GIOSUE' CARDUCCI

Nato a Valdicastello (Lucca) 1835 - Morto a Bologna 1907

Trascorse l'infanzia a Bolgheri e Castagneto nella Maremma toscana, ove giunse con la famiglia nel 1838 dal momento che il padre era stato nominato medico condotto. Nel 1848 i Carducci si trasferirono a Castagneto, ma l'anno dopo lasciarono definitivamente la Maremma per tentare maggior fortuna altrove: Firenze, Santa Maria a Monte. Giosue' laureatosi intanto alla Scuola Normale di Pisa, fu chiamato a venticinque anni a tenere la cattedra di letteratura italiana nell'Universita' di Bologna, ove rimase per tutta la vita.

Le prime esperienze letterarie di Giosue' Carducci, risalgono agli anni dei suoi studi presso la Normale di Pisa, dove otterrà il diploma in magistero nel 1856. Si tratta del periodo dei famigerati "amici pedanti", un gruppo di giovani che propone il ritorno al classicismo in opposizione alla nouvelle vague romantica, egemone in quel periodo. E' proprio su questa linea di recupero delle forme e dei modi della tradizione letteraria italiana che avviene l'esordio poetico di Carducci, nel 1857, col primo volume di Rime. Allo stesso modo, negli anni successivi, difficili dal punto di vista della sua situazione economica e affettiva (muoiono, a un anno di distanza l'uno dall'altro, il padre e il fratello) sono dedicati dello studio dei classici e della sperimentazione dall'interno del classicismo. Il 1860 è l'anno dell'unità d'Italia, e Terenzio Mamiani, il primo ministro italiano della pubblica istruzione, gli affida la cattedra di eloquenza dell'università di Bologna, che terrà fino al 1904. E' il momento in cui, da una parte, incomincia ad impegnarsi politicamente nell'estrema sinistra di allora, quella Mazziniana, e dall'altra continua la sua ricerca poetica, fino a pubblicare il suo secondo libro, Poesie, nel 1871. Nel 1871 conosce Carolina Cristofori Piva, che lui ribattezza Lidia e che sarà la Musa ispiratrice di moltissime sue liriche. Da questo punto in poi comincia la stagione del suo successo letterario, nonché il suo riflusso politico che lo porterà, proprio negli anni in cui la sinistra va al potere, verso posizioni decisamente conservatrici e monarchiche. Col suo libro successivo, le Odi barbare, del 1877, questa sua trasformazione è oramai compiuta: si tratta di un libro di poesia civile nel quale determinati momenti storici (Roma antica, i Comuni) vengono proposti come modelli etici da ritrovare nella nuova Italia che si sta formando. La posizione di Carducci-vate della monarchia e della patria si rafforza sempre più con gli anni. Nel 1878 con l'ode Alla regina d'Italia, diventa anche il poeta ufficiale di casa Savoia, e fa ancora peggio nel 1882 con l'articolo Eterno femminino regale. Nel 1881 muore Lidia. Nello stesso anno pubblica Giambi ed epodi, ancora poesia di impegno civile, ma questa volta più di stampo satirico e polemico. Un relativo cambiamento lo abbiamo con la sua raccolta successiva, Rime Nuove, del 1887. I toni accesi e oratori lasciano (in parte) il posto ad una poetica più intimista e riflessiva, che produce buona parte dei classici che ritroveremo nelle antologie scolastiche del secolo successivo: Pianto antico, Il bove, Idillio Maremmano, San Martino. Nel 1890 esce l'ultima raccolta, Rime e ritmi, e nello stesso anno viene nominato senatore del regno: è la definitiva consacrazione a poeta ufficiale dell'Italia Umbertina. Il riconoscimento più grande gli arriverà però nel 1906, col premio Nobel, un anno prima della sua morte a Bologna.

La presonalita' di Giosue' Carducci - poeta, prosatore, storico della letteratura - è tra le più vigorose della storia letteraria italiana. Il Carducci si impone per la compattezza della ricerca storica e filologica, per il sentimento innovatore della classicità, per l'ampio e articolato mondo della sua lirica.

