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Pio VI
Ubi lutetiam
1. Quando giunse a Parigi l’indulto apostolico relativo ad alcune facoltà straordinarie che Noi concedemmo il 19 marzo scorso a tutti gli Arcivescovi, ai Vescovi e agli amministratori di diocesi di Francia, subito i vostri confratelli abitanti in quella città, che avevano ottenuto quell’indulto a nome di tutto il corpo episcopale, capirono agevolmente che fra le facoltà a loro concesse era stata omessa quella di assolvere gli ecclesiastici estranei e, pensando che questo preciso particolare fosse dovuto ad una dimenticanza, si rivolsero di nuovo a Noi per chiederci che includessimo in una nuova formula anche questa facoltà.
2. Subito dopo i vostri confratelli dichiararono di non sapere se alla facoltà compresa nel primo articolo dello stesso indulto, cioè quella di assolvere chiunque da tutte le censure, sia laici, sia ecclesiastici secolari e regolari dei due sessi, e anche quelli che avevano aderito allo scisma e che avevano prestato giuramento civile perseverando in esso più dei quaranta giorni fissati nella lettera apostolica del 13 aprile dello scorso anno per non incorrere nella sospensione a divinis, fosse aggiunto il potere di assolvere anche gli ecclesiastici intrusi, il crimine dei quali è superiore al delitto di quelli che si sono vincolati soltanto con il giuramento civico e dei quali si è fatta menzione specifica in quell’articolo.
3. In questa incerta situazione, i Vescovi, con devota e scrupolosa cura, dichiararono di non pretendere affatto di superare i limiti delle facoltà loro attribuite, però, ricorrendo di nuovo a Noi per eliminare ogni motivo d’incertezza, Ci fecero capire che desideravano ardentemente che ai Vescovi fosse concessa la facoltà di riottenere per gli intrusi la grazia della Chiesa e di assolverli da ogni condanna, giacché questa facoltà non solo non costituirebbe alcun pericolo, ma potrebbe invece essere di grande utilità per la religione.
4. Questo vostro comportamento, diletti figli Nostri e Venerabili Fratelli è sicuramente degno del più grande apprezzamento, che Noi manifestiamo come già facemmo in altra occasione. Pertanto, pronti e ben disposti ad assecondare le vostre petizioni in tutto ciò che riterremo possa giovare al Signore, siamo venuti nella determinazione di investirvi di un nuovo più ampio potere che corrisponda ai vostri lodevoli intendimenti e contemporaneamente soddisfi alle regole canoniche e alle consuetudini della Chiesa.
5. È tuttavia necessario, prima di ogni cosa, considerare che da ciò che avete puntualmente appreso da Noi nella prima e nella seconda occasione, è evidente che fra le facoltà contenute nell’indulto generale Noi non intendevamo affatto includere quella di assolvere gli ecclesiastici intrusi. L’omissione di questa facoltà non può essere riferita a una dimenticanza. Infatti, rivedendo personalmente la Nostra lettera del 13 aprile 1791, nella quale si faceva menzione non solo del delitto di prestato giuramento civile, ma si era anche parlato dell’altro crimine del quale si erano macchiati gli invasori delle sedi vescovili e parrocchiali, non Ci potevano sfuggire gli aspetti pertinenti sia al primo che al secondo delitto. Se nel primo articolo citato fu da Noi ricordato chiaramente l’uno, e passato sotto silenzio l’altro, si può benissimo arguire che la concessione riguardava il caso di cui avevamo parlato e che quello passato sotto silenzio era riservato unicamente a Noi.
6. D’altra parte non lo cederemo mai ad altri, ma riserveremo solo a Noi il potere di assolvere gl’intrusi; il principale motivo senza dubbio è quello che fra l’una e l’altra infamia si frappone quel divario che è stato avvertito dai vostri stessi confratelli e che è evidente agli occhi di tutti. In realtà, per quanto sia grave il delitto imputato a quelli che, mettendo in mezzo anche il vincolo della Religione, si obbligarono ad osservare una costituzione che, stando al parere di tutto il corpo episcopale francese, così come alla Nostra solenne dichiarazione, è in parte eretica e in parte scismatica, tuttavia un’infamia molto maggiore e ben più grave è perpetrata da chi, deliberatamente e consapevolmente, si accinge ad eseguire ciò che aveva promesso sotto giuramento (cioè sacrilegamente o consacrato secondo il rito, se vescovo; sacrilegamente od ordinato secondo il rito, se prete) ed esercita così una missione e un’autorità illegittime e invade le chiese vescovili o parrocchiali; a tal punto separato da questa Sede Apostolica e dai Vescovi legittimi, accumula giorno per giorno, con velocità inaudita, tanti peccati quanti sono gli atti che compie secondo una giurisdizione illegittima; profana inoltre i più alti Sacramenti; induce miseramente le popolazioni nell’errore; porta nel regno una nuova chiesa costituzionale diversa dalla Chiesa di Gesù Cristo, sia nella sostanza che nelle leggi e nel nome; infine traccia di propria mano un’amplissima strada allo scisma.
