si rivolge contro di lei con una dimostrazione del genere: la
filosofia non porta alla conoscenza, alla verità, come dimostrato dagli
scettici, e pertanto bisogna sottomettersi alla fede per cercare la
verità.
Quindi la filosofia diventa vera solo nel cristianesimo e Agostino
credette molto nella filosofia cristiana tanto da consigliare di diffidare dai
religiosi che non sono filosofi e dai filosofi che non sono religiosi. La
filosofia diviene quindi un'ancella della teologia, incaricata di dimostrare
razionalmente una verità che la fede ha già trovato, e arriva a definirla se
fine a se stessa solo una vana curiositas, perché cerca di capire il
mondo, ma comprendere il mondo è solo un mezzo per arrivare a Dio, non è il fine
della ricerca. Inoltre la filosofia, anche quella più vicina alla verità come
quella platonica, ha fallito nel suo intento perché animata da superbia, invece
il cristiano è umile perché è consapevole che la grazia, il sapere, vengono da
Dio e non da lui.
In realtà la cosa più importante è indagare se stessi.
Quindi la filosofia perde la sua connotazione di ricerca della verità e diviene
uno strumento di dimostrazione di una verità data per acquisita. Da questo punto
di vista Agostino supera Paolo di Tarso, la cui ricerca del sapere si limita
solo alla credenza per fede. La filosofia di Agostino con il circolo
fede/ragione è stata poi ripresa da una corrente filosofica contemporanea,
l'ermeneutica.
Dopo Agostino il rapporto fede/ragione rimarrà tale come
l'aveva teorizzato lui fino a Tommaso, che pone un dubbio rispetto alla
sicurezza agostiniana, e poi con la tarda scolastica si arriverà a scindere le
due, aut fides aut ratio. Hockam, pensatore moderno, dirà che a certe
cose, come l'esistenza di Dio, si crede solo per fede e mai per
ragione.
La filosofia è nata dal taumazein (lo
stupirsi) dell'uomo di fronte alla bellezza del to delon (ciò che si
vede), che quindi li spingeva ad aspirare alla ricerca della conoscenza.
Agostino tenta invece l'operazione opposta. Parte dalla convinzione che
"Nulla est homini causa philosophandi nisi ut beatus sit", ovvero che non
c'è alcuna altra causa che spinga l'uomo a filosofare se non la ricerca del
bene. In questo modo si oppone a quella che era stata la concezione della
filosofia fino a quel momento: dallo stupore si avvia la ricerca filosofica, che
ha come scopo la conoscenza del mondo.
Agostino si oppone e dice che il vero
fine della conoscenza umana è Dio, cioè la verità. Pertanto la conoscenza del
mondo fine a sé stessa è sola vana curiositas, il mondo può essere solo un mezzo
per arrivare a Dio e non il fine. Magari può aiutare l'uomo desiderare di
arrivare alla verità, ma è un cammino che si svolge nell'intimo dell'uomo perché
"In interiore homine habitat veritas". È quindi solo nella propria
interiorità, nella propria anima, che l'uomo può conoscere la verità, quindi Dio
e capire, sperimentare la fede, altrimenti se contempla l'esteriorità si sta
facendo confondere, distrarre, perché è vero quello che percepisce l'anima,
tappa obbligata per giungere alla verità trascendente. Il mondo è infatti
mutabile, può confondere, invece l'anima è immutabile perché è ratio, ma se
anche l'anima è mutabile, Agostino invita a trascenderla per arrivare là
"...donde il nume della ragione si accende...". Questo privilegiamento
dell'interiorità è poi la base per il soggettivismo moderno, che arriverà fino a
Cartesio (Cogito ergo sum, penso quindi esisto).
Sembra quasi che per
Agostino l'interiorità sia un qualcosa di diverso dal mondo, tant'è vero che
egli stesso afferma che "...Cristo ha liberato il mondo dal mondo...",
calcando posizioni quasi gnostiche. Qualcuno dice che abbia tradito il
cristianesimo originario, che è nato soprattutto come comunità e non come
interiorità. La Chiesa non è altro che, come dice Gesù Cristo, "due o più di
voi che si riuniranno nel nome mio, quella sarà Chiesa e io sarò con loro".
