IL DIAVOLO NON ABITA QUI


Acquista il libro


Guarda il trailer del libro


TVL - Giallo Pistoia 23 Gennaio 2020 presentazione "Il Diavolo non abita qui"


Guarda presentazione piece teatrale del libro

INCIPIT romanzo
Il Diavolo non abita qui

Prologo


1 – Prima il dopo

Mattino del 29 aprile 1899 – Bagno a Morbo, abitazione del direttore

Sentì ancora i vetri tremare sotto la spinta del vento. Ormai sveglio, Armand Thibault decise di alzarsi, nonostante l’orologio sul comò non segnasse ancora le sei. Barcollò verso la finestra e scostò lo scuro, ma il buio ancora impenetrabile gli impedì di scorgere la fabbrica. Da qualche tempo aveva un tarlo nella testa e durante la notte bastava un niente perché iniziasse a rodergli l’anima; a quel punto ritrovare il sonno diventava impossibile e dentro di sé, come ondate contro la scogliera, iniziavano ad avventarsi i tormenti della giornata: il poco tempo a disposizione, le grandi responsabilità, la premura per gli impegni inderogabili e l’ansia di far funzionare bene le caldaie, erano le montagne da scalare che lo facevano arrivare al punto di non riconoscersi più. Lui… il direttore della fabbrica, proprio lui che non poteva permettersi cedimenti.
Si voltò verso la porta, fece un passo e si trovò di fronte allo specchio del comò. S’avventurò tra le pagliuzze verdi degli occhi nel tentativo di leggervi qualche risposta sfuggita alla mente.
Non vide che inquietudine.
Si passò una mano sulla barba folta e la sentì più ispida del solito. Doveva lavarsi la faccia. Quella mattina c’era qualcosa che alimentava ancora di più l’irascibilità e il malessere che ormai lo avvelenavano sempre più spesso. Essere il direttore delle nove fabbriche dell’acido borico doveva essere un onore, per lui lo era sempre stato. La “Società Le Manier & C.” sin dagli inizi dell’ottocento era una delle più blasonate industrie d’Italia. I Le Manier in quegli ottanta anni di vita industriale avevano ricevuto grandi onori dai Granduchi di Toscana e ora persino dal Re d’Italia. Umberto I, proprio in quei tempi di profonda crisi, aveva voluto dimostrare la sua benevolenza per quell’industria così meritevole, inviando solenni messaggi di congratulazioni. Dunque perché preoccuparsi? Ma Armand sapeva bene il perché. Non era poi così semplice rimanere virtuosi in quel momento di incertezza e di dissesto sociale. Non era passato nemmeno un anno da quando a Milano, lo stesso Re, aveva fatto sparare contro la folla con i cannoni per sedare la rivolta contro la tassa sul macinato. E anche lì a Larderello, l’impegno stava diventando ogni giorno più arduo. Si sentiva come un funambolo al quale rimpicciolivano sempre più la corda sulla quale stare in equilibrio. La concorrenza sul mercato, con l’arrivo delle boraciti americane, s’era fatta davvero spietata e ogni intoppo nella produzione, poteva mettere a repentaglio l’esistenza stessa dell’impresa.
Forse per questo adesso gli frullava in testa solo il problema segnalato il giorno prima da Giuseppe Guerra. Il caposquadra s’era prodigato a girare valvole, ma la quantità di vapore nelle tubature delle caldaie dei vasconi di San Marco aveva continuato a diminuire e il calo di produzione era stato inevitabile. Era quello il motivo che lo inquietava e gli aveva impedito di riprendere sonno?
Armand con rammarico abbandonò lo specchio, si trattenne un attimo; era indeciso. Poi, preso dall’assillo di risolvere il problema, si avviò in direzione del bagno per prepararsi a uscire prima possibile. Entrò e si fermò davanti alla toilette. Un attimo dopo, con impeto, chiamò Loretta; la brocca dell’acqua era ancora vuota e lui aveva fretta di andarsene. Il principe Luigi Anzecchi, fresco d’investitura alla guida della Le Manier & C., gli aveva chiesto di occuparsi del problema e certamente avrebbe preteso un resoconto a fine giornata.
Armand fece spazio a Loretta che, trafelata, arrivò in bagno con tutto il necessario per la toeletta. La lasciò predisporre il servizio poi, guardandola con disprezzo, le disse: — Vedi che ho ragione io… non sei più attenta. — Non è vero signor Armand, io cerco di assecondarvi in tutto, siete voi che non mi volete più. E questo da quando…
— Zitta! E vattene via! — gridò lui con rabbia allungando una mano nel gesto di colpirla.
La vide allontanarsi singhiozzando, alzò lo sguardo allo specchio e si sentì un verme. Era più forte di lui, quando la rabbia gli montava dentro, la realtà si modificava spingendolo a rifugiarsi negli istinti più bassi. In quel momento gli apparve il viso austero di sua moglie Luise; lei era l’unica che riusciva a tenergli testa e forse, proprio per questo, non vivevano sotto lo stesso tetto. Luise infatti non voleva saperne di trasferirsi in quel luogo così selvaggio. Non per niente la chiamavano “Valle del Diavolo”. Non c’era il ben che minimo agio e il continuo evaporare d’acque bollenti che saliva al cielo dai lagoni e dalle caldaie, faceva apparire quel luogo come l’anticamera dell’inferno. Così avevano preso un appartamento a Pomarance dove lei risiedeva regolarmente e lui vi si recava solo nei fine settimana. Armand, già amareggiato a quell’ora, si impose di non pensare più. Con irruenza infilò le mani nella bacinella e si sbatté l’acqua sulla faccia.

