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Leone XIII
Cum multa sint


Pur essendo molti i meriti per cui eccelle la generosa e nobile nazione Spagnola, tuttavia è da porre in primo piano quello di aver conservato (dopo il vario succedersi di vicende e di uomini) l’antico e quasi ereditario amore per la fede cattolica, con il quale parvero sempre congiunte la salute e la grandezza del popolo Spagnolo. Molti motivi confermano un siffatto amore: specialmente il grande rispetto verso questa Sede Apostolica, del quale gli Spagnoli offrono spesso chiara testimonianza con ogni sorta di espressioni, con lettere, con generosità, con pellegrinaggi affrontati per motivi religiosi. Né si perderà la memoria di questi ultimi tempi in cui l’Europa ammirò il loro animo parimenti forte e puro, quando avversi eventi turbarono la Sede Apostolica. In tutti questi fatti, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, oltre ad una speciale grazia di Dio Noi ravvisiamo il frutto della vostra vigilanza e il lodevole comportamento del popolo stesso che in tempi così ostili al cattolicesimo si stringe con tanto zelo alla religione avita e non esita ad opporre alla grandezza dei pericoli pari grandezza e fermezza d’animo. Certamente non vi è nulla che con ragione non si possa sperare dalla Spagna, se a tale disposizione degli animi daranno sostegno l’amore e una durevole concordia di volontà.

Ma a questo proposito non nasconderemo la realtà; pensando al modo di agire che alcuni cattolici di Spagna ritengono giusto adottare, l’animo Nostro è colto da un certo dolore che ha qualche somiglianza con quell’ansiosa sollecitudine sofferta un tempo dall’Apostolo Paolo per causa dei Corinzi. Si era conservata costà una sicura e tranquilla concordia dei cattolici, sia tra loro, sia soprattutto coi Vescovi; a tal proposito Gregorio XVI, Nostro Predecessore, giustamente lodò il popolo Spagnolo poiché gran parte di esso "perseverava nel suo antico rispetto verso i Vescovi e verso i pastori più umili, costituiti secondo i canoni" . Ora però, sopraggiunte le passioni di parte, appaiono tracce di dissensi che dividono gli animi quasi in diverse schiere, e non poco turbano quelle stesse società che si erano formate per merito della religione. Accade spesso che tra coloro che discutono circa il modo migliore di difendere il cattolicesimo, l’autorità dei Vescovi sia considerata meno del dovuto. Anzi, talora se il Vescovo dà un suggerimento, se prende una decisione conforme ai propri poteri, non mancano coloro che provano fastidio o apertamente contestano, mostrando di credere che egli abbia voluto favorire gli uni e nuocere ad altri.

In verità si avverte chiaramente quanto sia importante conservare intatta la concordia degli animi, tanto più che fra una così rilevante e diffusa licenza di opinioni aberranti, in una così aspra e insidiosa ostilità verso la Chiesa cattolica, è assolutamente necessario che tutti i cristiani, unendo le loro forze e con il più attivo concorso delle volontà, resistano in modo da non soccombere separatamente, vinti dall’astuzia e dall’impeto degli avversari. Pertanto, sospinti dal pensiero di siffatte difficoltà, con questa lettera facciamo appello a Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, e vi chiediamo con insistenza che, come interpreti dei Nostri salutari ammonimenti, usiate la Vostra prudenza e la Vostra autorità per consolidare la concordia.

Sarà inoltre opportuno, in primo luogo, ricordare la interdipendenza delle questioni religiose e civili, poiché molti cadono nell’errore opposto. Taluni infatti sono soliti distinguere la politica dalla religione, non solo ma addirittura le disgiungono nettamente in modo che nulla vi vogliono scorgere di comune né ritengono che l’una possa influire sull’altra. Costoro, per certo, non sono molto lontani da chi preferisce una società costituita e amministrata senza Dio Creatore e Signore di tutte le cose, e incorrono in un errore tanto più grave in quanto avventatamente sottraggono allo Stato una copiosa fonte di beni. Infatti, dove la religione viene soppressa, è inevitabile che vacilli la solidità di quei principi che sono il fondamento della salute pubblica, che ricevono grande vigore dalla religione e che consistono soprattutto nel governare con giustizia e moderazione, nell’ubbidire per coscienza del proprio dovere, nel domare con la virtù la cupidigia, nel dare a ciascuno il suo, nel rispettare i beni altrui.

