La prima stesura dei Promessi Sposi è molto diversa dall'edizione definitiva, che vedrà la luce quasi vent'anni dopo, nel
1840. L'autore, nell'arco di due anni scrive il romanzo in quattro tomi, intitolandolo provvisoriamente Fermo e Lucia, dal nome dei protagonisti.
La composizione inizia nel 1821 e termina nel 1823, con alcune interruzioni. Oltre ai romanzi
che circolano in quegli anni e che vengono pubblicati intorno al 1820, come quello di Walter Scott, il Manzoni attinge alle
cronache e alle opere di storiografia del Seicento. Ricordiamo: De peste Mediolani quae fuit anno MDCXXX (La peste che
scoppiò a Milano nel 1630), e Historiae Patriae (Le storie della patria, in 23 libri) di Giuseppe Ripamonti (1573-1643), il
Raguaglio di Alessandro Tadino (1580-1661), medico milanese che diagnosticò la peste e le sue cause, nonché le opere dell'economista Melchiorre Gioia, contemporaneo del Manzoni.
La novità che balza subito all'occhio è il fatto che sono protagonisti personaggi di origine umile e l'ambientazione è di tipo
rurale. Niente cavalieri né damigelle, tornei, imboscate e duelli all'ultimo sangue, ma solo situazioni che, trasposte in epoche
diverse, potrebbero vedere coinvolto chiunque. Certo non mancano vicende eccezionali, come la peste, la guerra, il rapimento
della protagonista, una clamorosa conversione: tuttavia Manzoni le presenta con estrema verosimiglianza. Infatti crede nella
necessità di rifondere, nel romanzo, il vero storico e l'invenzione poetica: lo scrittore pensa che la letteratura, per avere
carattere educativo, non può rinunciare a proporsi come momento di conoscenza e stimolo alla riflessione. Perciò deve
prospettare personaggi, vicende, situazioni, considerazioni, scene, dialoghi e soliloqui in cui il lettore si possa riconoscere.
Come mai la scelta degli umili come protagonisti? E perché proprio un romanzo storico? Sicuramente non è estranea la
concezione cristiana del Manzoni e la sua opinione che la storia sia fatta dalla gente comune, dalla massa popolare, piuttosto che
dalle élites al potere. Naturalmente si tratta di una narrazione, nella quale una vicenda d'amore è inserita in un contesto illustrato
con precisione e sul quale l'autore si documenta con cura puntigliosa. A questo punto torniamo ancora una volta al felice
binomio di verità e fantasia che dà al romanzo realismo e universalità.
Spieghiamoci meglio: l'ambientazione rigorosamente studiata e i tipi umani scelti dall'autore rimandano alla realtà. I
protagonisti non sono creature eccezionali, ma gente semplice come se ne trova ovunque e in ogni epoca. I personaggi "storici",
ossia quelli ricavati dalle cronache, sono riprodotti senza che mai siano falsate (o "romanzate") le fonti storiche, ma proprio
questi personaggi acquistano una suggestione straordinaria quando l'autore cerca di illuminare la loro psicologia e immagina ciò
che le cronache non possono dire, ossia il loro dramma interiore, il fastello di irrequietezze, di paure, di contraddizioni, le
riflessioni, i compromessi che li portano a scelte e decisioni sofferte. L'autore li ricostruisce dall'interno, inventa il processo
spirituale che li ha resi quelli che tramandano gli storici. Per questa operazione letteraria deve fare appello alla sua arte
poetica, alla sua sensibilità, e, perché no?, anche alla sua esperienza personale: chi potrebbe negare che, per ricostruire la
faticosa conversione dell'innominato, Manzoni non abbia ripensato alla "sua" conversione?
Un'altra domanda: perché proprio il Seicento? Si può rispondere, ricordando il patriottismo profondo del Manzoni. Nel
secolo della dominazione spagnola sul Milanese, egli ravvisa molte analogie con il suo tempo, in cui la Lombardia è sottomessa
agli Austriaci e ancora compaiono prevaricazioni e violenze. Come a quei tempi gli umili erano in balìa delle forze politiche, così
ora i diritti dei cittadini sono violati e le loro giuste esigenze di libertà sono soffocate. La vicenda è ambientata nel territorio del
Ducato di Milano e dura per due anni, dal 1628 al 1630. Protagonisti sono due giovani borghigiani che non possono sposarsi
perché il signorotto della zona si è incapricciato della promessa sposa. Dopo lunghe peripezie (i fidanzati devono separarsi ma si
ritrovano, poi, in circostanze drammatiche) le nozze vengono celebrate.
Il romanzo non soddisfa affatto l'autore che lo dà in lettura agli amici Visconti e Fauriel. Quest'ultimo gli suggerisce alcuni
tagli sostanziali, per modificare una struttura poco equilibrata, in alcune parti prolissa e fuorviante.
A questo punto, però, l'autore comprende che non si tratta soltanto di scrivere una bella storia capitata in passato, di
comporre un romanzo che sappia divertire e intrattenere il lettore: sente dentro di sé l'urgenza di trasmettere un messaggio
universale e di dare alla sua opera quella funzione educativa, già obiettivo dei suoi capolavori precedenti. Occorre, quindi,
guadagnare in sobrietà e chiarezza, dando ai personaggi quel carattere particolare che consente di farsi portavoce di
un'esperienza di vita.
Nel 1825 i quattro volumi sono ridotti a tre, dall'intreccio più agile e organico. Nel 1827 ecco l'edizione (detta
"ventisettana") dei Promessi Sposi - Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni: duemila
copie sono esaurite nell'arco di due mesi. Già il titolo è notevolmente suggestivo: l'autore, infatti, si presenta nelle vesti di
scopritore e rifacitore, nel milanese in uso ai suoi tempi, di un antico manoscritto secentesco, composto da un misterioso autore anonimo: non è un espediente molto originale, se pensiamo che già Ludovico Ariosto l'ha usato per l'Orlando furioso (1532) e
Miguel de Cervantes se ne è servito per il Don Chisciotte (1605-16015).