La fortuna del Manzoni nelle pagine di critica letteraria comincia già all'epoca della sua giovinezza, quando Vincenzo
Monti e Ugo Foscolo apprezzano il poeta in erba. I Promessi Sposi riscuotono un grande successo e nell'arco di un anno sono
stampate tredici edizioni, alcune delle quali in tedesco, francese, inglese.
Il critico che contribuisce a far conoscere veramente l'opera del Manzoni in Italia è Francesco De Sanctis che dedica
all'autore un intero corso nel 1877. Detrattore del Manzoni è il poeta Giosue Carducci, che lo taccia di conformismo borghese,
mentre il filosofo e critico Benedetto Croce afferma che il romanzo manzoniano non contiene poesia, ma è opera oratoria,
Antonio Gramsci (1891-1937) accusa Manzoni di paternalismo nel suo atteggiamento verso gli umili, nel saggio Letteratura e
vita nazionale (1950), conglobato nei Quaderni dal carcere (1972).
I prosecutori della ricerca di De Sanctis e di Croce sono, a tutt'oggi, gli interpreti più acuti dell'opera manzoniana. Attilio
Momigliano, Luigi Russo e molti altri, cercano di evidenziare, accanto ai vari temi e al significato dei personaggi, l'unità poetica e
il messaggio fondamentalmente umano dell'opera manzoniana. Michele Barbi progetta nel 1939 un'edizione nazionale delle
opere del Manzoni e, negli anni Cinquanta, attua un'edizione critica delle tre redazioni del romanzo, per consentire ai critici utili
esami comparativi.
Gli studiosi più recenti (G. Petrocchi, L. Firpo, L. Caretti, G. Vigorelli, D. De Robertis, V. Spinazzola, D. Isella, E.
Raimondi, M. Vitale, M. Corti, U. Eco) si sforzano di illustrare anche i rapporti fra Manzoni e la cultura italiana ed europea del
suo tempo, valutando in quale misura essi siano filtrati attraverso l'opera letteraria.
Natalia Ginzburg, ne La famiglia Manzoni (1983), ha ricostruito, attraverso gli epistolari, il complesso e variegato
"ambiente" manzoniano, costituito dai familiari, dagli amici e dai collaboratori.