di Michele Giunta

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A giustificarmi di quanto possa essere ritenuto una invasione di campo, dico subito che non sono un critico d'arte.

Non ho mai perduto di vista Michele, il ragazzo in lutto, che a scuola mi stava di fronte, pensoso anzitempo, quasi adulto.

L'Arte in quanto realizzazione di stati di grazia dello Spirito si sottrae da sè a tipizzazione e giudizi.

E' in questa convinzione che mi sono accostata alla resa pittorica di Michele Giunta, incuriosita della Madomania che lui stesso graziosamente si attribuisce.

Assente qualsiasi debolezza di stretto campanilismo pare che il suo ambito di trasfigurazione del reale cominci e finisca con le madonie, al loro posto di guardia da sempre.

Non è così: egli spazia e sceglie, poi si lascia prendere dai luoghi che si porta dentro per segni, forme, colori.

Questi i contenuti figurativi tra i quali abilmente si muove: il ramo sotto foglie a pioggia; le macchie del verde e del marrone, ora prepotenti, ora sapentemente sfumate; la tenerezza per delle mura cui manca il tetto; lo scabro di qualche resto murario, scarnito dal tempo; il vigore delle piante giovani e forti a protezione di un piccolo corso d'acqua già stanco; nel grande Piano la Chiesa e qua e là alcune case pretensiose, che danno come certo il ritorno degli emigrati nostalgici.

Ma al di là di calcarelli, Nociazzi, Castellana, a farla da padrone è il Duomo di Cefalù, cui Michele non a caso riconduce le linee normanne delle Chiese di Geraci, senza però nulla togliere alla casupola stanca del piccolo borgo, immusonita sotto tegole vecchie, scurite dagli anni.

Mi sono fermata con particolare interesse davanti ai dipinti di Michele, portatami nei luoghi della sua memoria, luoghi che in buona parte sono i miei.

La Pittura, come lui la vive va soprattutto goduta e goduta in pieno, in ispecie per quanto di tenero essa riesce a trasmetterci in direzione del Bene, che spesso si veste di bello.

Egli si ispira alla natura non sopraffatta.

Quali gli accorgimenti tecnici e figurativi, cui Michele ricorre?

Effetti tonali, visivi, quasi tattili, colpi d'occhio che valgono immediatezza di sintesi figurativa, rispetto filiale per quanto di incontaminato riesce a salvarsi nell'intimità di qualche scorcio solitario, miracolosamente fresco come nei lontani tempi della Creazione. La sua è pittura spontanea, ma non solo.

A fatti, egli apre il libro della natura, la natura buona; vi legge dentro; fa sue le immagini evocate o raccolte e le rende per noi.

Quel tardo pomeriggio, davanti ai dipinti disposti intorno come in attesa, la suggestione potè operare per suo conto: mi fu facile allora cogliere gli echi lontani del Cantico Francescano; facile, evocando dal tempo, accostarmi idealmente ad uno dei riti antichi della purificazione, la Catarsi, cui induce la religione, cui porta l'Arte; congiunte all'abilità con cui ha tradotto in valori conoscitivi le sue esperienze figurative.

Non solo essa, partecipando del divino che è in noi, rende puri, mondi da colpe, ma contrariamente ad altre possibilità umane, spesso ingannevoli, non separa gli uomini perchè tende ad unirli come nella preghiera, come nel tripudio del sole che avvolge buoni e meno buoni senza nula chiedere.

Fuori il mondo continuava per la sua strada, ma l'atmosfera sapeva di trasparenza, di lontananze, di altre significazioni.

Celestina Salamone Cristodaro

 

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