E San Paolo anche ci dice che la carità-amore si comprende solo perché si fa.
Amore che poi in Agostino rappresenta il motore del cammino verso la conoscenza,
perché si cerca solo per trovare solo quello che si ama. Fatto sta che questa
visione passerà fino al Seicento, quando Spinoza la capovolgerà criticando
Agostino e affermando che la sua interiorità forse rispecchia l'esteriorità del
mondo.
Anche in questo campo Agostino privilegia
l'interiorità rispetto alla rispetto all'esteriorità. Infatti alla domanda su
che cosa sia il tempo, Agostino immediatamente guarda all'anima per trovare la
risposta, criticando la concezione del tempo come misura del movimento come
Aristotele, che però si era posto la domanda se il tempo, in quanto numero,
esistesse in dipendenza dall'anima, la sola in natura capace di
numerare.
Agostino afferma che il tempo interiorizzato conta più di quello
oggettivo, perché solo all'interno dell'anima possono coesistere le tre
componenti del tempo: il presente, il passato e il futuro. Infatti nel tempo
oggettivo essere non esistono, perché il presente è in continuo fluire e
svanire, il passato non è più e il futuro non è ancora. Nell'anima infatti, il
passato continua a vivere come ricordo, il futuro non è irreale ma presente in
quanto attesa, il presente non fugge via ma dura nell'attenzione che noi diamo
alla realtà. Il tempo risulta tale (presente, passato, futuro) solo in quanto
distensione dell'anima non come tempo oggettivo, dove esiste solo un presente
che è un continuo fluire.
In questa concezione Agostino è molto più vicino ad
uno stoico come Seneca che ad un metafisico come Aristotele, di cui critica il
binomio tempo movimento. Al contrario il filosofo romano afferma che il tempo
dato ad ogni uomo è uguale, ma a seconda di come lo viviamo, esso nella nostra
interiorità risulterà maggiore o minore di quello oggettivo. Il saggio è quindi
colui che "...che abbraccia con il ricordo il passato, pregusta il tempo che
deve ancora venire, utilizza il presente. A lui rende lunga la vita questa
possibilità di unire tutti i tempi insieme. Brevissima è invece la vita di chi
dimentica il passato, trascura il presente e ha paura del futuro...". Per
quanto riguarda il rapporto tempo interiore/esteriore sembra quasi di rivedere
Agostino, che però non limita solo al saggio ma a tutti gli uomini il tempo come
distensione dell'anima.
Inoltre per Agostino, come poi per Plotino, il tempo
e l'eternità era due concetti separati, perché l'eternità era riservata al solo
Dio, immutabile, al contrario il tempo era stato creato come tutto il resto del
cosmo, e di esso ne scandisce le fasi. Ma il tempo, come tutto il creato, sarà
destinato a finire con il Giudizio Universale, che chiude una storia cominciata
con la Creazione e trascorsa in funzione di quello che verrà, ovvero la fine del
mondo. Agostino tratta la concezione del tempo escatologica anche nel De
Civitate Dei, e critica nettamente anche quella circolare.
Una delle tante eresie contro le quali
Agostino si batté, quella pelagiana, affermava che l'uomo poteva salvarsi da
solo, attraverso le sue forze esaltando la sua parte migliore. Essendo infatti
il peccato un abitudine dovuta al peccato originale da cui ognuno è corrotto,
essa può essere rimossa come la ruggine. Così l'uomo può liberarsi dei suoi
errori, del peso del suo passato e convertirsi a Dio recuperando una nuova
innocenza, vivendo nella fede e nella giustizia delle opere, meritando la grazia
di Dio. Sicuramente questa di Pelagio era un'antropologia ottimistica, al
contrario di quella di Agostino, che lo criticò apertamente.
Il filosofo di
Tegaste affermò che ormai l'uomo era stato corrotto dal peccato originale, a cui
lui stesso da un sistematizzazione dogmatica, tanto che qualcuno ritiene che sia
un'invenzione di Agostino, visto che nella Bibbia non è presente con tali
caratteristiche. È una deviazione (status deviazionis) che portò l'uomo,
che viveva nella perfezione e nella beatitudine del paradiso terrestre, a voler
essere simile al suo creatore e quindi a ribellarsi a lui. La colpa di Adamo
viene quindi trasmessa all'uomo ereditariamente, tale era la sua
gravità.