Uscì dal portone e oltre le colline vide l’albore del sole spennellare l’orizzonte. Abbottonandosi il paltò, si diresse verso Larderello. Oltrepassato l’arco di uscita dal caseggiato, si voltò a guardare verso la valle. Il canneto, ondeggiante al vento, gli chiudeva la vista e solo sforzandosi un po’ riuscì a intravedere la cima del campanile. Delle rabbiose folate di vento alzavano la polvere e facevano assottigliare le palpebre. Con riluttanza decise di alzare il bavero; era pur vero che si sarebbe sentito infagottato, ma non voleva ritrovarsi col fazzoletto fisso sotto al naso. Senza rendersene conto, aumentò il passo chinando un po’ la figura in avanti per esporsi meno possibile al vento.

Un cavaliere avvolto in una giacca grigia stava chino sulla sella, al riparo di una folta siepe di tamerici dalla mazze cadenti che, in balia del vento, lo sferzavano di continuo. Sembrava addormentato, ma non poteva essere più vigile di così. Era nascosto già da prima che facesse chiaro, nel luogo più opportuno per non essere visto dalla strada, la stessa che il direttore percorreva per recarsi a Larderello. Conosceva le abitudini del Thibault e sapeva che ogni mattina amava fare quella passeggiata. Sapeva anche di dover concludere tutto ciò che aveva in mente, prima del suo arrivo ai vasconi di San Marco. In quel luogo il direttore incontrava regolarmente il caposquadra Giuseppe Guerra per proseguire insieme il giro delle caldaie e dei fornelli
Il cavaliere, con lo sguardo fisso sul grande arco che si apriva nella facciata dell’antico caseggiato delle terme del Bagno a Morbo, ebbe un sussulto. Un uomo era comparso a lato del passaggio e avanzava costeggiando il muretto di mattoni che sosteneva la carreggiata. Aguzzò lo sguardo e, nonostante l’uomo avesse il volto nascosto nel paltò, riconobbe subito il direttore. Sentendo salire i battiti nel petto, attese finché Thibault non scomparve oltre la curva. Poi, con trepidazione, portò le mani alla doppietta, aprì la bascula e controllò le cartucce. Tutto doveva funzionare nel migliore dei modi. Richiuse il fucile e liberò i cani dalla sicura, infine accarezzò il cavallo; era determinante che rimanesse tranquillo. Con delicatezza lo incitò coi talloni e lo spinse in avanti e, procedendo a passo, si tenne fuori dalla vista del direttore. Svoltata la curva che immetteva sulla spianata dei vasconi, aumentò l’andatura. Giunto a un centinaio di metri dal Thibault fermò il cavallo, imbracciò il fucile e prese la mira. Subito dopo con voce potente gridò: — Armand!
Lo vide voltarsi; avrebbe voluto essere a due passi per vedere la paura inondargli gli occhi, ma da quella distanza non poté togliersi la soddisfazione. Ebbe un ultimo sprazzo di ragionevolezza, poi i pensieri fuggirono a rincorrere troppe malinconie e la mente si vuotò. Una rabbia sottile si aggiunse alla determinazione e l’indice si abbatté con forza sui grilletti. La doppietta rinculò contro la spalla e scaricò in sequenza entrambe le canne. Il direttore si accasciò a terra senza un grido: le terzarole avevano fatto bene il loro lavoro. Si lasciò tentare dalla voglia di avvicinarlo per vedere con quale faccia si fosse presentato al Creatore. “Ma quale Creatore?” Si domandò. Se lassù qualcuno stava davvero aspettando Armand Thibault, non poteva essere che il Diavolo in persona, e non solo perché viveva in quella valle infernale.
Stava per spingere il cavallo in avanti quando vide il fisico dinoccolato del Guerra che arrivava dalla salita. Senza indugiare oltre, strattonò le briglie e fece voltare l’animale poi, con veemenza, lo spronò mettendolo al galoppo.
Armand Thibault aveva avuto quello che si meritava.

