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Giovanni Paolo II
Redemptionis donum
I. Saluto
Carissimi fratelli e sorelle in Cristo Gesù.
1. Il dono della redenzione, che questo anno giubilare straordinario mette particolarmente in luce, porta con sé una speciale chiamata alla conversione e alla riconciliazione con Dio in Cristo Gesù. Mentre il motivo esteriore del presente giubileo ha carattere storico - si celebra, infatti, il 1950° anniversario dell’evento della croce e della risurrezione -, contemporaneamente domina in esso il motivo interiore, unito con la profondità stessa del mistero della redenzione. La Chiesa è nata da questo mistero, e di esso vive in tutta la sua storia. Il tempo del giubileo straordinario ha un carattere eccezionale. La chiamata alla conversione e alla riconciliazione con Dio significa che dobbiamo meditare più a fondo sulla nostra vita, sulla nostra vocazione cristiana alla luce del mistero della redenzione, per radicarle sempre di più in esso.
Se questa chiamata riguarda tutti nella Chiesa, in modo speciale essa tocca voi, religiosi e religiose, che, nella consacrazione a Dio mediante il voto dei consigli evangelici, tendete a una particolare pienezza di vita cristiana. La vostra specifica vocazione e l’insieme della vostra vita nella Chiesa e nel mondo attingono il loro carattere e la loro forza spirituale dalla profondità stessa del mistero della redenzione. Seguendo il Cristo per la via "stretta... e angusta" (Mt 7,14), voi sperimentate in modo straordinario quanto è "grande presso di lui la redenzione": "copiosa apud eum redemptio" (Sal 130,7).
2. Perciò, mentre quest’anno santo sta avviandosi verso la sua conclusione, desidero rivolgermi in modo particolare a voi tutti, religiosi e religiose, che siete interamente consacrati alla contemplazione o votati alle diverse opere dell’apostolato. Ciò ho già fatto in numerosi luoghi e in diverse circostanze, confermando e prolungando l’insegnamento evangelico contenuto in tutta la tradizione della Chiesa, specialmente nel magistero del recente Concilio ecumenico, dalla costituzione dogmatica "Lumen Gentium" al decreto "Perfectae Caritatis", nello spirito delle indicazioni dell’esortazione apostolica del mio predecessore Paolo VI "Evangelica Testificatio". Il Codice di diritto canonico, che è entrato recentemente in vigore e si può considerare in qualche modo come l’ultimo documento conciliare, sarà per voi tutti un aiuto prezioso e una guida sicura nel precisare in concreto i mezzi per vivere fedelmente e generosamente la vostra magnifica vocazione ecclesiale.
Vi saluto con l’affetto del vescovo di Roma e successore di san Pietro, col quale le vostre comunità rimangono unite in modo caratteristico. Dalla stessa sede romana giungono anche, con un’eco incessante, le parole di san Paolo: "Vi ho promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo" (2Cor 11,2). La Chiesa, che raccoglie dopo gli apostoli il tesoro delle nozze con lo Sposo divino, guarda con sommo amore verso tutti i suoi figli e tutte le sue figlie, che con la professione dei consigli evangelici hanno stretto, attraverso la sua mediazione, un’alleanza privilegiata col Redentore del mondo.
Accogliete, dunque, questa parola dell’anno giubilare della redenzione proprio come una parola d’amore, che la Chiesa pronuncia per voi. Accoglietela dovunque voi siate: nella clausura delle comunità contemplative o nella dedizione al multiforme servizio apostolico: nelle missioni, nell’azione pastorale, negli ospedali o in altri luoghi, dove viene servito l’uomo che soffre, negli istituti educativi, nelle scuole o nelle università e, infine, in ciascuna delle vostre case, dove rimanete "riuniti nel nome di Cristo" con la consapevolezza che il Signore è "in mezzo a voi" (Mt 18,20).
Che la parola d’amore della Chiesa, a voi indirizzata nel giubileo della redenzione, sia il riflesso di quella parola d’amore che Cristo stesso ha indirizzato a ciascuno e a ciascuna di voi, pronunciando un giorno quel misterioso "seguimi", dal quale ha preso inizio la vostra vocazione nella Chiesa.
II. Vocazione
"Gesù, fissatolo, lo amò"
3. "Gesù, fissatolo, lo amò" (Mc 10,21) e gli disse: "Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo: poi vieni e seguimi" (Mt 19,21). Anche se sappiamo che queste parole, dette al giovane ricco, non furono accolte dal chiamato, tuttavia il loro contenuto merita un’attenta riflessione. Esse, infatti, ci presentano la struttura interiore della vocazione.
"Gesù, fissatolo, lo amò". Questo è l’amore del Redentore: un amore che scaturisce da tutta la profondità divino-umana della redenzione. In esso si riflette l’eterno amore del Padre, che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). Il Figlio, investito da quest’amore, accettò la missione del Padre nello Spirito Santo, e divenne il Redentore del mondo. L’amore del Padre si è rivelato nel Figlio come amore che salva. Proprio quest’amore costituisce il vero prezzo della redenzione dell’uomo e del mondo. Gli apostoli di Cristo parlano del prezzo della redenzione con una profonda emozione: "Non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati... ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia", scrive san Pietro (1Pt 1,18). "Infatti, siete stati comprati a caro prezzo", afferma san Paolo (1Cor 6,20).
La chiamata alla via dei consigli evangelici nasce dall’incontro interiore con l’amore di Cristo, che è amore redentivo. Cristo chiama proprio mediante questo suo amore. Nella struttura della vocazione l’incontro con questo amore diventa qualcosa di specificamente personale. Quando Cristo "dopo avervi fissati vi amò", chiamando ognuno e ognuna di voi, cari religiosi e religiose, quel suo amore redentivo venne rivolto a una determinata persona, acquistando al tempo stesso caratteristiche sponsali: esso divenne amore d’elezione. Tale amore abbraccia la persona intera, anima e corpo, sia uomo o sia donna, nel suo unico e irripetibile "io" personale. Colui che, donatosi eternamente al Padre, "dona" se stesso nel mistero della redenzione, ecco che ha chiamato l’uomo, affinché questi, a sua volta, si doni interamente a un particolare servizio dell’opera della redenzione mediante l’appartenenza a una comunità fraterna, riconosciuta e approvata dalla Chiesa. Non fanno forse eco proprio a questa chiamata le parole di san Paolo: "Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo... e che non appartenete a voi stessi? Infatti, siete stati comprati a caro prezzo" (1Cor 6,19-20).
Sì, l’amore di Cristo ha raggiunto ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, con quel medesimo "prezzo" della redenzione. In conseguenza di ciò, vi siete resi conto come "non appartenete più a voi stessi", ma a lui. Questa nuova consapevolezza è stata il frutto dello "sguardo amorevole" di Cristo nel segreto del vostro cuore. Voi avete risposto a questo sguardo, scegliendo colui che per primo ha scelto ciascuno e ciascuna di voi, chiamandovi con l’immensità del suo amore redentivo. Chiamando "per nome", la sua chiamata fa appello sempre alla libertà dell’uomo. Cristo dice: "Se vuoi...". E la risposta a questa chiamata è, dunque, una scelta libera. Voi avete scelto Gesù di Nazaret, il redentore del mondo, scegliendo la strada che egli vi ha indicato.