Per rimuovere questo stato di cose, era giusto e doveroso ricorrere alla Santa Sede come quella che più di ogni altro subisce ingiustizia, e che può inoltre usare le opportune misure d’indulgenza che non si potrebbero facilmente e regolarmente applicare se la facoltà di assolvere fosse affidata all’arbitrio di molti.
7. Certamente non vi è ignoto, Venerabili Fratelli, quanta severità usava la Chiesa contro i responsabili di tali delitti. Facendo in ogni caso attenzione alla diversità esistente fra quelli che per loro sfortuna discendevano da genitori eretici o scismatici e quelli che, nati da genitori cattolici, passavano volontariamente dalla parte degli eretici, di fronte a quelli nati nell’eresia e nello scisma e a quelli diventati eretici e scismatici, sempre trattò questi ultimi molto più duramente in quanto considerati maggiormente responsabili. Questa severità di comportamento è stata rivolta in modo ancor più rigido contro gli ecclesiastici, tanto che conosciamo le minacce che furono fatte contro di loro, cioè che se qualcuno si fosse rivolto intenzionalmente ad un eretico e ne avesse ricevuto l’ordinazione, sarebbe stato respinto dalla Chiesa.
8. Questa severissima regola della Chiesa ci è ricordata da Sant’Innocenzo I. Scrivendo a Rufo e agli altri Vescovi della Macedonia, egli insegna che il Vescovo o il chierico ordinato nell’eresia o nello scisma o anche che vi sia caduto in seguito, può usufruire solo della comunione laica, secondo le antiche regole che, tramandate dagli Apostoli e dai loro discendenti, la Chiesa Romana custodisce. Anche se i Padri del primo Concilio di Nicea, usato un certo riguardo verso i Novaziani, concessero benevolenza al canone ottavo stabilendo che se i chierici fossero tornati alla Chiesa avrebbero continuato a far parte del clero, e chi era considerato Vescovo nella sua comunità avrebbe mantenuto l’incarico di prete, sempre che al vero Vescovo non fosse piaciuto confermargli la dignità della carica, tuttavia stabilirono che, prima di tutto, avrebbero dovuto, con argomenti più che convincenti, sconfessare il loro errore; inoltre decretarono che da loro fossero rispettate alcune regole, e cioè, in primo luogo: riconoscere, accogliere e seguire tutte le disposizioni e i dogmi della Chiesa cattolica e apostolica; in secondo luogo: riguardo a quelli che nel corso della persecuzione continuarono a cadere in errore fossero osservati gli spazi fissati e i tempi stabiliti per fare la prova del loro ravvedimento, cioè quei quattro gradi di penitenza che, secondo le norme allora vigenti, dovevano precedere la riconciliazione e la riammissione ai Sacramenti; infine, che abbandonassero le chiese occupate e le lasciassero ai legittimi Vescovi. È infatti cosa certa, come dissero i già citati Padri, che solo al Vescovo titolare deve essere riconosciuta la dignità vescovile e che nella stessa città non possono coesistere due vescovi.
9. Quando Rufo, Vescovo di Tessalonica, volle ricevere, in forza di questo canone di Nicea, i chierici ordinati dai Vescovi Fotiniani e, al riguardo, chiese consiglio a Sant’Innocenzo I, il Pontefice rispose: "Posso dire che questa prescrizione si riferisce solo ai Novaziani e che non può riguardare gli altri chierici eretici. Infatti, se avessero voluto comprendere tutti, avrebbero aggiunto ai Novaziani gli altri eretici pentiti per farli riammettere nel loro ordine". Senza dubbio il Santo Pontefice, in questa occasione, stabilì che non si può presentare con caratteristiche generali un condono applicato una volta tanto, ed è abbastanza evidente che fu quasi un atto amministrativo "come rimedio e necessità del momento".