Agostino stesso affermava che il fatto che un bambino nascesse con
una colpa già a suo carico ci ripudia, ma altrimenti non si potrebbe spiegare il
motivo della sofferenza infantile, per quale colpa accade questo. Ma dobbiamo
anche ricordare che nel battesimo l'uomo rinasce a vita nuova e viene liberato
dal peccato originale, così almeno recita la formula, e quindi sorge spontanea
la domanda: neanche il battesimo salva dal peccato originale?
Ancora oggi il
dibattito è aperto e Agostino lo risolse a suo tempo in questo modo. È la grazia
di Dio a salvarci (Lutero, monaco agostiniano, riprenderà questo principio, sola
gratia), non siamo noi, perché siamo corrotti ormai irrimediabilmente dal
peccato originale. Ma a chi viene data la grazia e per quali meriti? Agostino
non sa spiegare il motivo per cui essa venga data a qualcuno sì e ad altri no.
Siccome è Dio che opera questa scelta, allora essa è sicuramente giusta. Da
queste convinzioni scaturirà la dottrina della predestinazione esposta nel De
Civitare Dei, ripresa poi da Calvino, che affermerà il successo economico è il
segno della predestinazione del singolo uomo alla grazia.
Oggi, nonostante le
numerose critiche successive all'interno della stessa filosofia cristiana ad
Agostino, nella Chiesa è rimasta questa concezione della grazia. Il papa nel
discorso fatto ai giovani in occasione della GMG 2000 afferma che la fede(che
permette poi di arrivare alla salvezza) è una grazia di Dio, ma essa non è data
solo ad alcuni, come riteneva Agostino, ma a tutti, tutto sta al singolo uomo
riceverla o rifiutarla, perché ognuno è stato dotato di libertà, cioè del libero
arbitrio. Il libero arbitrio in Agostino significa che l'uomo può scegliere se
accettare la grazia che Dio gli offre, e quindi fare il bene, e non accettarla,
e quindi continuare sulla strada del male.
Il problema della teodicea è vecchio quanto la
religione, ed è stato affrontato in tutte le epoche a partire dalla Bibbia
stessa nel libro di Giobbe e nelle Ecclesiaste. In particolare Giobbe si pone la
domanda sul perché Dio gli mandi tutti i mali possibili nonostante lui viva in
un modo giusto e abbia fede. E solo perché continua a credere egli viene
premiato (la famosa pazienza di Giobbe). Ma umanamente è difficile spiegarsi
come Dio possa mandare il male.
Agostino si pone il problema con una domanda
"Si Deus est, unde malum?", cioè se Dio esiste, da dove viene il male?
Dio è amore, bontà, pertanto il male è privatio boni, ovvero privazione
del bene. Questo concetto è ripreso da Plotino, che afferma che la materia è il
male perché essendo l'ultimo gradino dell'emanazione dell'Uno, essa non è altro
che privazione del bene, perché ne è lontana. Ma Agostino si distacca da questa
concezione per alcuni aspetti: per lui tutto ciò che discende da Dio è buono,
pertanto lo è ogni essere e quindi la totalità di essi: il cosmo. Questo lo
afferma nel De Libero Arbitrio "...omnia natura, in quantum natura,
bona est...", cioè tutta la natura, in quanto natura, è buona perché è opera
di Dio. L'uomo fa quindi il male non quando ama indirizza il suo volere verso un
oggetto cattivo, perché non ne esistono, ma quando sceglie un bene inferiore
invece di uno superiore. Il peccato è dunque amare qualcos'altro invece di Dio,
come ad esempio il piacere, il sapere fine a sé stesso (la filosofia fine a sé
stessa, che Agostino definisce vana curiositas) o il proprio io. Pertanto
il peccato è privazione del bene, cioè di Dio. Ma essa è dovuta al fatto che
l'uomo ha scelto il peccato, la ribellione all'epoca del paradiso terrestre. Ma
come si può riuscire a spiegare questo, visto che quello era uno stato di
perfezione. Semplicemente perché Dio ha dato all'uomo la libertà.