"Se vuoi essere perfetto..."
4. Questa via si chiama anche la via della perfezione. Conversando col giovane, Cristo dice: "Se vuoi essere perfetto...", sicché il concetto di "via della perfezione" possiede la sua motivazione nella stessa fonte evangelica. Non sentiamo, del resto, nel discorso della montagna: "Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48)? La chiamata dell’uomo alla perfezione è stata, in qualche modo, percepita da pensatori e moralisti del mondo antico e anche successivamente, nelle diverse epoche della storia. La chiamata biblica, però, possiede un suo profilo del tutto originale: essa è particolarmente esigente, quando addita all’uomo la perfezione a somiglianza di Dio stesso. Proprio in tale forma la chiamata corrisponde a tutta la logica interna della Rivelazione, secondo la quale l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio stesso. Egli deve, quindi, cercare la perfezione che gli è propria nella linea di questa immagine e somiglianza. Scriverà san Paolo nella lettera agli Efesini: "Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore" (Ef 5,12).
Pertanto, la chiamata alla perfezione appartiene all’essenza stessa della vocazione cristiana. In base a questa chiamata bisogna intendere anche le parole che Cristo indirizza al giovane del Vangelo. Esse sono legate in modo particolare al mistero della redenzione dell’uomo nel mondo. Questa, infatti, restituisce a Dio l’opera della creazione contaminata dal peccato, indicando la perfezione che l’intera creazione e, in particolare, l’uomo possiedono nel pensiero e nell’intento di Dio stesso. Specialmente l’uomo deve essere donato e restituito a Dio, se deve essere pienamente restituito a se stesso. Da ciò l’eterna chiamata: "Ritorna a me, poiché io ti ho redento" (Is 44,22). Le parole di Cristo: "Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri..." ci introducono senza dubbio nell’ambito del consiglio evangelico della povertà, che appartiene all’essenza stessa della vocazione e della professione religiosa.
Al tempo stesso, queste parole possono essere intese in modo più ampio e, in un certo senso, essenziale. Il Maestro di Nazaret invita il suo interlocutore a rinunciare a un programma di vita, nel quale emerge in primo piano la categoria del possesso, quella dell’"avere", e ad accettare, invece, al suo posto un programma incentrato sul valore della persona umana: sull’"essere" personale con tutta la trascendenza che gli è propria.
Una tale comprensione delle parole di Cristo costituisce quasi un più ampio sfondo per l’ideale della povertà evangelica, specialmente di quella povertà che, come consiglio evangelico, appartiene al contenuto essenziale delle vostre mistiche nozze con lo Sposo divino nella Chiesa. Leggendo le parole di Cristo alla luce del principio della superiorità dell’"essere" sull’"avere", specialmente se quest’ultimo è inteso in senso materialistico e utilitaristico, tocchiamo quasi le stesse basi antropologiche della vocazione nel Vangelo. Sullo sfondo dello sviluppo della civiltà contemporanea, questa è una scoperta particolarmente attuale. E per questo diventa attuale la stessa vocazione "alla via della perfezione", così come l’ha tracciata Cristo. Se nell’ambito dell’odierna civiltà, specialmente nel contesto del mondo del benessere consumistico, l’uomo risente dolorosamente l’essenziale deficienza di "essere" personale, che proviene alla sua umanità dall’abbondanza del multiforme "avere", allora egli diventa più disposto ad accogliere questa verità sulla vocazione, qual è stata pronunciata una volta per sempre nel Vangelo. Sì, la chiamata che voi, cari fratelli e sorelle, accogliete entrando nella via della professione religiosa, tocca le radici stesse dell’umanità, le radici del destino dell’uomo nel mondo temporale. L’evangelico "stato di perfezione" non vi distacca da queste radici. Al contrario, esso vi permette di ancorarvi più fortemente in ciò per cui l’uomo è uomo, permeando questa umanità, in diversi modi appesantita dal peccato, col fermento divino-umano del mistero della redenzione.
"Avrai un tesoro nel cielo"
5. La vocazione porta in sé la risposta all’interrogativo: perché essere uomo e come esserlo? Questa risposta dà una nuova dimensione a tutta la vita e stabilisce il suo senso definitivo. Tale senso emerge nell’orizzonte del paradosso evangelico circa la vita che si perde volendo salvarla, e che, al contrario, si salva perdendola "a causa di Cristo e del Vangelo", come leggiamo in Marco.
Alla luce di questa parola acquista piena evidenza la chiamata di Cristo: "Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi". Tra questo "va’" e il successivo "vieni e seguimi" si stabilisce uno stretto rapporto. Si può dire che queste ultime parole determinino l’essenza stessa della vocazione. Si tratta, infatti, di seguire le orme di Cristo ("sequi", da cui la "sequela Christi"). I termini "va’ - vendi - dallo" sembrano definire la condizione che precede la vocazione. D’altra parte, però, questa condizione non sta "all’esterno" della vocazione, ma si trova già "all’interno" di essa. Infatti, l’uomo fa la scoperta del nuovo senso della propria umanità non solo per "seguire" Cristo, ma in tanto in quanto lo segue. Quando egli "vende ciò che possiede" e "lo dà ai poveri", allora scopre che quei beni e quelle agiatezze, che già possedeva, non erano il tesoro accanto a cui rimanere: il tesoro sta nel suo cuore, reso capace da Cristo di "dare" agli altri, dando se stesso. Ricco non è colui che possiede, ma colui che dà, colui che è capace di dare.
In questo punto il paradosso evangelico acquista una particolare espressività. Diventa un programma dell’essere: essere povero, nel senso dato dal Maestro di Nazaret a un tale "essere", significa diventare nella propria umanità un dispensatore di bene. Ciò parimenti vuol dire scoprire "il tesoro". Questo tesoro è indistruttibile. Esso passa insieme con l’uomo nella dimensione dell’eternità, appartiene all’escatologia divina dell’uomo. Grazie a questo tesoro l’uomo ha il suo definitivo futuro in Dio. Cristo dice: "Avrai un tesoro nel cielo". Questo tesoro non è tanto "un premio" dopo la morte per le opere compiute sull’esempio del divino Maestro, quanto piuttosto è il compimento escatologico di ciò che si nascondeva dietro queste opere già qui, sulla terra, nel "tesoro" interiore del cuore. Lo stesso Cristo, infatti, invitando nel discorso della montagna ad accumulare tesori nel cielo, ha aggiunto: "Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore" (Mt 6,20). Queste parole indicano il carattere escatologico della vocazione cristiana e, ancor più, il carattere escatologico della vocazione che si realizza sulla via delle nozze spirituali con Cristo mediante la pratica dei consigli evangelici.
