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Gregorio XVI
Cum primum


Non appena è giunta al Nostro orecchio la notizia delle luttuosissime sventure che nell’anno testé trascorso hanno funestato codesto gloriosissimo Regno, Ci è subito parso evidente che la loro origine non dovesse essere ricercata altrove, ma in alcuni spacciatori di inganno e di falsità, i quali, con il pretesto della religione, ergendosi in questo Nostro miserando tempo contro il legittimo potere dei Principi, avevano riempito di immane lutto la loro patria, ormai sottratta ad ogni legame di debita sottomissione.

Noi, prostrati davanti a Dio Ottimo e Massimo, del quale, anche se indegnamente, teniamo le veci sulla terra, dopo aver effuso copiosissime lacrime, piangendo le crudelissime disgrazie da cui era stata straziata codesta parte del gregge del Signore affidata alla Nostra pur sollecita debolezza; dopo aver cercato con infinito amore, nell’umiltà del Nostro cuore, di piegare con preghiere, sospiri e gemiti il Padre delle misericordie, per poter vedere codeste vostre contrade, sconvolte da così numerose e crudeli discordie, alfine rappacificate e ricondotte alla soggezione del legittimo potere: immediatamente Ci siamo proposti di indirizzarvi, Venerabili Fratelli, una lettera enciclica, per mettervi al corrente che Noi pure siamo gravati dal peso delle vostre calamità e per apportare alla vostra sollecitudine pastorale un po’ di conforto e di forza che serva come incitamento a difendere i principi più giusti da trasfondere con sempre più ardente e rinnovato zelo nei vostri amatissimi clero e popolo.

Poiché Ci è stato riferito che le Nostre lettere, per le avverse circostanze della situazione, non vi erano mai giunte, ora che la situazione, con l’aiuto di Dio, è stata ricondotta ad una serena tranquillità, Noi apriamo nuovamente il cuore a voi, Venerabili Fratelli, per ravvivare sempre più, per quanto Ci è possibile nel Signore, il vostro zelo e la vostra sollecitudine, perché allontaniate dal vostro gregge, con tutta la forza e con tutta la diligenza, la vera causa dei mali passati. In questo compito dovete impegnare una puntigliosa cura e tutta l’accortezza, e vigilare con ogni mezzo, perché uomini sleali e propugnatori di novità non continuino a disseminare nel vostro gregge false teorie ed erronei principi e, accampando il solito pretesto del pubblico bene, non approfittino della credulità dei più ingenui e dei meno accorti, al punto da fare di essi, senza che ne abbiano l’intenzione, dei ciechi esecutori e fautori nel turbare la pace del regno e l’ordine della società.

Occorre dunque fare emergere, con un chiaro discorso, per l’utilità e 1’ammaestramento dei fedeli, la frode di questi falsi maestri. La fallacia dei loro pensieri deve essere ovunque combattuta con le decisive e inoppugnabili massime della Divina Scrittura e con gli inconfutabili documenti della sacra e venerabile tradizione della Chiesa. Da queste ineccepibili fonti (alle quali il clero cattolico deve attingere i principi del suo stile di vita e le parole da trasmettere nei discorsi al popolo) siamo informati a chiare lettere che l’obbedienza, dovuta dagli uomini ai poteri voluti da Dio, è un precetto a cui nessuno può sottrarsi, a meno che non si tratti di disposizioni contrarie alle leggi di Dio e della Chiesa.

"Ogni persona (dice l’Apostolo) sia sottomessa alle superiori autorità. Non v’è infatti potere se non da Dio: se esiste, è perché è voluto da Dio. Pertanto chi si oppone ad esso, si erge contro l’ordine stabilito da Dio... Siate dunque sempre sottomessi, non solo per paura delle pene, ma anche per coerenza" (Rm 13,1-2). Allo stesso modo San Pietro (1Pt 2,13-14) ammaestra tutti i fedeli ad essere sottomessi ad ogni creatura nel nome di Dio, sia al re, come a colui che primeggia, sia ai comandanti, in quanto inviati da lui: perché (egli dice) questa è la volontà di Dio e, operando rettamente, ridurrete al silenzio 1’ignoranza degli sprovveduti.