Ma come si deve evitare un errore tanto empio, così anche si deve rifuggire dalla contraria opinione di coloro che mescolano la religione con qualche fazione civile e le confondono in un unico insieme fino al punto che coloro che sono di altro partito sono ritenuti quasi disertori del cattolicesimo. Questo significa sospingere avventatamente le fazioni politiche nel campo augusto della religione: voler spezzare la concordia fraterna, spalancare l’ingresso e la porta a una funesta serie di sventure.

Pertanto è necessario che si tengano separate, nel giudizio e nella opinione, la sfera del sacro da quella della politica, che per origine e per natura sono distinte. Infatti questo genere di questioni civili, per quanto oneste e serie di per se stesse, non oltrepassano mai i confini della vita che conduciamo in terra. Invece la religione che, nata da Dio, a Dio tutto riconduce, si espande più in alto e raggiunge il cielo. Essa infatti questo vuole, a questo tende: a educare l’animo, che è la parte più nobile dell’uomo, nella conoscenza e nell’amore di Dio e a condurre sicuramente tutto il genere umano nella futura città che andiamo cercando. Perciò è giusto che si consideri di ordine superiore la religione e tutto ciò che ad essa è collegato con un vincolo particolare. Da ciò deriva che, essendo il sommo bene, essa deve conservarsi integra nella varietà delle umane vicende e nelle stesse mutazioni delle comunità statali: infatti essa abbraccia tutte le distanze di tempo e di luogo. I fautori di partiti opposti, pur dissentendo in parte, devono poi tutti convenire sulla necessità che il cattolicesimo sia fatto salvo nel consorzio umano.

A codesto nobile e necessario devono tendere con ardore, e quasi stretti ad un patto, tutti coloro che amano il nome cattolico; devono tacere un poco sulla questione politica, pur essendo diverse le opinioni che si vorrebbero imporre e che al momento opportuno possono essere difese in modo legittimo e onesto. Infatti la Chiesa non condanna affatto attività di tal genere se non contrastano con la religione e con la giustizia; ma estranea ad ogni chiassoso contrasto, continua l’opera sua in favore del comune vantaggio, nell’amare con sentimento materno tutti gli uomini, soprattutto coloro la cui fede e pietà sono più grandi.

La concordia di cui abbiamo parlato è il fondamento stesso del cristianesimo e di ogni bene ordinata repubblica; cioè l’obbedienza al legittimo potere che, comandando, vietando, guidando, rende pienamente concordi i mutevoli animi degli uomini. A questo proposito ricordiamo cose note e conosciute da tutti: tali tuttavia da non serbare soltanto nella memoria ma da rispettare nei costumi e nel comportamento quotidiano come regola della propria attività. E come il Pontefice Romano è maestro e principe di tutta la Chiesa, così i Vescovi sono i rettori ed i capi delle Chiese che i singoli, secondo il rito, hanno il mandato di governare. È buona norma che essi, ciascuno nella propria giurisdizione, presiedano, ammaestrino, correggano e in generale decidano sulle questioni che riguardano la vita cristiana. Infatti essi sono partecipi della sacra potestà che Cristo Signore ricevette dal Padre e lasciò alla Sua Chiesa: per questo motivo il Nostro Predecessore Gregorio IX disse ai Vescovi: "Non abbiamo alcun dubbio che i chiamati ad affrontare parte dei Nostri doveri religiosi sono da considerare vicari di Dio" . E questo potere appartiene ai Vescovi con sommo vantaggio di coloro sui quali esso si esercita: infatti per sua natura mira alla "edificazione del corpo di Cristo" e agisce in modo che ogni Vescovo unisca e quasi incateni nella comunione della fede e della carità i cristiani ai quali è preposto, tra loro e col Sommo Pontefice, come membra con il capo. In materia è importante la sentenza di San Cipriano: "La Chiesa consiste in loro, nel popolo che si aduna attorno al sacerdote, nel gregge che si stringe attorno al suo Pastore" . Più importante è quest’altra: "Devi sapere che il Vescovo è nella Chiesa, e la Chiesa nel Vescovo, e se qualcuno non è col Vescovo, non è nella Chiesa" . Tale è la costituzione della repubblica cristiana, ed è immutabile e perenne; se non verrà religiosamente osservata, è inevitabile che sopravvenga un profondo turbamento dei diritti e dei doveri una volta che venga sciolto l’ordinamento delle membra, sapientemente unite nel corpo della Chiesa, "il quale, strutturato e costruito con nessi e correlazioni, cresce in gloria di Dio" (Col 2,19). Da tutto ciò risulta che verso i Vescovi occorre usare il rispetto dovuto alla dignità del loro ufficio, e che occorre obbedire in quei casi che rientrano nel loro potere.