6. La struttura di questa vocazione, quale si desume dalle parole rivolte al giovane nei Vangeli sinottici, si delinea man mano che si scopre il tesoro fondamentale della propria umanità nella prospettiva di quel "tesoro", che l’uomo "ha nel cielo". In questa prospettiva il tesoro fondamentale della propria umanità si collega al fatto di "essere donando se stessi". Il punto diretto di riferimento in una tale vocazione è la persona viva di Gesù Cristo. La chiamata alla via della perfezione prende forma da lui e per lui nello Spirito Santo il quale a sempre nuove persone, uomini e donne, in diversi momenti della loro vita e prevalentemente nella giovinezza, "ricorda" tutto ciò che Cristo "ha detto" e, in particolare, ciò che "disse" al giovane che gli chiedeva: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?". Attraverso la risposta di Cristo, il quale "fissa con amore" il suo interlocutore, l’intenso fermento del mistero della redenzione penetra la coscienza, il cuore e la volontà di un uomo che cerca con verità e sincerità.
In questo modo la chiamata alla via dei consigli evangelici ha sempre il suo inizio in Dio: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga". La vocazione, nella quale l’uomo scopre fino in fondo la legge evangelica del dono iscritta nella propria umanità, è essa stessa un dono! È un dono ricolmo del contenuto più profondo del Vangelo, un dono nel quale si riflette il profilo divino-umano del mistero della redenzione del mondo. "In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione" (1Gv 4,10).
III. Consacrazione
La professione è un’espressione più perfetta del battesimo
7. La vocazione, cari fratelli e sorelle, vi ha condotti alla professione religiosa, grazie alla quale siete stati consacrati a Dio mediante il ministero della Chiesa e, al tempo stesso, siete stati incorporati nella vostra famiglia religiosa. Perciò la Chiesa pensa a voi, prima di tutto, come a persone "consacrate": consacrate a Dio in Gesù Cristo come proprietà esclusiva. Questa consacrazione determina il vostro posto nella vasta comunità della Chiesa, del popolo di Dio. Al tempo stesso, essa introduce nella missione universale di questo popolo una speciale risorsa di energia spirituale e soprannaturale: una particolare forma di vita, di testimonianza e di apostolato, in fedeltà alla missione del vostro istituto, alla sua identità e al suo patrimonio spirituale. La missione universale del popolo di Dio si radica nella missione messianica di Cristo stesso - profeta, sacerdote e re -, alla quale tutti partecipano in diversi modi. La forma di partecipazione propria delle persone "consacrate" corrisponde alla forma del vostro radicamento in Cristo. Della profondità e della forza di questo radicamento decide proprio la professione religiosa.
Essa crea un nuovo legame dell’uomo con Dio uno e trino, in Gesù Cristo. Questo legame cresce sul fondamento di quel vincolo originale che è contenuto nel sacramento del battesimo. La professione religiosa "ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale, e ne è un’espressione più perfetta" ("Perfectae Caritatis", 5). In tal modo essa diventa, nel suo contenuto costitutivo, una nuova consacrazione: la consacrazione e la donazione della persona umana a Dio, amato sopra ogni cosa. L’impegno, assunto mediante i voti, di attuare i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza secondo le disposizioni proprie delle vostre famiglie religiose, quali sono determinate nelle rispettive costituzioni, rappresenta l’espressione di una totale consacrazione a Dio e, insieme, il mezzo che porta alla sua pratica attuazione. Di qui prendono anche forma la testimonianza e l’apostolato proprio delle persone consacrate. Tuttavia, bisogna cercare la radice di questa consacrazione consapevole e libera, e della conseguente donazione di sé come proprietà a Dio, nel battesimo, sacramento che ci conduce al mistero pasquale come vertice e centro della redenzione compiuta da Cristo.
Pertanto, per mettere pienamente in risalto la realtà della professione religiosa, bisogna rifarsi alle vibranti parole di Paolo nella lettera ai Romani: "O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo... così anche noi possiamo camminare in una vita nuova"; "Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché... noi non fossimo più schiavi del peccato"; "Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù" (Rm 6,3-4.6.11).
La professione religiosa - sulla base sacramentale del battesimo in cui si radica - è una nuova "sepoltura nella morte di Cristo": nuova mediante la consapevolezza e la scelta; nuova mediante l’amore e la vocazione; nuova mediante l’incessante "conversione". Tale "sepoltura nella morte" fa sì che l’uomo, "sepolto insieme a Cristo", "cammini come Cristo in una vita nuova". In Cristo crocifisso trovano il loro fondamento ultimo sia la consacrazione battesimale, sia la professione dei consigli evangelici, la quale - secondo le parole del Vaticano II - "costituisce una speciale consacrazione". Essa è ad un tempo morte e liberazione. San Paolo scrive: "Consideratevi morti al peccato"; al tempo stesso, tuttavia, chiama questa morte "liberazione dalla schiavitù del peccato". Soprattutto, però, la consacrazione religiosa costituisce, sulla base sacramentale del santo battesimo, una nuova vita "per Dio in Gesù Cristo". Ecco che così, unitamente alla professione dei consigli evangelici, in modo molto più maturo e più consapevole viene "deposto l’uomo vecchio" e, nello stesso modo, "viene rivestito l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera", per adoperare ancora le parole della lettera agli Efesini.
Alleanza dell’amore sponsale
8. Pertanto, cari fratelli e sorelle, tutti voi che nella Chiesa intera vivete l’alleanza della professione dei consigli evangelici, rinnovate in quest’anno santo della redenzione la consapevolezza della vostra speciale partecipazione alla morte in croce del Redentore: di quella partecipazione, cioè, mediante la quale siete risuscitati insieme con lui, e costantemente risorgete a una vita nuova. Il Signore parla a ognuno e a ognuna di voi, così come una volta parlò per mezzo del profeta Isaia: "Non temere, perché io ti ho riscattato, / ti ho chiamato per nome: / tu mi appartieni!" (Is 43,1).
La chiamata evangelica: "Se vuoi essere perfetto... seguimi" ci guida con la luce delle parole del divino Maestro. Dal profondo della redenzione viene la chiamata di Cristo, e da questa profondità essa raggiunge l’anima dell’uomo: in virtù della grazia della redenzione tale chiamata salvifica assume, nell’anima del chiamato, la forma concreta della professione dei consigli evangelici. In questa forma è contenuta la vostra risposta alla chiamata dell’amore redentivo, e questa è anche una risposta d’amore: amore di donazione, che è l’anima della consacrazione, cioè della consacrazione della persona. Le parole di Isaia: "Ti ho riscattato / tu mi appartieni" sembrano sigillare proprio questo amore, che è amore totale ed esclusivo di una consacrazione a Dio.
In tal modo si forma la particolare alleanza dell’amore sponsale, nella quale sembrano risonare con un’eco incessante le parole relative a Israele, che il Signore "si è scelto... come suo possesso" (Sal 135,4). In ogni persona consacrata viene, infatti, scelto l’"Israele" della nuova ed eterna alleanza. L’intero popolo messianico, la Chiesa intera viene eletta in ogni persona che il Signore sceglie in mezzo a questo popolo: in ogni persona che per tutti si consacra a Dio come proprietà esclusiva. Infatti, anche se nessun uomo, nemmeno il più santo, può ripetere le parole di Cristo: "Per loro io consacro me stesso" (Gv 17,19) secondo la potenza redentrice propria di queste parole, tuttavia ognuno, grazie all’amore di donazione, offrendosi come proprietà esclusiva a Dio, può ritrovarsi mediante la fede nel raggio di queste parole.