È risaputo come gli antichi cristiani, attenendosi con scrupolo a questi precetti anche durante l’infierire delle persecuzioni, si siano resi benemeriti degli stessi Imperatori Romani e della sicurezza dell’Impero. Dice Sant’Agostino: "I soldati cristiani servirono ad un imperatore miscredente, ma se si trattava dell’interesse di Cristo, non riconoscevano che il Signore che dimorava nei cieli. Distinguevano dunque il Signore eterno da quello temporale, e tuttavia, per il Signore eterno, stavano sottomessi al signore temporale" . Questa dottrina, come ben sapete, Venerabili Fratelli, fu costantemente trasmessa dai Santi Padri; sempre l’ha insegnata e l’insegna la Chiesa Cattolica. Imbevuti di questi principi, i primi cristiani intrapresero una condotta di vita e di azione tali da preservare le legioni cristiane immuni dai crimini della viltà e del tradimento, anche quando l’esercito pagano ne era rimasto infetto. Al riguardo afferma Tertulliano: "Siamo accusati di attentare alla maestà dell’Imperatore, tuttavia mai i cristiani poterono essere scoperti Albiniani, Nigriani, o Cassiani. Ma quegli stessi che fino al giorno prima avevano giurato sui Lari degl’Imperatori e per la loro salvezza avevano fatto solenni promesse e offerto sacrifici; quegli stessi che avevano spesso condannato i cristiani, furono smascherati come nemici. Il cristiano non è nemico di nessuno, e tanto meno dell’Imperatore: sa infatti che egli è stato costituito dal suoDio e deve amarlo, rispettarlo, onorarlo e volerlo in salute".

Mentre vi rendiamo note queste cose, Venerabili Fratelli, vogliamo che vi giungano, non come fossero a voi sconosciute o nutrissimo il timore che non attendete con sufficiente zelo alla difesa e alla propagazione dei principi della retta dottrina sulla obbedienza che i sudditi sono tenuti a fornire al loro sovrano legittimo. Queste Nostre parole intendono palesare apertamente il Nostro animo nei vostri confronti, e quanto forte sia il desiderio che tutti gli ecclesiastici di codesto Regno, per la purezza della dottrina, per l’ornamento della prudenza, per la santità della vita risplendano al punto da risultare irreprensibili agli occhi e all’opinione di tutti. In questo modo ogni cosa, come è negli auspici, risponderà felicemente alle attese.

Il vostro potentissimo sovrano si comporta benevolmente nei vostri confronti e non mancherà, in forza dei Nostri buoni uffici, che non cesseremo di interporre in vostro favore, di accogliere con animo sempre propizio le vostre richieste, per il bene della Religione cattolica che codesto Regno professa, e alla cui difesa ha promesso di non venire mai meno. I veri saggi vi tributeranno meritate lodi; per contro, gli avversari si vergogneranno per non avere alcunché di male da dire contro di Noi.

Nel contempo, mentre leviamo al cielo le Nostre mani, supplichiamo per voi Dio, perché ogni giorno di più arricchisca e colmi ciascuno di voi con l’abbondanza delle celesti virtù. Tenendovi sempre nel Nostro cuore, vi esortiamo a completare la Nostra gioia coltivando con unità di intenti la stessa carità e nutrendo gli stessi sentimenti. Predicate tutti ciò che è conforme alla retta dottrina; custodite il verbo incorrotto e irreprensibile; comportatevi unanimi in un solo spirito collaborando nella fedeltà al Vangelo.

Infine, pregate Dio incessantemente per Noi che, in pegno di paterno affetto, impartiamo a voi e al gregge affidato alle vostre cure, con infinito amore, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 9 giugno 1832, anno secondo del Nostro Pontificato.


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