10. Non fu diversa l’opinione di San Girolamo. Infatti, parlando al Sinodo di Rimini dei Vescovi caduti in errore, dichiarò che essi, spogliati delle prerogative episcopali, dovessero essere riportati allo stato laicale per piangere in eterno sul loro delitto. Tuttavia il Santo Dottore osservava che si poteva moderare alquanto questo rigore. Perché tale clemenza fosse accompagnata da regole precise, nel Sinodo di Alessandria, al quale intervennero S. Atanasio, S. Ilario di Poitiers S. Eusebio di Vercelli, si ritenne di stabilire che verso i principali delitti e i relativi responsabili, dei quali non si poteva scusare l’errore, si conservasse intatta l’antica regola e che gli altri pentiti sinceri si potessero associare alla Chiesa. Tutta la Chiesa Romana Occidentale diede il suo consenso, come conferma lo stesso San Girolamo.
11. Non ci discosteremo minimamente dall’equità e dall’indulgenza, accettate in seguito dalla Chiesa, se, rispondendo alla vostra domanda generica sulla facoltà di assolvere gli intrusi, distingueremo i preti e gli altri ecclesiastici di ordine inferiore dagli Arcivescovi e dai Vescovi di ordine superiore. Ai preti e agli altri ecclesiastici, in quanto spetti, da Noi inclusi nella quarta e quinta classe della lettera apostolica del 19 marzo scorso, concediamo per un anno, a ciascuno, diletti figli Nostri e Venerabili Fratelli, la facoltà di assolvere direttamente o per mezzo di preti da voi incaricati, tutti coloro che, ordinati sia illegittimamente, sia legittimamente, occuparono un’intera parrocchia o anche una sola parte e, delegati da Vescovi intrusi, vi esercitarono atti ufficiali, e di riportarli in seno alla Chiesa di modo che, rispettando l’indulgenza del predetto canone ottavo del Concilio di Nicea, possano rimanere nel clero.
12. E perché tali assoluzioni non siano elargite inconsultamente o non siano discordanti tra loro. Ci uniformeremo al suddetto Concilio di Nicea e ai principi più favorevoli della disciplina ecclesiastica: ordiniamo che nessuno degli intrusi sia assolto se prima non abbia sconfessato per iscritto il giuramento civico e gli errori contenuti nella Costituzione civile del clero francese e non abbia dichiarato specificamente che le ordinazioni ricevute o concesse dagli intrusi sono sacrileghe, che l’autorità da loro conferita non è valida, che l’intrusione è iniqua e nulla, così come gli atti che ne sono derivati, e non abbia promesso con giuramento di obbedire a questa Sede Apostolica e ai legittimi Vescovi, e infine che abbia realmente rinunciato alla parrocchia o alla parte di essa occupata; rinuncia e abdicazione debbono essere pubbliche così come fu pubblica la colpa, imponendo a ciascuno di essi "secondo ciò che suggeriranno il sentimento e la saggezza – come dicono i Padri Tridentini – delle soddisfazioni salutari e adatte alla qualità del delitto e alla condizione dei penitenti", in sostituzione dei gradi della penitenza pubblica che, vigente al tempo del Concilio di Nicea, è stata più tardi mitigata dalla benevolenza della Chiesa. Riserviamo a Noi la facoltà di permettere, a quelli che saranno assolti, di avere e di conservare i benefici e le parrocchie da loro occupati e posseduti illegalmente.
13. Mentre vi concediamo questa più ampia facoltà di assolvere anche gli ecclesiastici di ordine inferiore dall’infame sacrilegio dell’intrusione, per la verità non possiamo non rivolgerci ancora paternamente a voi e a quei tali ecclesiastici. A voi, ripetiamo, affinché usiate con cautela la facoltà concessa a scopo di edificazione e osserviate scrupolosamente quelle condizioni che vi sono state prescritte; agli ecclesiastici pentiti, perché si avvalgano con animo riconoscente della nostra indulgenza, senza simulazione alcuna, in quanto non sarebbe per loro di nessun vantaggio, ma li spingerebbe verso una rovina maggiore. Infatti, assolti davanti alla Chiesa, non lo sarebbero affatto davanti a Dio e trasformerebbero il rimedio in veleno. Se quelli che rinnegano se stessi non possiedono lo Spirito Santo, certamente non lo potrà ricevere chi sta falsamente nella Chiesa, poiché sta scritto: "Lo Spirito Santo rifugge dal falso". Perciò, chi vuole possedere lo Spirito Santo, si guardi dall’entrare nella Chiesa sotto mentite spoglie; ma se già vi entrò così, eviti di persistere in tale simulazione, se vuole rimanere strettamente unito all’albero della vita.