Non ci richiamano forse a questo le altre parole dell’apostolo nella lettera ai Romani, che tanto spesso ripetiamo e meditiamo: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale" (Rm 12,1)? In queste parole risuona quasi un’eco lontana di colui che, venendo nel mondo e diventando uomo, dice al Padre: "Un corpo mi hai preparato... Ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà" (Eb 10,5.7).
Risaliamo dunque - in questo particolare contesto dell’anno giubilare della redenzione - al mistero del corpo e dell’anima di Cristo, come al soggetto integrale dell’amore sponsale e redentivo: sponsale, perché redentivo. Per amore egli offrì se stesso, per amore diede il suo corpo "per il peccato del mondo". Immergendovi mediante la consacrazione dei voti religiosi nel mistero pasquale del Redentore, voi, con l’amore di una donazione totale, desiderate colmare le vostre anime e i vostri corpi dello spirito di sacrificio (Rm 12,1), proprio come vi invita a fare san Paolo con le parole della lettera ai Romani appena riportate: "Offrite i vostri corpi come sacrificio". In questo modo si imprime nella professione religiosa la somiglianza di quell’amore, che nel cuore di Cristo è redentivo e insieme sponsale. E tale amore deve sgorgare in ciascuno di voi, cari fratelli e sorelle, dalla fonte stessa di quella particolare consacrazione che - sulla base sacramentale del santo battesimo - è l’inizio della vostra nuova vita in Cristo e nella Chiesa: è l’inizio della nuova creazione.
Che insieme con quest’amore si approfondisca in ciascuno e ciascuna di voi la gioia di appartenere esclusivamente a Dio, di essere un’eredità particolare della santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Ripetete ogni tanto, insieme col salmista, le ispirate parole: "Chi altri avrò per me in cielo? / Fuori di te nulla bramo sulla terra. / Vengono meno la mia carne e il mio cuore: / ma la roccia del mio cuore è Dio, / è Dio la mia sorte per sempre" (Sal 73,25-26). Oppure le altre: "Ho detto a Dio: "Sei tu il mio Signore, / senza di te non ho alcun bene"... / Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: / nelle tue mani è la mia vita" (Sal 16,2.5).
La consapevolezza di appartenere a Dio stesso in Gesù Cristo, Redentore del mondo e Sposo della Chiesa, suggelli i vostri cuori, tutti i vostri pensieri, parole e opere, col segno della biblica sposa. Come voi sapete, questa conoscenza ardente e profonda del Cristo si attua e si approfondisce ogni giorno di più grazie alla vita di preghiera personale, comunitaria e liturgica, propria di ciascuna delle vostre famiglie religiose. Anche in ciò, e soprattutto i religiosi e le religiose essenzialmente dedite alla contemplazione, sono un valido aiuto e un sostegno stimolante per i loro fratelli e le loro sorelle, votati alle opere di apostolato. Questa consapevolezza di appartenere a Cristo apra i vostri cuori, pensieri e opere, con la chiave del mistero della redenzione, a tutte le sofferenze, a tutte le necessità e a tutte le speranze degli uomini e del mondo, in mezzo ai quali la vostra consacrazione evangelica è stata innestata come un segno particolare della presenza di Dio, "per il quale tutti vivono", abbracciati dalla dimensione invisibile del suo Regno.
La parola "seguimi", pronunciata da Cristo, quando "fissò e amò" ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, ha anche questo significato: prendi parte, nel modo più completo e più radicale possibile, alla formazione di quella "nuova creatura" (2Cor 5,17), che deve emergere dalla redenzione del mondo mediante la forza dello Spirito di verità, operante dall’abbondanza del mistero pasquale di Cristo.
IV. Consigli evangelici
Economia della redenzione
9. Mediante la professione si schiude davanti ad ognuno e ognuna di voi la via dei consigli evangelici. Nel Vangelo ci sono molte raccomandazioni che oltrepassano la misura del comandamento, indicando non solo ciò che è "necessario", ma ciò che è "migliore". Così, per esempio, l’esortazione a non giudicare, a prestare "senza sperarne nulla", a soddisfare tutte le richieste e i desideri del prossimo, a invitare a banchetto i poveri, a perdonare sempre, e molte altre simili. Se, seguendo la tradizione, la professione dei consigli evangelici si è concentrata sui tre punti della castità, povertà e obbedienza, tale consuetudine sembra mettere in rilievo in modo sufficientemente chiaro la loro importanza di elementi-chiave e, in un certo senso, "riassuntivi" dell’intera economia della salvezza. Tutto ciò che nel Vangelo è consiglio entra indirettamente nel programma di quella via, alla quale Cristo chiama, quando dice: "Seguimi". Ma la castità, la povertà e l’obbedienza danno a questa via una particolare caratteristica cristocentrica e imprimono su di essa uno specifico segno dell’economia della redenzione.
È essenziale per questa "economia" la trasformazione del cosmo intero attraverso il cuore dell’uomo, dal di dentro: "La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere essa pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8,19-21). Questa trasformazione va di pari passo con quell’amore, che la chiamata di Cristo infonde nell’interno dell’uomo, con quell’amore che costituisce la sostanza stessa della consacrazione: del votarsi dell’uomo o della donna a Dio nella professione religiosa, sul fondamento della consacrazione sacramentale del battesimo. Possiamo scoprire le basi dell’economia della redenzione leggendo le parole della prima lettera di san Giovanni: "Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno" (1Gv 2,15-17).
La professione religiosa pone nel cuore di ognuno e ognuna di voi, cari fratelli e sorelle, l’amore del Padre, quell’amore che è nel cuore di Gesù Cristo, redentore del mondo. È amore, questo, che abbraccia il mondo e tutto ciò che in esso viene dal Padre e che al tempo stesso tende a sconfiggere nel mondo tutto ciò che "non viene dal Padre". Esso tende, dunque, a vincere la triplice concupiscenza. "La concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita" sono nascoste nell’interno dell’uomo come eredità del peccato originale, in conseguenza del quale il rapporto col mondo creato da Dio e dato in dominio all’uomo, venne deformato nel cuore umano in diversi modi. Nell’economia della redenzione i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza costituiscono i mezzi più radicali per trasformare nel cuore dell’uomo tale rapporto con "il mondo": col mondo esterno e col proprio "io", il quale in un certo senso è la parte centrale "del mondo" nel significato biblico, se in esso prende inizio ciò che "non viene dal Padre".
