Train de vie – Un treno per vivere

(Taraini de vie)

Francia, 1998

Regia: Radu Mihaileanu

Con: Rufus (Jacques Narcy), Lionel Abelanski, Agathe de la Fontaine, Clement Harari, Marie-José Nat.

 

Per fuggire ai nazisti che stanno rastrellando i villaggi ebraici della Romania, alcuni ebrei, guidati dallo scemo del paese, decidono di mettere in scena un trucco. Costruiscono un treno, ci appiccicano le svastiche e poi si travestono: chi da aguzzino delle SS chi da prigioniero. Destinazione (falsa) Auschwitz...

 

Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi: almeno così si pensava sull’Olocausto prima dell’ultimo Benigni. A confrontarsi con il Tabù ci prova anche il rumeno Mihaileanu, con una storia a metà strada tra il fantastico e il musical; e con il determinante contributo del ritmo ossessivo della musica di Goran Bregovic. I suoi ottoni danno la carica a una comunità ebraica che, nel ’41, poco prima dell’annunciata deportazione, costruisce un "treno della vita" sul quale fingere e anticipare ciò che sarebbe successo se si fosse aspettata l’ineluttabilità della Storia. Nel geniale gioco dagli schemi spiazzanti come un dribbling di Baggio, gli ebrei saranno vittime e carnefici, SS dall’accento rigido e giudei dall’inflessione yiddish. (Aldo Fittante, "FilmTv")

 

La storia ha i ritmi bizzarri delle favole ascoltate davanti a un camino, ha svolte improvvise e soluzioni quasi incredibili, che possono far arricciare il naso a chi è abituato alle giunture d’acciaio del realismo. Ma la chiave del film è nascosta alla fine, nell’ultima inquadratura, quando ancora una volta, amaramente, la verità univoca della Storia rivendicherà la sua pesante supremazia su ogni ipotesi fiabesca. Le condanne a morte possono essere rimandate finché qualcuno ha voce e fantasia per immaginare strade diverse, per disegnare rotaie che come un arabesco vanno e tornano lungo i campi della libertà: ma alla fine le condanne a morte vengono sempre eseguite. così Train de vie è ciò che la vita dovrebbe essere se a narrarla fosse lo scemo del villaggio, uno che ha deciso in piena autonomia di ricoprire quel ruolo, e solo perché il posto da rabbino era già occupato. E allora sarebbe possibile farla franca, inventare un treno e una falsa deportazione, dividersi per finta in vittime e carnefici, come i bambini si dividono in guardie e ladri, e poi incontrare gli zingani e suonare e ballare con loro, e ridere dei comunisti più cretini e dei tedeschi più ridicoli, sospirare per amore e sputare in faccia alla morte. Nella fantasia dello scemo, come in quella dei poeti e dei fanciulli, tutto è possibile: luoghi ed eventi, diceva Manganelli, obbediscono come sudditi al loro linguaggio. Per continuare ad amare il bene ogni tanto bisogna chiudere gli occhi e proiettarsi sulle palpebre un’altra vita. Con gli occhi sempre aperti si rischia di odiare il mondo. (Marco Lodoli, Fuori dal cinema. Il diario di 100 film, Einaudi, Torino 1999)

 

Malgrado il memento mori finale, la tragedia è tenuta accuratamente a distanza, e tutto si stempera in una commedia degli equivoci satirica e fiabesca, superficiale e mai graffiante (con qualche furbesca concessione al nudo). Gradevole ma sopravvalutato. Scritto dal regista (che aveva fatto leggere la sceneggiatura a Benigni prima che dirigesse La vita è bella, con inevitabili strascichi polemici), musiche di Goran Bregovic e dialoghi italiani affidati a Moni Ovadia. (Il Mereghetti. Dizionario dei film 2008, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano 2007)

 

Filmografia di Radu Mihaileanu

Train de vie, 1998; Ricchezza nazionale (Les pygmées de Carlo), 2002; Vai e vivrai (Va, vis et deviens), 2005.