In sede critica egli fu di certo il più alto esponente della scuola storica. Pensare al Carducci, anche per il più comune dei lettori, significa risentire il baleno di uno sdegno, significa avvertire nella propria memoria un verso d'epopea o di esultanza, o di pianto. Un arco di voci e di risentimenti e di evocazioni che dà alla poesia un timbro inconfondibile. Ma proprio per la varietà di ispirazioni e di accenti che stanno tra la leggenda epica e l'intimità di una nota familiare, la poesia carducciana chiede al lettore un'intelligenza unificatrice e insieme semplificatrice: capace di avvertire la vicinanza di regioni dello spirito apparentemente remote e di filtrare una certa vastità di strutture e di suoni fino alla nota autentica e genuina.

"Carducci è l'ultima tempra d'uomo che abbia avuto la nostra poesia, l'ultimo poeta che nel mondo non abbia veduto solo se stesso, ma anche il prossimo" (Momigliano).

 

ALCUNE POESIE

"Idillio Maremmano"(da Rime Nuove) ,1867/1872

Nel contrasto tra natura e storia,tra ragione e sogno, si percepisce il contrasto tra un lontano e piacevole passato,intatto,genuino e l'attualita' di allora triste e mediocre.Emerge in piena luce la figura bella e concreta della "bionda Maria"(Maria Banchini).

"oh come fredda indi la via , come oscura e incresciosa , è trapassata!"

"oh lunghe al vento sussurranti file de' pioppi! Oh a le bell'ombre in su'l sacrato, ne i di' solenni

rustico sedile, onde brume si mira il piano arato, e verdi quindi i colli e quindi il mare,

sparso di vele e il campo santo e' a lato!"

"Oh dolce tra gli eguali il novellar sul quieto meriggio e a le rigenti sere accogliersi intorno

al focolare!"

 

 

"Il bove" (da Rime Nuove), fine 1872

Osservazioni della vita georgica dei campi di Bolgheri.

T'amo pio bove; e mite un sentimento

Di vigore e di pace al cor m'infondi,

O che solenne come un monumento

Tu guardi i campi liberi e fecondi,

O che al giogo inchinandoti contento

L'agil opra de l'uom grave secondi:

Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento

Giro de' pazienti occhi rispondi.

(....)

Edel grave occhio glauco entro l'austera

Dolcezza si rispecchia ampio e quieto

Il divino del pian silenzio verde.

 

 

"Pianto antico"

Il 1870 si apre e si conclude con avvenimenti funesti che lo colpiscono nell'intimo. Infatti gli muore la madre (3 febbraio) e il figlioletto Dante (9 novembre) di travaso celebrale. Da questo avvenimento luttuoso, nasce la struggente «elegia» Pianto antico.

L'albero a cui tendevi

la pargoletta mano,

il verde melograno

da' bei vermigli fiori

nel muto orto solingo

rinverdì tutto or ora,

e giugno lo ristora

di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta

percossa e inaridita,

tu de l'inutil vita

estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,

sei ne la terra negra;

né il sol piú ti rallegra

nè ti risveglia amor.

 

 

"Nostalgia"(da Rime Nuove), 1874

Il desiderio di ritornare in Maremma e' affidato a un temporale che sale verso Appennino

"La' in Maremma ove fiorio

La mia triste primavera,

La' rivola il pensier mio

Con i tuoni e la bufera:

La' nel cielo librarmi

La mia patria a riguardar,

Poi co'l tuon vo' sprofondarmi

Tra quei colli ed in quel mar."