Sullo sfondo delle frasi riportate dalla prima lettera di san Giovanni non è difficile notare la fondamentale importanza dei tre consigli evangelici nell’intera economia della redenzione. Difatti, la castità evangelica ci aiuta a trasformare nella nostra vita interiore tutto ciò che trova la sua fonte nella concupiscenza della carne; la povertà evangelica ciò che ha la sua fonte nella concupiscenza degli occhi; infine, l’obbedienza evangelica ci permette di trasformare in modo radicale ciò che nel cuore umano scaturisce dalla superbia della vita. Parliamo qui volutamente del superamento come di una trasformazione, poiché l’intera economia della redenzione si inquadra nella cornice delle parole, rivolte da Cristo nella preghiera sacerdotale al Padre: "Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno" (Gv 17,15). I consigli evangelici nella loro essenziale finalità servono "al rinnovamento della creazione": "il mondo", grazie ad essi, deve venire sottomesso all’uomo e a lui dato in modo che l’uomo stesso sia perfettamente donato a Dio.
Partecipazione all’annientamento di Cristo
10. La finalità interiore dei consigli evangelici conduce alla scoperta di altri aspetti ancora, che ne mettono in rilievo lo stretto rapporto con l’economia della redenzione. Si sa che questa trova il suo punto culminante nel mistero pasquale di Gesù Cristo, nel quale vengono uniti l’annientamento mediante la morte e la nascita a una nuova vita mediante la risurrezione. La pratica dei consigli evangelici contiene in sé un profondo riflesso di questa dualità pasquale: l’inevitabile annientamento di ciò che in ognuno di noi è il peccato e il suo retaggio e la possibilità di rinascere ogni giorno a un bene più profondo, nascosto nell’anima umana. Questo bene si manifesta sotto l’azione della grazia, alla quale la pratica della castità, della povertà e dell’obbedienza rende particolarmente sensibile l’anima dell’uomo. L’intera economia della redenzione si realizza proprio mediante questa sensibilità alla misteriosa azione dello Spirito Santo che è l’artefice diretto di ogni santità. Su questa via la professione dei consigli evangelici schiude in ognuno e in ognuna di voi, cari fratelli e sorelle, un ampio spazio alla "creatura nuova", che emerge nel vostro "io" umano proprio dall’economia della redenzione e, attraverso questo "io" umano, anche nelle dimensioni interpersonali e sociali. Al tempo stesso, pertanto, emerge nell’umanità, quale parte del mondo creato da Dio: di quel mondo, che il Padre amò "di nuovo" nel Figlio eterno, Redentore del mondo.
Di questo Figlio dice san Paolo che "pur essendo di natura divina... spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini" (Fil 2,6-7). La caratteristica dell’annientamento contenuta nella pratica dei consigli evangelici, dunque, è caratteristica completamente cristocentrica. E perciò anche il Maestro di Nazaret indica esplicitamente la croce come condizione per seguire le sue orme. Colui che un giorno disse a ognuno e a ognuna di voi "Seguimi", ha detto anche: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (= cammini sulle mie orme). E ciò diceva a tutti i suoi ascoltatori, non solo ai discepoli. La legge della rinuncia appartiene, dunque, all’essenza stessa della vocazione cristiana. Tuttavia, essa in modo speciale appartiene all’essenza della vocazione legata alla professione dei consigli evangelici. A coloro che si trovano sulla via di questa vocazione parleranno con un linguaggio comprensibile anche quelle difficili espressioni, che leggiamo nella lettera ai Filippesi: per lui "ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui" (Fil 3,8-9).
Rinuncia, quindi - riflesso del mistero del Calvario -, per "trovarsi" più pienamente in Cristo crocifisso e risorto; rinuncia, per riconoscere in lui fino in fondo il mistero della propria umanità e confermarlo sulla via di quel mirabile processo, del quale lo stesso apostolo scrive in un altro luogo: "Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno" (2Cor 19,11). In questo modo l’economia della redenzione trasferisce la potenza del mistero pasquale sul terreno dell’umanità, docile alla chiamata di Cristo alla vita in castità, in povertà e in obbedienza, ossia alla vita secondo i consigli evangelici.
V. Castità - Povertà - Obbedienza
Castità
11. Il profilo pasquale di questa chiamata si fa riconoscere sotto vari punti di vista, in rapporto ad ogni singolo consiglio. È, infatti, secondo la misura dell’economia della redenzione che bisogna giudicare e praticare quella castità, che ognuno e ognuna di voi ha promesso con voto insieme con la povertà e l’obbedienza. È contenuta in ciò la risposta alle parole di Cristo, che sono al tempo stesso un invito: "E vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca". Precedentemente Cristo aveva sottolineato che "non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso". Queste ultime parole mettono chiaramente in evidenza che tale invito è un consiglio. A ciò anche l’apostolo Paolo ha dedicato un’apposita riflessione nella prima lettera ai Corinzi. Questo consiglio è rivolto in modo particolare all’amore del cuore umano. Esso mette maggiormente in risalto il carattere sponsale di questo amore, mentre la povertà e ancor più l’obbedienza sembrano porre in rilievo, prima di tutto, l’aspetto dell’amore redentivo contenuto nella consacrazione religiosa. Si tratta qui - come si sa - della castità nel senso "del farsi eunuchi per il regno dei cieli"; si tratta, cioè, della verginità come espressione dell’amore sponsale per il Redentore stesso. In questo senso l’apostolo insegna che "fa bene" colui che sceglie il matrimonio, e "fa meglio" colui che sceglie la verginità. "Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore", e "la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito" (1Cor 7,38.32.34).
Non è contenuta - nelle parole di Cristo né in quelle di Paolo - alcuna disistima del matrimonio. Il consiglio evangelico della castità è solo un’indicazione di quella particolare possibilità che per il cuore umano, sia dell’uomo sia della donna, costituisce l’amore sponsale di Cristo stesso, di Gesù "Signore". Il "farsi eunuchi per il regno dei cieli", infatti, non è solo una libera rinuncia al matrimonio e alla vita di famiglia, ma è una scelta carismatica di Cristo come sposo esclusivo. Tale scelta non solo permette specificamente di "preoccuparsi delle cose del Signore", ma - fatta "per il regno dei cieli" - avvicina questo regno escatologico di Dio alla vita di tutti gli uomini nelle condizioni della temporalità e lo rende, in un certo modo, presente in mezzo al mondo.
Mediante ciò le persone consacrate realizzano l’interiore finalità dell’intera economia della redenzione. Questa finalità si esprime, infatti, nell’avvicinare il regno di Dio nella sua dimensione definitiva, escatologica. Per mezzo del voto di castità le persone consacrate partecipano all’economia della redenzione con la libera rinuncia alle gioie temporali della vita matrimoniale e familiare; e, d’altra parte, proprio nel loro "farsi eunuchi per il regno dei cieli", esse portano in mezzo al mondo che passa l’annuncio della risurrezione futura e della vita eterna: della vita in unione con Dio stesso mediante la visione beatifica e l’amore che contiene in sé e intimamente pervade tutti gli altri amori del cuore umano.
