Sport ed Handicap
Le testimonianze che ho raccolto
e vissuto in prima persona, rivelano che l'immersione con autorespiratore
è un'attività possibile anche ai disabili. La persona deve superare le limitazioni
dovute alla disabilità ed imparare e praticare con successo le tecniche richieste
a tutti i subacquei. Fin dalle prime esperienze di attività sportiva con disabili,
una delle necessità più vivamente avvertite dagli atleti, dai medici, dai
tecnici e da tutti coloro che si avvicinavano al mondo dello sport per handicappati,
è stata quella di verificare gli effettivi vantaggi della pratica sportiva
e soprattutto di valutarne eventuali rischi e controindicazioni. I benefici
dello sport sull'organismo sono evidenti ed innegabili;esistono delle condizioni
patologiche che, se pur non direttamente imputabili alla lesione invalidante,
sono connesse con lo stile di vita da essa imposto: il paraplegico, come
pure il non vedente, il cerebroleso etc... conduce per forza di cose una
vita assai meno attiva dell'individuo sano e sono ben note le conseguenze
negative sul corpo umano della mancanza di un'attività fisica regolare; infatti
modeste richieste di ossigeno connesse con una scarsa attività muscolare,
abituano l'individuo a non sfruttare i propri apparati respiratorio e cardiocircolatorio
in tutta la loro potenzialità. Ne deriva un'indesiderabile situazione di
ridotta funzionalità cardiaca e polmonare correlata alla sotto-utilizzazione
di questi stessi organi. Il disabile sportivo, viceversa, risente in misura
minore di tali problemi, poiché attraverso l'allenamento viene a recuperare
in buona parte l'efficienza dell'apparato cardio-respiratorio.
L'impressione è che l'handicappato sia ben visto solo se confinato in casa, sulla sua carrozzina, possibilmente con una coperta sopra le gambe. Circondati dunque da una mentalità comune ostile o quanto meno poco recettiva, i disabili hanno dovuto sempre assumersi enormi responsabilità per riuscire ad infrangere questa barriera di scetticismo e di diffidenza. Nel campo strettamente sanitario al di là di un intuitivo favorevole rapporto tra i sicuri benefici dell'attività sportiva ed i possibili rischi, ci si è spesso interrogati su come poter quantificare gli uni e gli altri. Non di rado tecnici sportivi, fisioterapisti, ecc. Si sono visti costretti, in assenza di un'organizzazione medica di controllo, a dare direttive tecniche suggerendo questa o quell'attività ad atleti affetti da handicap diversi. Tutto ciò assumendosi in prima persona le responsabilità dei rischi inerenti tali scelte. Eccettuati infatti i migliori centri di riabilitazione, dove l'attività sportiva iniziava come naturale prosecuzione della fisioterapia, sotto il controllo di personale medico specializzato, nelle realtà più periferiche dello sport per handicappati, la possibilità di fruire di un'assistenza sanitaria adeguata restava allo stadio di puro desiderio.
Fino a poco tempo fa, grazie alla legge 883 del 1978, non era praticamente possibile concedere certificati a portatori di qualche handicap motorio o neurosensoriale: questo perché il concetto fondamentale era che per intraprendere una qualsiasi attività agonistica fosse indispensabile possedere un fisico perfettamente integro, sia morfologicamente che funzionalmente in tutti i propri organi e apparati. La grande maggioranza dei sanitari rifiutava di concedere l'idoneità ad un handicappato, e forse non a torto, poiché ciò voleva dire andare in parte contro la lettera del testo di legge, assumendosi rilevanti responsabilità individuali.
Nel 1985 la FISHa decideva di
insediare una Commissione Medica Nazionale per lo studio dei problemi inerenti
il rilascio del certificato di idoneità. L'anno successivo, veniva nominato
dallo stesso CONI una Commissione interfederale, composta da medici sportivi
delle varie federazioni, per lo studio dei problemi inerenti la tutela sanitaria
dell'attività sportiva. Tale commissione si rivelò un trampolino di lancio,
infatti si stese subito un progetto su una possibile idoneità sportiva per
handicappati. Il progetto, presentato nel luglio dell'86, veniva immediatamente
inoltrato al Ministero della Sanità Qui il documento sedimentò per un anno
e mezzo ma l'importante era che finalmente si fosse arrivati alla discussione
degli aspetti tecnici, con l'Ufficio Handicappati del Servizio di Medicina
Sociale.