14. Inoltre, al fine di rimuovere ogni ambiguità, aggiungiamo che i poteri compresi nel già citato indulto generale, nonché quelli contenuti in questa lettera, si intendano concessi sia agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi, sia agli stranieri le cui popolazioni e diocesi si estendono nel regno di Francia
15. Altresì, per quanto riguarda gli Arcivescovi e i Vescovi dell’ordine ecclesiastico superiore, siano consacratori e assistenti, o essi stessi intrusi o anche solo vincolati dal giuramento civico, fanno tutti parte della prima, seconda e terza classe della Nostra lettera del 19 marzo scorso, e riteniamo sia opportuno riservare unicamente a Noi e ai Nostri successori la facoltà di assolverli. Sulla loro defezione, infatti, ricade un giudizio che è molto più grave degli altri e li supera di gran lunga, dal momento che alcuni di loro sono i capi di tutta l’infame situazione; tutti possono veramente essere considerati gli autori del fatale scisma che imperversa rovinosamente per tutto codesto regno, tanto più che, secondo i ricordati canoni, meritano che contro di loro si proceda con maggior rigore. Tuttavia non vogliamo certamente che per questa riserva il loro animo si abbatta e s’infranga, ma desideriamo ardentemente che la loro fiducia si risollevi tanto da rivolgersi verso la Madre comune e rifugiarsi prontamente nel suo seno. Se poi il loro pentimento sarà sincero e vorranno condannare con convincenti riparazioni i loro misfatti e rinunciare alle chiese occupate, Noi, e l’abbiamo già dichiarato col Papa San Leone e allo stesso modo lo dichiariamo di nuovo, li accoglieremo a braccia aperte e li chiameremo a godere, in concordia, della pace e della Nostra comunione. Le Nostre come le vostre intenzioni non mirano ad altro che a ricondurre all’ovile i dispersi, a porre finalmente termine allo scisma, come ininterrottamente supplichiamo in lacrime Dio Ottimo Massimo.
16. Dopo tutto ciò, se mai ce ne fosse bisogno, vi informeremo su un certo scritto che Ci è stato appena ora trasmesso. Si tratta di uno scritto che gli scismatici, non sperando più di poter difendere oltre la loro autorità, disprezzata da tutti e ormai annientata, hanno avuto l’ardire di divulgare con il Nostro nome sotto il titolo di Breve, redatto in lingua francese e tedesca e, in più, come se fosse dato "a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del pescatore, il giorno 2 aprile del 1792", cioè quattordici giorni dopo l’ultima Nostra lettera scritta il giorno 19 del marzo scorso. Questo falso Breve, il cui inizio è "Il Nostro cuore paterno", con inaudita temerarietà dichiara false tutte le lettere apostoliche da Noi redatte e pubblicate contro la Costituzione civile del clero francese; i suoi autori e sostenitori spogliano questa Santa Sede del suo primato giurisdizionale, continuano a celebrare con infinite lodi tutta la Costituzione, esortando le popolazioni ad obbedire ai Vescovi e ai parroci costituzionali.
17. Oh, malaugurata astuzia! come se non fosse evidente a tutti il tono falso e calunnioso di questo scritto, sia guardando il luogo da dove si finge che sia stato emesso – Noi il giorno 2 del mese di aprile abitavamo, come del resto tuttora, non a Santa Maria Maggiore, ma in San Pietro – sia considerando l’intero contesto e il nesso del discorso così come è stato concepito. Infatti, usando il solito linguaggio ingannatore a loro tanto familiare, non aggiungono alcun argomento che non sia stato cento volte controbattuto e respinto e, altrettanto a ragione, si può dire che in quel testo vi sono tanti errori quante sono le parole. Nondimeno, perché gli ingenui non siano ingannati, Noi, coerenti con quello che dicemmo nell’ultima Nostra Lettera contro siffatti documenti perversi, dichiariamo quello scritto falso, immaginario, calunnioso, eretico e scismatico, perciò lo respingiamo, lo riproviamo e lo condanniamo. Quanto più grandi sono le frodi dei Nostri avversari, maggiore deve essere la Nostra e la vostra vigilanza. Questa vi raccomandiamo più che mai e, per il momento, a voi, diletti figli e Venerabili Fratelli e ai greggi affidati alle vostre cure impartiamo con grande affetto l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 13 giugno 1792, anno diciottesimo del Nostro Pontificato.