Povertà
12. Quanto sono espressive in materia di povertà le parole della seconda lettera ai Corinzi, che costituiscono una concisa sintesi di tutto ciò che su questo tema sentiamo nel Vangelo! "Conoscete, infatti, la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, egli si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà". Secondo queste parole la povertà entra nella struttura interiore della stessa grazia redentrice di Gesù Cristo. Senza la povertà non è possibile comprendere il mistero della donazione della divinità all’uomo, donazione che si è compiuta proprio in Gesù Cristo. Anche per questo essa si trova al centro stesso del Vangelo, all’inizio del messaggio delle otto beatitudini: "Beati i poveri in spirito". La povertà evangelica schiude davanti agli occhi dell’anima umana la prospettiva dell’intero mistero, "nascosto da secoli nella mente di Dio". Solamente coloro che sono in questo modo "poveri" sono anche interiormente capaci di comprendere la povertà di colui che è infinitamente ricco. La povertà di Cristo nasconde in sé questa infinita ricchezza di Dio; essa ne è anzi un’espressione infallibile. Una ricchezza, infatti, qual è la divinità stessa, non si sarebbe potuta esprimere adeguatamente in nessun bene creato. Essa può esprimersi solamente nella povertà. Perciò, può essere compresa in modo giusto solamente dai poveri, dai poveri in spirito. Cristo, uomo-Dio, è il primo di essi: colui che, "da ricco che era, si è fatto povero" non solo è il maestro, ma è anche il portavoce e il garante di quella povertà salvifica, che corrisponde all’infinita ricchezza di Dio e all’inesauribile potenza della sua grazia.
E perciò è pure vero - come scrive l’Apostolo - che "per mezzo della sua povertà noi diventiamo ricchi". È il maestro e il portavoce della povertà che arricchisce. Proprio per questo egli dice al giovane nei Vangeli sinottici: "Vendi quello che possiedi... dallo... e avrai un tesoro nel cielo" (Mt 19,21). C’è in queste parole una chiamata ad arricchire gli altri per mezzo della propria povertà; ma nel profondo di questa chiamata è nascosta la testimonianza dell’infinita ricchezza di Dio che, trasferita all’anima umana nel mistero della grazia, crea nell’uomo stesso, appunto mediante la povertà, una sorgente per arricchire gli altri non comparabile con alcun’altra risorsa di beni materiali, una sorgente per gratificare gli altri a somiglianza di Dio stesso. Questa elargizione si realizza nell’ambito del mistero di Cristo, il quale "ci ha reso ricchi per mezzo della sua povertà". Vediamo come questo processo di arricchimento si svolge nelle pagine del Vangelo, trovando il suo culmine nell’evento pasquale: Cristo, il più povero nella morte di croce, è insieme colui che ci arricchisce infinitamente con la pienezza della vita nuova, mediante la risurrezione.
Cari fratelli e sorelle, poveri in spirito mediante la professione evangelica, accogliete in tutta la vostra vita questo profilo salvifico della povertà di Cristo. Cercate giorno per giorno la sua sempre maggiore maturazione! Cercate soprattutto "il regno di Dio e la sua giustizia", e le altre cose "vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33). Che in voi e per mezzo vostro si compia la beatitudine evangelica che è riservata ai poveri, ai poveri in spirito!
Obbedienza
13. Cristo, "pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,6-8).
Tocchiamo qui, in queste parole della lettera di Paolo ai Filippesi, l’essenza stessa della redenzione. In questa realtà è inscritta in modo primario e costitutivo l’obbedienza di Gesù Cristo. Confermano tale dato anche le altre parole dell’apostolo, tratte questa volta dalla lettera ai Romani: "Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti" (Rm 5,19).
Il consiglio evangelico dell’obbedienza è la chiamata che scaturisce da questa obbedienza di Cristo "fino alla morte". Coloro che accolgono questa chiamata, espressa con la parola "seguimi", decidono - come dice il Concilio - di seguire Cristo, "che redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza fino alla morte di croce" ("Perfectae Caritatis", 1). Nell’attuare il consiglio evangelico dell’obbedienza, essi raggiungono l’essenza profonda dell’intera economia della redenzione. Nell’adempiere questo consiglio, essi desiderano conseguire una speciale partecipazione all’obbedienza di quell’"uno solo", mediante l’obbedienza del quale tutti "saranno costituiti giusti".
Si può dire, dunque, che coloro che decidono di vivere secondo il consiglio dell’obbedienza, si collocano in modo singolare tra il mistero del peccato e il mistero della giustificazione e della grazia salvifica. Si trovano in questo "luogo" con tutto il sottofondo peccaminoso della propria natura umana, con tutta l’eredità "della superbia della vita", con tutta l’egoistica tendenza a dominare e non a servire, e proprio mediante il voto di obbedienza si decidono a trasformarsi a somiglianza di Cristo, il quale "redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza". Nel consiglio dell’obbedienza essi desiderano trovare il proprio ruolo nella redenzione di Cristo e la propria via di santificazione.
È questa la via che Cristo ha tracciato nel Vangelo, parlando molte volte del compimento della volontà di Dio, dell’incessante ricerca di essa. "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua opera". "Perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato". "Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite". "Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato". Questo compimento costante della volontà del Padre fa pensare anche a quella confessione messianica del salmista dell’antica alleanza: "Sul rotolo del libro di me è scritto: che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore" (Gv 4,34; 5,30; 6,38).
Tale obbedienza del Figlio - piena di gioia - raggiunge il suo zenit di fronte alla passione e alla croce: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà". Sin dalla preghiera nel Getsemani la disponibilità di Cristo a compiere la volontà del Padre si riempie fino all’orlo di sofferenza, diventa quell’obbedienza "fino alla morte e alla morte di croce", di cui parla san Paolo.
Mediante il voto di obbedienza le persone consacrate decidono di imitare con umiltà in modo particolare l’obbedienza del Redentore. Benché, infatti, la sottomissione alla volontà di Dio e l’obbedienza alla sua legge siano per ogni stato condizione di vita cristiana, tuttavia nello "stato religioso", nello "stato di perfezione", il voto di obbedienza stabilisce nel cuore di ciascuno e di ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, il dovere di uno speciale riferimento a Cristo "obbediente fino alla morte". E poiché questa obbedienza di Cristo costituisce il nucleo essenziale dell’opera della redenzione, come risulta dalle parole sopra citate dell’Apostolo, perciò anche nell’adempiere il consiglio evangelico dell’obbedienza si deve scorgere un momento particolare di quell’"economia della redenzione", che pervade tutta la vostra vocazione nella Chiesa.
Di qui scaturisce quella "disponibilità totale allo Spirito Santo", che agisce innanzitutto nella Chiesa, come si esprime il mio predecessore Paolo VI nell’esortazione apostolica "Evangelica Testificatio", ma che si manifesta, altresì, nelle costituzioni dei vostri istituti. Di qui scaturisce quella religiosa sottomissione, che in spirito di fede le persone consacrate dimostrano ai propri superiori legittimi, che tengono il posto di Dio. Nella lettera agli Ebrei troviamo su questo tema un’indicazione molto significativa: "Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano per le vostre anime, come chi ha da renderne conto". E l’autore della lettera aggiunge: "Obbedite, perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso per voi" (Eb 13,17).
I superiori, d’altra parte, memori di dover esercitare in spirito di servizio la potestà loro conferita per il tramite del ministero della Chiesa, si mostreranno disponibili all’ascolto dei propri fratelli per discernere meglio quanto il Signore richiede da ciascuno, ferma restando l’autorità loro propria di decidere e di comandare ciò che riterranno opportuno.