Qualcuno
ha allora criticato questa affermazione affermando che se Dio è onnisciente,
avrebbe dovuto prevedere che la libertà avrebbe sortito questi effetti e quindi
non avrebbe dovuto donarla all'uomo. Ma io ritengo che l'uomo sia tale solo se
dotato di libertà, altrimenti sarebbe come una bestia, non vincolato
all'istinto, perché ha la ragione, ma alla non libertà. Comunque la Bibbia
stessa non ci fornisce spiegazioni sufficienti alla nascita del male, come
afferma Von Rad, esso è senza eziologia, ovvero senza causa. Al contrario in
Agostino la responsabilità del male è addossata tutta sulle spalle dell'uomo,
che all'interno della libertà di scelta ha optato per la privatio boni,
anche perché se l'uomo fosse capace di fare solo il bene sarebbe Dio. In realtà
egli ha la capacità di fare il bene (anelare a Dio) e di fare anche il male
(anelare a sé stessi o qualcos'altro).
L'opera di Agostino De Civitate Dei
venne scritta in un periodo di tensioni politiche molto forti, come il sacco di
Roma da parte dei Goti nel 410. Alcuni vedevano quell'avvenimento come il segno
della fine dei tempi. Agostino parla di due città, una umana, nata da
"...amore di sé stessi fino a disprezzare Dio" (nata quindi dalla
privazione del bene, cioè Dio), e una divina, nata dall'"...amore di Dio fino
a disprezzare sé stessi...". Ma cosa sono? Sono delle città mistiche,
ideali, spirituali, non storiche. Scrive Agostino che queste due sono state
originate dallo stato di corruzione nel quale sono caduti gli uomini dopo il
peccato di Adamo, altrimenti ci sarebbe stato solo bisogno della Civitate Dei,
cioè della città di Dio. Questo lo spinge ad affermare che "...nonostante la
meravigliosa varietà di nazioni sparse per la terra [...] non esistono
tuttavia che due città umane. L'una è la città degli uomini che vogliono vivere
in pace secondo la carne; l'altra degli uomini che vogliono vivere in pace
secondo lo spirito..." cioè quella che vive secondo l'uomo e quella che lo
fa secondo Dio.
Ma quale origine hanno le due città? È la ribellione prima
degli angeli (Satana in testa) e poi dell'uomo che le ha rese necessarie. Ma
nella città di Dio erano rimasti dei posti a causa della ribellione degli
angeli. Ma chi li occuperà? Qui ritorna il tema della grazia insieme alla
dottrina della predestinazione. Non essendo possibile la salvezza con le proprie
opere, essa si raggiunge solo con la fede, data all'uomo per grazia. Quindi chi
riceve la grazia occuperà un posto nella Civitas Dei, e Dio fin
dall'inizio dei tempi ha stabilito per ognuno quale fosse la predestinazione,
alla salvezza o alla dannazione. In questo senso è telos (il fine) della
venuta di Gesù Cristo: redimere quegli eletti che Dio ha destinato a far entrare
nella propria città. E la Chiesa successivamente ha il compito di riunire gli
eletti per incamminarli verso il compimento del destino escatologico, verso il
quale si muove tutta la storia, che avrà fine (parusia, la fine di tutto)
proprio quando sarà completato il numero di eletti, di cui solo Dio conosce
l'entità. Dio è anche misericordioso perché permette all'uomo di rendere
visibile la salvezza attraverso la Chiesa, anche se poi essa si compie
attraverso la grazia. Il tal modo dopo il giudizio universale i cittadini di
ogni epoca della città di Dio potranno finalmente vivere in un mondo fuori dal
tempo, quindi eterno, nell'armonia perfetta e riceveranno da Dio il dono del
libero arbitrio finale, l'impossibilità di peccare, che rende l'uomo
praticamente uguale a Dio.