Recensioni romanzo
Recensioni critici

CARLO GROPPI 23 Novembre 2019 - Gentili signore e signori, illustri ospiti, non credo di poter aggiungere nulla al ricco palmares nazionale di Giorgio Simoni, scrittore e giallista di talento. Confesso di leggere ormai pochi libri, e, praticamente, sempre gli stessi. Ma questo libro di Giorgio l’ho divorato.
In primo luogo per la sua scrittura non affaticante, né per gli occhi, né per la mente; in secondo luogo perché parla di un “caso”, una “tragedia” avvenuta nel nostro territorio. Basti pensare che due personaggi sono di castelnuovini, e così la residenza della vittima dell’omicidio ed anche la Fattoria di Vecchienne e sue pertinenze sono nel territorio del Comune di Castelnuovo! E Luigi Anzecchi, il principe, nel romanzo di Simoni, facilmente identificabile con il principe Piero Ginori Conti, venne ad abitare, dopo il 1912, frequentemente, nella Villa che porta ancora il suo nome, allora Sede della Società Boracifera Fossi che con l’altra Società esistente, la Belga, costituiva il tessuto industriale della Comunità castelnuovina, i suoi rapporti con Pomarance, Monterotondo, e Castelnuovo erano giornalieri.
Io mi sono da sempre occupato di microstoria, soprattutto di quella legata al nostro territorio ed ho pubblicato molti lavori. Ma, adesso, essi mi sembrano aridi e soltanto pieni di nomi anonimi, numeri, storie collettive, progressi industriali, difficoltà economiche, collusioni politiche…pur non dimenticando il benessere che in queste aree hanno portato.
Ma Giorgio, non solo fa rivivere l’epoca degli straordinari progressi tecnologici, sia in campo chimico e poi, in quello anticipatore di quello elettrico, che farà di Larderello la Capitale Mondiale della Geotermia, ma che nel 1918 fu anche capace di richiamare a Pomarance, Larderello, Monterotondo, un gruppo di scienziati di fama mondiale, tra i quali spicca quello di Marie Curie, due volte premio Nobel, per valutare le potenzialità della presenza del radio nei vapori e nelle acque geotermiche, per poterne valutare le possibilità di estrazione industriale! Gli esperimenti riuscirono positivi, ma i costi troppo elevati, sconsigliarono il Ginori Conti di proseguire. Egli aveva ormai compreso che il futuro della energia geotermica sarebbe stato non più quello chimico, ma quello della produzione di energia elettrica!
Tuttavia la visita della Curie e degli altri scienziati e del Ministro della Guerra, nella successiva Conferenza tenuta a San Remo, darà il via alla istituzione della Facoltà di Fisica dell’Università di Roma, quella dei ragazzi di Via Panisperna e di Enrico Fermi, anch’egli successivamente Premio Nobel, e che per due volte sarà ospite di Larderello e ammiratore dei suoi impianti.
No, Giorgio, descrive gli uomini, nei loro dolori e nel loro amori, nelle nefandezze e nella violenza, ma non rendendoli macchiette, bensì esseri umani dotati di slanci morali e di valori sociali. E i personaggi romanzati di Giorgio riescono ad essere talvolta più reali della realtà. Inoltre non sono personaggi appartenenti ad una massa indistinta, ma emergono con i loro personali drammi umani e sociali.
E poi, c’è un finale, che naturalmente non svelerò, veramente un capolavoro! Ed è tanto realistico che nella sua immaginazione Giorgio lo fa credere vero! Sembra davvero incredibile che negli oltre cento anni dagli avvenimenti narrati, nessuno ci abbia pensato! Grazie ancora caro Giorgio per questo tuo bellissimo lavoro!


ENRICO PINI 5 Dicembre 2019 - Un uomo su di un cavallo con una doppietta a tracolla. Accarezza la testa dell'animale. Gli sussurra parole. Le stesse parole che il vento ha portato via. I fischi dei soffioni ne ripetono il significato. Un attimo e la sua ombra è una cosa sola con il bosco. Solo il fruscio del vento.
Ci sono storie perse tra le fronde dei castagni, tra il sottobosco e i sentieri. Parlano di uomini di fatica. Di principi e servi. Di gentiluomini e briganti. Parlano di una terra strappata al diavolo in persona. Parlano di ingiustizie. Di onore. Di lealtà. Giorgio Simoni le ha udite. Ha stretto la mano a quelle anime e ce le ha riconsegnate in un romanzo. Storie dentro un unica storia. Dove il diavolo, se ha fatto la sua comparsa, è stato spaventato dalle azioni degli uomini.

Recensioni romanzo
Recensioni di lettori

Dario 26 Ottobre 2019 - Quando leggi un libro e sei dispiaciuto perché lo hai finito e ti sembra che ti manchi qualcosa vuol dire che quello che hai letto è un bel libro, grazie Giorgio Simoni per le emozioni de "Il Diavolo non abita qui".

Bice 10 Novembre 2019 - Letto tutto d'un fiato. Ha ragione Luana.... Proprio bellino.

   INDIETRO