Di pari passo con la sottomissione-obbedienza così concepita va l’atteggiamento di servizio, che informa tutta la vostra vita ad esempio del Figlio dell’uomo, il quale "non venne per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45). E la sua Madre, nel momento decisivo dell’annunciazione-incarnazione, penetrando sin dall’inizio in tutta l’economia salvifica della redenzione, disse: "Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).
Ricordate anche, cari fratelli e sorelle, che l’obbedienza a cui vi siete impegnati, consacrandovi senza riserva a Dio mediante la professione dei consigli evangelici, è una particolare espressione della libertà interiore, così come definitiva espressione della libertà di Cristo fu la sua obbedienza "fino alla morte": "Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso" (Gv 10,17-18).
VI. Amore alla chiesa
Testimonianza
14. Nell’anno giubilare della redenzione la Chiesa intera desidera rinnovare il suo amore verso Cristo, Redentore dell’uomo e del mondo, suo Signore e insieme suo Sposo divino. E perciò in questo anno santo essa guarda con singolare attenzione a voi, cari fratelli e sorelle, che, come persone consacrate, occupate un posto speciale sia nella comunità universale del popolo di Dio, sia in ogni comunità locale. Se la Chiesa desidera che mediante la grazia del giubileo straordinario si rinnovi anche il vostro amore verso Cristo, al tempo stesso essa è pienamente consapevole che questo amore costituisce un bene speciale dell’intero popolo di Dio. La Chiesa è consapevole che, nell’amore che Cristo riceve dalle persone consacrate, l’amore dell’intero corpo viene indirizzato in modo speciale ed eccezionale verso lo sposo, che in pari tempo è capo di questo corpo. La Chiesa vi esprime, cari fratelli e sorelle, la sua gratitudine per la consacrazione e per la professione dei consigli evangelici, che sono una particolare testimonianza d’amore. Essa, nello stesso tempo, riconferma la sua grande fiducia in voi, che avete scelto uno stato di vita che è un dono speciale di Dio alla sua Chiesa. Essa conta sulla vostra collaborazione completa e generosa, affinché, come fedeli amministratori di così prezioso dono, voi "sentiate con la Chiesa" e sempre collaboriate con essa, in conformità con gli insegnamenti e con le direttive del magistero di Pietro e dei pastori in comunione con lui, coltivando, a livello personale e comunitario, una rinnovata coscienza ecclesiale. E contemporaneamente essa prega per voi, affinché la vostra testimonianza d’amore non venga mai meno, e vi chiede anche di accogliere con questo spirito il presente messaggio dell’anno giubilare della redenzione.
Proprio così pregava l’Apostolo nella sua lettera ai Filippesi: "che la vostra carità si arricchisca sempre più... in ogni genere di discernimento, perché possiate sempre distinguere il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi del frutto di giustizia" (Fil 1,9-11).
Per opera della redenzione di Cristo "l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato". Chiedo incessantemente allo Spirito Santo di concedere a ciascuno e a ciascuna di voi, "secondo il proprio dono", di dare una particolare testimonianza di quest’amore. Vinca in voi, in modo degno della vostra vocazione, "la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù...", quella legge che ci ha "liberato dalla legge... della morte". Vivete, dunque, di questa vita nuova a misura della vostra consacrazione e anche a misura dei diversi doni di Dio, che corrispondono alla vocazione delle singole famiglie religiose. La professione dei consigli evangelici indica a ciascuno e a ciascuna di voi in quale modo potete "con l’aiuto dello Spirito Santo far morire" tutto ciò che è contrario alla vita e serve al peccato e alla morte, tutto ciò che si oppone al vero amore di Dio e degli uomini. Il mondo ha bisogno dell’autentica "contraddizione" della consacrazione religiosa, come incessante lievito del rinnovamento salvifico. "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Rm 8,2.13; 12,2). Dopo lo speciale periodo di sperimentazione e di aggiornamento, previsto dal motu proprio "Ecclesiae Sanctae", i vostri istituti hanno ricevuto recentemente o si apprestano a ricevere l’approvazione della Chiesa alle costituzioni rinnovate. Che tale dono della Chiesa vi stimoli a conoscerle, ad amarle e, soprattutto, a viverle nella generosità e nella fedeltà, ricordando che l’obbedienza è una manifestazione non equivoca dell’amore.
Proprio di questa testimonianza d’amore hanno bisogno il mondo d’oggi e l’umanità. Essi hanno bisogno della testimonianza della redenzione, così come questa è impressa nella professione dei consigli evangelici. Questi consigli, ognuno nel modo a lui proprio, e tutti insieme nella loro intima connessione, "rendono testimonianza" alla redenzione, che, con la potenza della croce e della risurrezione di Cristo, guida il mondo e l’umanità nello Spirito Santo verso quel compimento definitivo, che l’uomo - e, per mezzo dell’uomo, la creazione intera - trovano in Dio, e solo in Dio. La vostra testimonianza, perciò, è inestimabile. Bisogna adoperarsi con costanza, affinché essa sia pienamente trasparente e pienamente fruttuosa in mezzo agli uomini. A ciò gioverà, altresì, l’osservanza fedele delle norme della Chiesa che riguardano la manifestazione anche esterna della vostra consacrazione e del vostro impegno di povertà.
Apostolato
15. Da tale testimonianza di amore sponsale per Cristo, attraverso la quale diventa particolarmente visibile tra gli uomini l’intera verità salvifica del Vangelo, nasce anche, cari fratelli e sorelle, come propria della vostra vocazione, la partecipazione all’apostolato della Chiesa, alla sua missione universale, la quale si realizza contemporaneamente in mezzo a tutte le nazioni in tanti modi diversi e mediante la molteplicità dei doni elargiti da Dio. La vostra missione specifica va armoniosamente di pari passo con la missione degli apostoli, che il Signore inviò "in tutto il mondo" per "ammaestrare tutte le nazioni", ed è unita, altresì, a questa missione dell’ordine gerarchico. Nell’apostolato, che svolgono le persone consacrate, il loro amore sponsale per Cristo diventa in modo quasi organico amore per la Chiesa come corpo di Cristo, per la Chiesa come popolo di Dio, per la Chiesa che è insieme sposa e madre.
È difficile descrivere, anzi persino elencare, in quanti modi diversi le persone consacrate realizzino, mediante l’apostolato, il loro amore verso la Chiesa. Esso è sempre nato da quel dono particolare dei vostri Fondatori, che, ricevuto da Dio e approvato dalla Chiesa, è divenuto un carisma per l’intera comunità. Quel dono corrisponde alle diverse necessità della Chiesa e del mondo nei singoli momenti della storia, e a sua volta si prolunga e si consolida nella vita delle comunità religiose come uno degli elementi duraturi della vita e dell’Apostolato della Chiesa. In ognuno di questi elementi, in ogni campo - sia in quello della contemplazione feconda per l’apostolato, sia in quello dell’azione direttamente apostolica - vi accompagna la costante benedizione della Chiesa, e insieme la sua pastorale e materna sollecitudine per quanto riguarda l’identità spirituale della vostra vita e la rettitudine del vostro operare in seno alla grande comunità universale delle vocazioni e dei carismi dell’intero popolo di Dio. Sia per mezzo di ciascuno degli istituti separatamente presi, sia mediante la loro organica integrazione, nel complesso della missione della Chiesa è posta in particolare risalto quell’economia della redenzione, il cui segno profondo ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, porta in sé mediante la consacrazione e la professione dei consigli evangelici.
