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Gregorio XVI
Ad gravissimas


All'Arcivescovo di Malta.

Alle gravissime angustie e preoccupazioni che Ci affliggono e Ci raggiungono in tanta asprezza di cose, si aggiunge un nuovo acerbissimo dolore, essendo venuti a conoscenza che il gregge affidato alla tua cura pastorale è esposto ad un grandissimo pericolo ed al rischio incombente di mettere a repentaglio la propria salvezza, a causa della macchinazione di uomini empii. Siamo infatti venuti a sapere, da molte e ripetute comunicazioni, che nella diocesi di Malta, con grande disappunto di tutte le persone rette, si sono diffuse in lungo e in largo le sette di coloro che, riuniti in società scellerata, si procurano la libertà soprattutto in colloqui clandestini ed in incontri notturni; essendo essi stessi al servizio della corruzione, come flutti in un mare agitato tutto travolgono, confondono ogni cosa, bestemmiano, e si adoperano, con argomenti falsi e mostruosi, di corrompere i sani costumi, di promuovere un’esecrabile sfrenatezza di pensiero e di vita, e particolarmente di trarre in inganno la sprovveduta gioventù, di sconvolgere ogni diritto divino e umano, di distruggere e, se mai fosse possibile, di sradicare i fondamenti della Religione Cattolica e di abbattere il potere di ogni legittima autorità.

I Romani Pontefici, per la suprema potestà loro conferita da Dio di pascere e di guidare tutto il gregge del Signore, sempre si preoccuparono in tutti i modi di condannare e di reprimere tali sette, uscite dalle tenebre per recare morte e distruzione. Tu non ignori, Venerabile Fratello, con quanta cura e vigilanza nelle loro lettere pontificie anche recentemente i Nostri Predecessori Clemente XII, Benedetto XIV e Pio VII abbiano condannato e proibito tali società e aggregazioni, e abbiano stabilito le dovute, severissime pene nei confronti di tutti coloro che si iscrivono a queste società, o in qualsiasi modo le favoriscono. Seguendo gl’illustri indirizzi di questi Papi, di nuovo il Nostro Predecessore Leone XII di felice memoria nella sua lettera apostolica del 13 marzo 1825 che inizia con le parole "Quo graviora mala", affinché non si prolungassero ulteriormente nel tempo i perniciosi contagi della peste, e anzi fosse possibile allontanarli ed eliminarli radicalmente, rinnovando e confermando le costituzioni degli stessi Pontefici, decretò che fosse contemporaneamente ratificato e applicato tutto quello che essi, con oculatezza e sapienza, avevano promulgato e stabilito su questa materia.

Anche Noi, con non minore sollecitudine, quando – non certo per i Nostri meriti, ma per un disegno arcano della divina Provvidenza – fummo innalzati alla sublime Cattedra del Principe degli Apostoli, nella Nostra prima lettera enciclica del 15 agosto 1832 stimolammo tutti i Venerabili Fratelli, chiamati con Noi a condividere il ministero pastorale, a respingere con tutte le forze dal loro gregge tali empie società e congreghe, e a combattere strenuamente le battaglie del Signore. Conseguentemente comprendi con facilità, Venerabile Fratello, quanto siamo rattristati per essere venuti a conoscenza che nella tua diocesi si sono propagate tali società clandestine e riprovevoli, e che vi si svolgono assemblee e riunioni nelle quali ideatori subdoli ed espertissimi di scelleratezze, preparati in ogni arte di simulazione non meno che nella conoscenza di ogni strategico sconvolgimento, capaci di occultare astutamente i loro piani criminosi e le finalità ultime, non lasciano alcunché d’intentato in vista di conquistare, asservire e irretire con il veleno dell’errore soprattutto gli animi plasmabili della gioventù inesperta, sia attraverso le attrattive di piaceri disonesti, sia con la bramosia di novità, sia con gli allettamenti di una gloria letteraria o di una certa erudizione, sia attraverso qualsiasi altro genere di insidie estremamente capziose.