Considerate dunque le passioni che costì agitano molte coscienze in questi tempi, non solo esortiamo ma scongiuriamo tutti gli Spagnoli perché si ricordino di questo così importante dovere. E specialmente procurino con ogni impegno di praticare la modestia e l’obbedienza coloro che fanno parte del Clero, le parole e l’azione dei quali hanno ovunque grande influenza in ogni parte come esemplari. Sappiamo che quanto essi fanno nell’adempimento del proprio dovere sarà assai fruttuoso per loro e salutare per il prossimo se si piegheranno agli ordini e al cenno di colui che regge le sorti della Diocesi. Invero, i sacerdoti che si abbandonano alle passioni di parte in modo da sembrare più solleciti dei beni umani che dei celesti, non si comportano come esige la loro missione. Comprendano dunque che si devono guardare dal varcare i limiti della serietà e della misura. Adottata questa cautela, siamo certi che il Clero Spagnolo si renderà ogni giorno più benemerito, con la virtù, con la dottrina, col sacrificio, non meno della salute delle anime che del progresso civile.

In soccorso dell’opera sua giudichiamo assai opportune quelle associazioni che sono come le schiere ausiliarie nel promuovere il cattolicesimo. Pertanto approviamo la loro istituzione e la loro attività, e desideriamo vivamente che, crescendo in numero e in impegno, producano frutti sempre più abbondanti. Invero, qualora essi si propongano la tutela e la diffusione del cattolicesimo, e le questioni cattoliche siano affrontate nelle singole Diocesi dal Vescovo, ovviamente consegue che esse siano soggette ai Vescovi ed è doveroso attribuire gran merito alla loro autorità e al loro comando. E non meno essi devono impegnarsi nel preservare l’unione degli animi: infatti è in primo luogo comune ad ogni gruppo di persone far derivare la loro forza ed efficienza dal concorso delle volontà; quindi sommamente conviene che in tali sodalizi risplenda il mutuo amore, il quale deve essere compagno di ogni opera buona e distinguere i seguaci della dottrina cristiana come un segnale e un vessillo. E siccome gli associati possono facilmente avere opinioni diverse circa lo Stato, perché non sia spezzata la concordia degli animi dalle opposte passioni di parte, occorre ricordare a qual fine tendano le associazioni che prendono il nome di cattoliche; nel prendere decisioni, occorre volgere gli animi verso l’unico proposito di non appartenere a nessuna fazione, memori della divina sentenza di San Paolo: "Tutti voi che siete battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non vi è più Giudeo né Greco, non vi é più schiavo né uomo libero... tutti voi, infatti, siete uno in Cristo" (Gal 3,27-28). In questo modo si avrà il vantaggio che non solo i singoli soci ma anche le varie associazioni del genere si troveranno tra loro in amichevole e benevolo rapporto: il che occorre perseguire con grande zelo. Deposte dunque, come dicemmo, le passioni di parte, saranno anche rimosse le prevalenti cause di nefaste competizioni; ne verrà di conseguenza che una sola causa attiri a sé tutti, in quanto eccelsa e nobilissima, tale da non consentire alcun dissenso tra i cattolici degni di questo nome.