E perciò, anche se sono estremamente importanti le molteplici opere apostoliche che svolgete, tuttavia l’opera di apostolato veramente fondamentale rimane sempre ciò che (e insieme chi) voi siete nella Chiesa. Di ciascuno e di ciascuna di voi si possono ripetere, a titolo speciale, queste parole dell’Apostolo: "Voi, infatti, siete morti, e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3). E al tempo stesso questo "essere nascosti con Cristo in Dio" permette di riferire a voi le parole del Maestro stesso: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,16).
Per questa luce, con la quale dovete "risplendere davanti agli uomini", è importante tra voi la testimonianza della reciproca carità, legata allo spirito fraterno di ogni comunità, poiché il Signore ha detto: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35).
La natura fondamentalmente comunitaria della vostra vita religiosa, nutrita della dottrina evangelica, della sacra liturgia e, soprattutto, dell’eucaristia, costituisce un modo privilegiato di realizzare questa dimensione interpersonale e sociale: prevenendovi con premure reciproche, portando i pesi gli uni degli altri, voi manifestate con la vostra unità che il Cristo è vivo in mezzo a voi. È importante per il vostro apostolato nella Chiesa ogni sensibilità alle necessità e alle sofferenze dell’uomo, quali si mostrano così apertamente e in modo così toccante nel mondo d’oggi. Infatti, l’Apostolo insegna: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo"; e aggiunge che "pieno compimento della legge è l’amore" (Rm 13,10).
La vostra missione deve essere visibile! Deve essere profondo, molto profondo il legame che la unisce alla Chiesa! Mediante tutto ciò che fate e, soprattutto, mediante tutto ciò che siete, sia proclamata e riconfermata la verità che "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ef 5,25), la verità che sta alla base dell’intera economia della redenzione. Che da Cristo, redentore del mondo, zampilli anche l’inesauribile fonte del vostro amore per la Chiesa!
VII. Conclusione
Illuminati gli occhi della mente
16. Questa esortazione, che vi indirizzo nella solennità dell’Annunciazione dell’anno giubilare della redenzione, vuol essere espressione di quell’amore, che la Chiesa nutre per i religiosi e per le religiose. Voi, infatti, cari fratelli e sorelle, siete un bene speciale della Chiesa. E questo bene diventa ancor più comprensibile mediante la meditazione della realtà della redenzione, per la quale il corrente anno santo offre una costante occasione e un felice incoraggiamento. Riconoscete, dunque, in questa luce, la vostra identità e la vostra dignità. Che lo Spirito Santo - per opera della croce e della risurrezione di Cristo - "possa davvero illuminare gli occhi della vostra mente, per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi" (Ef 1,18).
Questi "occhi illuminati della mente" la Chiesa chiede incessantemente per ciascuno e ciascuna di voi, che già siete entrati nella via della professione dei consigli evangelici. Gli stessi "occhi illuminati" la Chiesa, insieme con voi, chiede per tanti cristiani, specialmente per la gioventù maschile e femminile, affinché essi possano scoprire questa via e non abbiano paura di intraprenderla, affinché - anche in mezzo alle avverse circostanze della vita d’oggi - possano udire il "seguimi" di Cristo. Voi pure dovete adoperarvi a questo fine con la vostra preghiera e anche con la testimonianza di quell’amore, per il quale "Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi" (1Gv 4,12). Che questa testimonianza diventi dappertutto presente e universalmente leggibile. Che l’uomo dei nostri tempi, spiritualmente affaticato, trovi in essa sostegno e speranza. Servite perciò i fratelli con la gioia, che sgorga da un cuore abitato da Cristo. "Possa il mondo del nostro tempo... ricevere la buona novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati... ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo" ("Evangelii Nuntiandi", 80).
La Chiesa, nel suo amore per voi, non cessa "di piegare le ginocchia davanti al Padre", perché operi in voi "il rafforzamento dell’uomo interiore", e come in voi, così lo operi anche in tanti altri nostri fratelli e sorelle battezzati, specialmente giovani, affinché trovino la stessa via alla santità, che nella storia hanno percorso tante generazioni insieme con Cristo - redentore del mondo e sposo delle anime -, lasciando spesso dietro di sé l’alone intenso della luce di Dio sullo sfondo di grigiore e di tenebre dell’umana esistenza.
A tutti voi, che percorrete questa strada nella presente fase della storia della Chiesa e del mondo, si rivolge questo fervido augurio nell’anno giubilare della redenzione, affinché "radicati e fondati nella carità siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio".
Messaggio della solennità dell’annunciazione del Signore
17. Nella festività dell’Annunciazione di quest’anno santo depongo la presente esortazione nel cuore della Vergine immacolata. Tra tutte le persone consacrate senza riserva a Dio, ella è la prima. Ella - la Vergine di Nazaret - è anche la più pienamente consacrata a Dio, consacrata nel modo più perfetto. Il suo amore sponsale raggiunge il vertice nella maternità divina per la potenza dello Spirito Santo. Ella, che come Madre porta Cristo sulle braccia, al tempo stesso realizza nel modo più perfetto la sua chiamata: "seguimi". E lo segue - ella, la Madre - come suo maestro in castità, in povertà e in obbedienza.
Quanto fu povera nella notte di Betlemme, e quanto povera sul Calvario! Quanto fu obbediente durante l’annunciazione, e poi - ai piedi della croce - obbediente fino a consentire alla morte del Figlio, il quale si era fatto obbediente "fino alla morte"! Quanto fu dedita in tutta la sua vita terrena alla causa del regno dei cieli per castissimo amore!
Se la Chiesa intera trova in Maria il suo primo modello, a maggior ragione lo trovate voi, persone e comunità consacrate all’interno della Chiesa! Nel giorno che riporta alla memoria l’inaugurazione del giubileo della redenzione, avvenuta lo scorso anno, mi rivolgo a voi col presente messaggio, per invitarvi a ravvivare la vostra consacrazione religiosa secondo il modello della consacrazione della stessa Genitrice di Dio.
Diletti fratelli e sorelle! "Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del figlio suo Gesù Cristo" (1Cor 1,9). Perseverando nella fedeltà a colui che è fedele, sforzatevi di cercare un sostegno specialissimo in Maria! Ella, infatti, è stata chiamata da Dio alla comunione più perfetta col Figlio suo. Sia ella, la Vergine fedele, anche la Madre nella vostra via evangelica: vi aiuti a sperimentare e a dimostrare davanti al mondo quanto infinitamente fedele è Dio stesso!
Con questi voti di gran cuore vi benedico.
Dal Vaticano, il 25 marzo dell’anno giubilare della redenzione 1984, sesto di pontificato.