Inoltre Ci addoloriamo grandemente, Venerabile Fratello, per il fatto che abbiamo appreso che già molti giovani della tua diocesi, adescati in modo miserevole da questi inganni e caduti in questi lacci, si sono aggregati a codeste società esecrande. "Dal momento che la Nostra sollecitudine si estende a tutte le Chiese per mandato esplicito del Signore, che affidò al beatissimo Apostolo Pietro il primato della dignità apostolica come ricompensa della sua fede" , in forza del Nostro sommo ministero di apostolato con questa lettera siamo obbligati,Venerabile Fratello, in così grande calamità di codesta diocesi, ad eccitare vivamente il tuo zelo e la tua sollecitudine pastorale nel Signore affinché tu con ogni mezzo ed ogni provvedimento possa provvedere diligentemente a che il gregge affidato alle tue cure non sia rapinato e le tue pecore non siano divorate dalle fiere. Tu sai esplicitamente, Venerabile Fratello, che devi combattere strenuamente e impegnarti con tutte le forze, perché le devastazioni mortali di queste società siano allontanate dal tuo gregge. Pertanto, Venerabile Fratello, vigila, impegnati in tutti i modi, adempi il tuo ministero, agisci da coraggioso, e adoperati affinché più facilmente sia salvaguardata l’integrità della Religione Cattolica e dei costumi, e affinché sia impedita la dannazione eterna delle anime a te affidate. Non cessare di gridare; fa risuonare la tua voce come squillo di tromba, e per mezzo di lettere pastorali, editti, ammonizioni dirette al tuo popolo, condanna la natura infinitamente perversa di queste società; non cessare mai di mostrare i pericoli, di svelare le insidie diaboliche e ingannatrici degli empi, ricordando nel contempo a tutti le pene gravissime di scomunica che le costituzioni apostoliche infliggono ipso facto a coloro che si iscrivono a dette società o in qualche modo non rifiutano di favorirle.

Coadiuvato soprattutto dall’opera sollecitata dei parroci, non tralasciare di ammonire ed esortare i fedeli a te affidati, affinché fuggano dalle società di codesti uomini come dalla faccia del serpente, ed evitino attentamente i loro discorsi, che si diffondono come un cancro; rimangano saldi e sicuri nella fede, senza mai consentire di essere sopraffatti dalla malvagità e dall’insidia di uomini dediti a circuire per mezzo dell’errore. Dal momento che fai le veci di Cristo, il quale, come Egli stesso ha assicurato, non venne a chiamare i giusti perché si pentissero, ma i peccatori, è anche necessario che tu, Venerabile Fratello, impieghi una speciale attenzione ed operosità a favore di coloro che nella tua diocesi giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte in quanto irretiti e coinvolti in sette di tal genere; con paterne ammonizioni, consigli, esortazioni cerca di confutare, scongiurare, riprendere con ogni pazienza e sapienza, e di indicare la via della salvezza per ricondurre tutti a Cristo Gesù.

Non abbiamo alcun dubbio che tu, Venerabile Fratello, sollecitato anche da questa Nostra lettera e spinto da un grande senso di responsabilità nell’esercizio del tuo ministero episcopale, vorrai indirizzare tutti i tuoi pensieri e i tuoi sforzi nella difesa e nella salvezza del tuo gregge, e che per quanto ti sarà possibile tenterai tutte le vie perché codesta esecrabile peste nella tua diocesi venga messa sotto controllo ed eliminata. Infatti, giustamente San Leone, Nostro Predecessore, asserisce che avrà da Dio il premio di una grande ricompensa colui che avrà posto tutta la sua diligenza per la salvezza del popolo a lui affidato; ma chi non avrà custodito il proprio popolo contro gli autori di sacrileghe iniziative, non potrà difendersi dal reato di negligenza davanti al tribunale del Signore .

Noi, nel frattempo, nell’umiltà del Nostro cuore incessantemente supplichiamo con intense preghiere il Signore delle misericordie perché ti conceda il suo aiuto dall’alto per distruggere le trame degli uomini perversi, e compensi abbondantemente le terre dove svolgi il tuo ministero e, rivolgendosi propizio a codesto tuo popolo, moltiplichi su di lui la sua misericordia e distrugga le trame degli empi.

Come auspicio del bene desiderato e pegno del Nostro speciale affetto nei tuoi confronti, con tutto il cuore impartiamo a te, Venerabile Fratello, e al tuo gregge la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 31 agosto 1843, anno tredicesimo del Nostro Pontificato.


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