Infine è di grande importanza che si adeguino a questa stessa disciplina coloro che con gli scritti, specialmente se quotidiani, combattono per l’integrità della religione. Ci è noto a qual fine essi tendano, e con quanta volontà si battano, né possiamo fare a meno di rivolgere loro la giusta lode di meritarsi il nome di cattolici. Invero la causa da essi abbracciata è tanto eccellente e sublime che richiede molte qualità, alle quali non devono venir meno i difensori della giustizia e della verità: infatti essi, adempiendo ad un dovere, non possono trascurare gli altri. Dunque, gli avvertimenti che rivolgemmo alle associazioni, li rivolgiamo anche agli scrittori, affinché, rimossi i contrasti, assicurino con la dolcezza e la mansuetudine l’unione degli animi sia tra loro, sia nel popolo: l’opera degli scrittori, infatti, ha molto potere su entrambe le parti. Nulla poi è così avverso alla concordia come le parole aspre, i sospetti temerari, le simulazioni sleali: pertanto è necessario rifuggire con la massima cautela da tutto ciò, fino ad odiarlo. Per i sacri diritti della Chiesa, per i principi del cattolicesimo non si ricorra ad aspre dispute, ma queste siano moderate e temperate, tali da assicurare allo scrittore la vittoria nel conflitto, più con il peso della ragione che con uno stile troppo veemente ed aspro.

Siamo convinti che queste norme pratiche possono contribuire moltissimo a rimuovere le cause che impediscono la perfetta concordia degli animi. Sarà vostro compito, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, farvi interpreti del Nostro pensiero presso il popolo e impegnarvi per quanto vi è possibile, in modo che tutti regolino la loro vita quotidiana secondo quanto dicemmo. Confidiamo che gli Spagnoli seguiranno spontaneamente questi precetti, sia per la nobile disposizione d’animo verso questa Sede Apostolica, sia per gli auspicabili benefìci della concordia. Richiamino alla memoria i domestici esempi; pensino che i loro antenati, se compirono molte imprese, in patria e altrove, con splendido valore, questo avvenne non certo per aver dissipato le energie nelle contese, ma per aver agito con animo e mente concordi. Infatti, animati da amore fraterno e "avendo gli stessi sentimenti l’uno per l’altro", trionfarono sul vessatorio dominio dei Mori, sulla eresia, sullo scisma. Seguano dunque le orme di coloro da cui trassero la fede e la gloria e imitandoli facciano in modo di essere riconosciuti non solo eredi di quel loro nome, ma anche delle loro virtù.

D’altra parte riteniamo, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, che per ottenere l’unione degli animi e l’uniformità della disciplina, giovi che vi riuniate in consiglio, quanti siete nella vostra provincia di residenza, tra voi e con l’Arcivescovo, per consultarvi insieme sui comuni problemi; quando poi la situazione lo richieda, è opportuno rivolgersi a questa Sede Apostolica, da cui promanano l’integrità della fede e la virtù della disciplina insieme con la luce della verità. I pellegrinaggi che ovunque dalla Spagna si dipartono, offrono, in proposito, una agevole opportunità d’incontro. Infatti a comporre dissidi e a dirimere controversie nulla è più idoneo della voce di Colui che Cristo Signore, Principe della Pace, designò come vicario del Suo potere, nonché l’abbondanza dei carismi celesti che in gran copia emanano dai sepolcri degli Apostoli.

Ma poiché "ogni nostra capacità viene da Dio" pregate fervidamente Dio insieme con Noi perché renda efficaci le Nostre ammonizioni e disponga l’animo dei popoli pronto all’obbedienza. L’augusta Madre di Dio Maria Vergine Immacolata, patrona degli Spagnoli approvi le comuni imprese; ci assista l’Apostolo Giacomo; ci assista Teresa di Gesù, vergine legislatrice, grande luce di Spagna, nella quale l’amore della concordia, la carità di patria, l’obbedienza cristiana rifulsero come ammirevole esempio.

Frattanto, auspice di celesti doni e testimonianza della Nostra paterna benevolenza verso Voi tutti, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, e verso tutte le genti di Spagna, impartiamo con affetto, in nome del Signore, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 dicembre 1882, anno quinto del Nostro Pontificato.


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