10
marzo 2004
conduce l’ insegnante di storia
e la guida del Museo Civico Archeologico di Bologna Sig.ra Patrizia
Il
testo che segue è il racconto, redatto da un gruppo di alunni, sulla
visita guidata al Museo Civico Archeologico di Bologna: Sezione Egizia.
Ieri,
mercoledì 10 marzo 2004, siamo andati al Museo Civico Archeologico di
Bologna alla sezione egizia. Siamo scesi ed abbiamo osservato due
bassorilievi della prima tomba del faraone Horemheb. Nel primo erano
raffigurate due scene in cui il faraone pranzava e più a destra c’era
sempre lui che faceva pascolare dei bovini. In basso, invece, c’era
Horemheb che arava il campo degli dei. Nel secondo bassorilievo
c’erano dei nubiani catturati come schiavi e sarebbero serviti per
riparare del sole il faraone con un parasole. Dopo abbiamo osservato un
cofanetto fatto di legno pregiato che avrebbe dovuto contenere i vestiti
del faraone nell’aldilà. Dopo molti anni i faraoni capirono che
costruendo le piramidi in vista i ladri le avrebbero saccheggiate perciò
decisero di costruire tombe sotterranee; il luogo dove edificarono le
loro tombe la chiamarono “La Valle dei Re”.
Oggi
noi troviamo solamente gli oggetti del corredo funebre ed eventualmente
le tombe monumentali che li contenevano perché gli oggetti di uso
quotidiano non resistevano altrettanto a lungo nel tempo, questo proprio
perché gli antichi egizi avevano un culto esagerato per i morti e
credevano che si potesse accedere alla vita ultraterrena soltanto se il
corpo del defunto vi giungeva intatto: ecco perché tutto ciò che lo
accompagnava doveva essere costruito per durare per l’eternità
(dobbiamo dire che in alcuni casi ci sono quasi riusciti!). Gli oggetti
di uso quotidiano, invece, potevano essere ricostruiti o aggiustati
finché c’era la vita.
Il
faraone, nelle rappresentazioni, è sempre riconoscibile perché, solo
lui, indossava un copricapo speciale su cui veniva posto un UREO d’oro
che era un serpentello. In Egitto cresceva rigogliosa una pianta, il
papiro, che abbondava sulle sponde del Nilo, intrecciando le sue foglie,
si potevano costruire oggetti di uso quotidiano, stuoie, barche,
sandali, ceste e, pressandole, anche i “fogli” su cui scrivere i
geroglifici.
I
nobili ed il faraone portavano spesso una parrucca per bellezza o, a
volte, come copricapo. I più ricchi si truccavano per farsi belli ma
non solo, anche per proteggersi dalla sabbia del deserto.
Durante
la sua vita il faraone Horemheb si fece costruire tre piramidi: una
quando era generale, un’altra, più grande quando fu promosso capo
dell’esercito e l’ultima da faraone, nella “Valle dei Re”. Al
Museo noi abbiamo visto due bassorilievi che lo riguardano e raccontano
alcune scene della sua vita ultraterrena, questi bassorilievi
rivestivano una stanza della sua prima tomba.

Siamo
passati poi ad una vetrina contenente alcuni oggetti della camera
funeraria: sarcofagi, vasi canopi, ecc. Questi oggetti appartennero ad
Usai un funzionario di Tebe.
I
vasi canopi contenevano lo stomaco, l’intestino, i polmoni ed il fegato
del defunto cioè le parti molli che i sacerdoti gli toglievano poi lo
immergevano nel sale per almeno 40 giorni quindi lo fasciavano con bende
di lino e lo restituivano alla famiglia che provvedeva a fornirgli il
corredo funebre. Gli antichi egizi, dopo aver riposto il corredo funebre
ed il sarcofago nella camera funeraria, chiudevano il corridoio di accesso
a ques’ultima riempiendolo di terra per impedire l’eventuale entrata
di ladri. Quando il rito di mummificazione era terminato alcuni operai
riproducevano il disegno del volto del defunto sulle bende facciali: le
donne erano facilmente riconoscibili perché la faccia era dipinta con la
pelle chiara, gli uomini erano rappresentati, invece, con la pelle scura.
Siamo
passati inoltre a vedere un altro sarcofago su cui erano dipinti molti dei
e vicino a loro c’era una bilancia: su uno dei due piatti era riposta
una piuma, nell’altro un cuore umano. Secondo la religione egizia il
cuore doveva stare in equilibrio con la piuma al momento in cui questo era
presentato al cospetto di Tot, è ovvio che un cuore, sia pur privo di
cattive azioni, non potrà mai essere leggero come una piuma, perciò si
invocava l’intervento dello scarabeo stercorario un animale ritenuto
sacro da quel popolo perché creduto potente, essi infatti osservavano
che, dalla pallina di sterco che lui modellava come sua casa, uscivano,
prima o poi, tanti piccoli scarabei, questa per gli egizi era una magia
che mostrava la potenza di questo insetto perciò lui poteva essere in
grado di aiutare il cuore del defunto ad essere leggero come la piuma così
questo sarebbe entrato nell’aldilà però se il possessore del cuore
aveva commesso troppi “peccati” lo scarabeo non poteva fare niente,
per lui, ed un mostro si sarebbe mangiato il cuore così la sua mummia
avrebbe vagato nel deserto per sempre.
Ci
siamo voltati ed abbiamo visto un altro sarcofago su cui erano disegnati
degli occhi perché gli egizi credevano che quando il defunto aveva fame
bastava che guardasse il cibo desiderato e quello diventava commestibile.
Il cibo usato dagli egizi era pane, carne di uccello, cipollotti, pesce,
cetrioli e fichi inoltre bevevano acqua, vino, birra e latte; sappiamo
infine che usavano anche l’olio di semi.
Gli
animali sacri degli antichi egizi erano: il gatto, il coccodrillo,
l’ippopotamo, lo scarabeo, il babbuino ed il serpente.
Oggi
non si sbendano più le mummie, come in passato, per studiarle ma se ne
fanno le radiografie per evitare che si decompongano.
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