Per questo motivo c'è una ripresa della
concezione biblica escatologica del tempo: infatti esso ha un inizio, la
creazione, tappe intermedie che preparano la fine del mondo, ovvero il giudizio
universale, in cui esso avrà anche fine. Quindi le vie della storia sono
calpestate da cittadini delle due città in mescolanza fra loro. Agostino critica
anche la concezione circolare del tempo, perché a suo avviso impedisce il
raggiungimento della felicità, intesa come possesso stabile di un bene. Infatti
se la città di Dio non fosse eterna ma terminasse e l'uomo fosse di nuovo
costretto a "vivere" nel tempo in attesa di una nuova salvezza, non avrebbe la
certezza del possesso di stabile di un bene come quello della città di Dio, e
quindi perderebbe la speranza, che è poi il motivo che conferisce un senso alla
ricerca dell'uomo. Ma come si devono comportare i cittadini della Gerusalemme
Celeste? Questa, infatti, non si trova in questo mondo, nel saeculum.
Infatti questi sono pellegrini nel mondo, "peregrinans in hoc saeculo",
questa vita terrena è quindi solo un passaggio che prepara alla vita dopo la
morte nella città di Dio. Quindi Agostino getta le fondamenta per quel concetto
che dominerà tutto il medioevo portato fino alle estreme conseguenze: il "De
contemptu mundi".
Allora viene da chiedersi in quale rapporto siano i
cittadini della Gerusalemme Celeste con le autorità terrene, visto che sono
peregrinans in hoc saeculo? Agostino comunque afferma che bisogna
rispettare le leggi terrene. Questa visione di Agostino fu anche criticata da
alcuni teologi, che affermarono la necessità di cominciare a costruire il regno
di Dio già in questo mondo, e non aspettare che si realizzi fuori. A posteriori
possiamo dire che la modernità ha dato torto ad Agostino, visto il processo di
secolarizzazione cominciato formalmente con la Pace di Westfalia, con la quale
si decretava il passaggio di alcune proprietà della Chiesa alle autorità
statali, e poi realizzatosi con i vari "ismi" del '900. Solo nel secolo appena
concluso si è realizzata la fusione piena tra categorie umane e categorie
teologiche, il che è stato comportato dalla convinzione di poter realizzare il
paradiso già in terra. Quindi comunismo, fascismo, ecc. hanno assunto come
eskaton non la fine dei tempi ma la realizzazione del paradiso terrestre
sulla terra. Marx e Hegel teorizzavano che oltre il saeculum non ci fosse
nulla, regno di Dio compreso. Quindi era necessario realizzare la pace, la
libertà, insomma il paradiso, sulla terra, non aspettando la fine dei tempi. È
qui che deve nascere l'uomo nuovo.
Le dittature nazifasciste non nascono
forse dall'applicazione della categoria teologica del carisma agli uomini. Chi
erano Hitler o Mussolini se non dei leader carismatici, cioè delle persone che
avevano una forte presa sulle masse? E addirittura questi due arrivarono al
culto delle personalità, definendosi rispettivamente l'uomo della provvidenza e
il salvatore "Heil". In pratica si sono applicati delle categorie
prettamente teologiche. Poi tutti sappiamo che risultati ottennero!
Stessa
cosa può essere detta per la scienza attuale, che grazie alle sue conoscenze è
in grado di riprodurre la vita in laboratorio, cioè di fare una seconda Genesi,
di porre nell'uomo lo stesso potere di Dio, quello di creare la vita. Ma è
questa il vero progresso? O è solo un delirio di onnipotenza dell'uomo stesso,
che si vuole porre sullo stesso piano di Dio.
Conoscendo come è andata la
storia ritengo che Agostino aveva pienamente ragione a separare le categorie
teologiche da quelle umane, perché è sempre pericoloso applicare categorie
proprie di un essere perfetto per definizione all'uomo, la cui natura è
imprevedibile ed è capace di fare il sommo bene come il peggior male. Dobbiamo
considerare la realtà effettuale delle cose, non quella ideale. Ebbene, homo
homini lupus, ci dice Plauto, e ritengo, pur non condividendo in pieno, che
si sia un fondo di verità. Abbiamo visto come gli uomini della provvidenza ci
abbiano portato alla Seconda Guerra Mondiale, e anche l'uso spregiudicato della
manipolazione genetica potrebbe ritorcersi contro di noi, avete mai sentito
parlare di inquinamento genetico? Ritengo quindi che l'uomo non possa arrogarsi
le stesse qualità di Dio, perché non è come Dio, altrimenti, dice Leibniz, Dio
avrebbe creato sé stesso.