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Clemente XIII
Summa quae


1. L’altissimo dovere che incombe su di Noi di provvedere a tutto il gregge cristiano e di aiutare il governo dei Nostri Fratelli che ne amministrano le varie parti, Ci invita ad istruire, esortare o ammonire gli stessi, secondo i diversi tempi della Chiesa. Abbiamo certamente adempiuto spesso con voi, Venerabili Fratelli, i doveri di tale Nostro apostolato, soprattutto da quando abbiamo previsto nell’animo quei pericoli che già prima sentivamo esistenti con il proposito di danneggiare la Religione di codesto Regno; per conservarla ben protetta e difesa, sono state compiute egregie iniziative dalla vostra gente. Tuttavia quella calamità che temevano è già venuta ed è giunta anche più grave di quanto fosse nella Nostra previsione; per questa ragione ora siamo mossi da zelo più forte verso codesta Nazione. L’ardore di cui Ci infiammiamo particolarmente per la salvezza di Voi, che siete guide degli altri, richiede adesso voce più robusta e più veemente, affinché siano suscitati nelle vostre anime quei moti della grazia celeste, la quale avete ricevuta infusa da Dio all’inizio dell’Episcopato, poiché certamente questo è il tempo nel quale il supremo Padre della famiglia aspetta e chiede insistentemente da Voi i dovuti e necessari frutti dei suoi doni.

2. Abbiamo percepito con incredibile dolore il fatto che in codesto Regno si fanno patti, la perversità dei quali consiste nel comporre la verità con l’errore, lo splendore della luce con lo squallore e le tenebre. La composizione di queste cose totalmente opposte spinge facilmente alla rovina il popolo fedele, e introduce nel luogo santo l’abominio della desolazione!

Veramente l’angoscia del nostro cuore giungerebbe al massimo se in questa confusione divenissero mute le voci dei Vescovi, se non vedessimo nessuno di loro pronto a richiamare gli spiriti dei popoli dal contagio e a confermarli nella verità della dottrina; e soprattutto se qualcuno, o per paura, o perché indotto dalla malvagia volontà di piacere più agli uomini che a Dio, volgesse la dignità e l’autorità che a tutti Voi sono state affidate per la difesa e l’ornamento della Chiesa, nell’oppressione di essa. Ma in nessun modo Ci lasceremo convincere che possa mai succedere che sulle labbra una volta consacrate alla predicazione della parola divina vengano a mancare la forza e la virtù per respingere la menzogna, mentre nello stesso tempio di Dio osa chiedere per sé un seggio ed un trionfo; che le mani, nobilitate dal contatto con il corpo di Cristo, possano essere usate per scrivere a sostegno dell’impudenza e della dissolutezza dell’errore; infine che le orecchie, abituate solamente alle dolcissime voci della Chiesa, debbano ascoltare le frodi e le insidie di Satana. Nondimeno vediamo che le distruzioni compiute dall’avversario del genere umano avanzano in misura tanto rilevante, che non c’è quasi nulla che non si debba temere. Voglia il cielo che alcuni non si lascino catturare talmente dall’errore e dagli inganni, al punto che, vedendosi incapaci a domare l’impeto dal quale sono oppressi, perciò si considerino liberi dalle leggi del dovere pastorale: e, rigettato l’ufficio imposto loro dalla Chiesa stessa, e conservato l’altro di magistrato e di governo, essi stessi favoriscano i danni che vengono loro inferti, come se queste parti gemelle dei compiti possano essere separate e divise, né debbano assolutamente pensare che quella sia da preferire a questa.

3. Perciò nel nome di Dio onnipotente, del quale, anche se indegni, portiamo la vicaria autorità, Vi dichiariamo che chi si lascia condurre verso questo inganno e questo errore è completamente cieco, ed offre sé come guida ai ciechi, e non può essere scusato da nessun pretesto fra quelli addotti, e a causa della stessa ignoranza del compito episcopale sarà condannato da Dio, come dice Osea: "Poiché hai rigettato la scienza, ti respingerò da me, in modo che tu non sia mio sacerdote: hai dimenticato la legge del tuo Dio; anch’io mi dimenticherò dei tuoi figli" (Os 4,6.10). Perciò, Venerabili Fratelli, nessuna ragione né di ignoranza, né di errore, né di paura, né di cose umane, Vi allontani del seguire diligentemente l’ufficio episcopale. Sebbene le forze e le milizie di questo secolo portino danno al potere della Chiesa, tuttavia tutte le opere ed i consigli dei sacri Pastori devono essere unicamente diretti in conformità della norma prescritta dai comandi evangelici, dalla tradizione e dalla disciplina Ecclesiastica.

4. Sappiano perciò che la più importante parte del loro ministero è che essi stessi si mettano innanzi fermamente, come un muro per la casa di Israele, contro l’impeto di tutti gli avversari. Dovranno considerarsi disertori dal gregge della Chiesa di Dio, se asseconderanno le frodi dei nemici o in qualche modo connivendo o tollerando favoriranno le loro macchinazioni. Persistano pure le più grandi calamità e l’esilio; vengano appresso le privazioni degli onori, dei beni e della vita stessa. Sopportino con pazienza, purché le stesse mani sacerdotali non siano macchiate dal consenso alla malvagità altrui, o per colpa loro diminuisca l’integrità della Religione o si contamini lo stesso Santuario. Certamente dovrà essere considerato più beato colui che possa, in questa costanza di comportamento, commutare la breve e passeggera condizione di questa vita con l’infinita ed eterna ricompensa; sia ritenuto degno di ricevere quella immarcescibile corona che riteniamo sia stata preparata dall’ottimo Principe dei Pastori per coloro che offrono la propria vita per le pecore affidate alle loro cure.

Venerabili Fratelli, avevamo queste cose di gravissima materia sulle quali ammonirvi per l’indispensabile salvezza vostra e del vostro gregge.

Il nostro Signore Gesù Cristo, con l’aiuto della sua grazia, confermi e rinforzi in Voi sentimenti che siano coerenti con la Vostra vocazione e portino a Voi una pari alacrità e grandezza d’animo per compierla.

Mentre imploriamo per Voi l’abbondanza dei doni divini, Vi impartiamo con amore, in auspicio dei medesimi, la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 6 gennaio 1768, nell’anno decimo del Nostro Pontificato.


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