 

 

"Pe'l Chiarone da Civitavecchia"(da Odi Barbare),1879

Il Carducci aveva da tempo programmato la sua prima visita ufficiale a Castagneto per i giorni 25 e 25 aprile. Partì da Roma alle prime luci dell'alba e scese a Civitavecchia; qui noleggiò una carrozza e si fece portare al Chiarone, sul confine fra Lazio e Toscana. Era quella la Maremma più orrida e inoltre fu attraversata sotto un acquazzone continuo. Per rendere ancor più lugubre l'atmosfera, il Carducci lesse Marlowe, un tragico drammaturgo del cupo Cinquecento inglese. Giunto al Chiarone, vide nello sfondo un po' di sole sull'argentario e il cuore gli si aprì; così buttò nel fiume Marlowe e compose quest' ode.

"Il sole illustra le cime.La' in fondo sono i miei colli,

con la serena vista,con le memorie pie."

 

 

"Sogno d' Estate"(da Odi Barbare),1880

Mentre legge l'Iliade si addormenta e sogna di ritrovarsi a Bolgheri : rivede la sua fanciullezza, la madre, il fratello Dante, il sole di luglio, i carri rotolanti sul selciato, i cari selvaggi colli, i meli e quattro candide vele sul mare.

"Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.

non piu' libri: la stanza da'l sole di luglio affocata,

rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato

da la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,

cari selvaggi colli che il giovane april rifioria."

 

 

"San Martino"(da Rime Nuove),1883

Anche se il ricordo della Maremma era spesso legato al sole, tuttavia la stagione preferita per venire a Castagneto era l'autunno. L'11 novembre 1883, San Martino, il poeta si trovo' a Castagneto. L'8 dicembre successivo compose questo bel quadretto macchiaiolo del borgo castagnetano.

"La nebbia agli irti colli

Piovigginando sale,

E sotto il maestrale

urla e biancheggia il mare;

Ma per le vie del borgo

Dal ribollir de' tini

Va l'aspro odor de i vini

L'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi

Lo spiedo scoppiettando:

Sta il cacciator fischiando

Su l'uscio a rimirar

Tra le rossastre nubi

Stormi d'uccelli neri,

Com'esuli pensieri,

Nel vespero migrar."

 

 

"Traversando la Maremma Toscana " (da Rime Nuove), 1885

Il 10 aprile partì da Livorno per Roma, passò davanti alla sua Maremma, vide Castagneto e si commosse. Tornato a Bologna, compose questo famoso sonetto. Uno sguardo profondamente nostalgico al paese dove visse fanciullo, alla cara, selvaggia, Maremma toscana; i sogni non sono diventati realtà e restano irraggiungibili. La visione della morte si stempera in un sentimento di dolcezza e di pace, che si diffonde dalle note colline e dal verde piano.

"Dolce paese, onde portai conforme

L'abito fiero e lo sdegnoso canto

E il petto ov'odio e amor mai non s' addorme,

pur ti riveggo e il cuor mi balza tanto.

(...)

Pace dicono al cuor le tue colline

Con le nebbie sfumanti e il verde piano

Ridente ne le pioggie mattutine."

 

 

"Davanti a San Guido" (da Rime Nuove),1885/1886

Lo stradone di Bolgheri cominciò a vedere i cipressi nel 1832, intorno al 1855 fu ultimato fino alle Capanne, e solo nel 1907, dopo la morte del poeta, fu proseguito fino a Bolgheri, ultimato nel 1911. I cipressi sono circa 2540. Delle poesie che rievocano il dolce paese e la dolce età, nessuna raggiunge la pienezza significativa e suggestiva di questa che ha due momenti distinti:

l'impressione fresca e improvvisa alla vista dei cipressi, che si traduce in un dialogo familiare e brioso e l'apparizione della nonna, che fa traboccare il patetico.

"Cipressi che a Bolgheri alti e schietti

Van da San Guido in duplice filar,

Quasi in corsa giganti giovinetti

Mi balzarono incontro e mi guardar.

(...)

Bei cipressetti, cipressetti miei,

Fedeli amici d'un tempo migliore,

Oh di che cuor con voi mi resterei

............................................................

Ma cipressetti miei , lasciatem'ire:

Or non e' piu' quel tempo e quell'età.

Se voi sapeste!..via non fo per dire,

Ma oggi sono una celebrità".