TARTARUGHE SUL DORSO Italia, 2004 (92’ - colore) Regia: Stefano Pasetto Interpreti:Fabrizio
Rongione, Barbora Bobulova, Gordana Miletic, |
Si respira aria d’Europa in questa opera prima di Stefano
Pasetto, che ha ben poco in comune con la carineria di tanto cinema italiano
contemporaneo e in cui Trieste, città crocevia di gente e di culture diverse,
non è soltanto lo sfondo in cui si muovono i protagonisti, ma diventa simbolo
del confine non tanto geografico quanto esistenziale nel quale sono sospesi i
personaggi continuamente in bilico tra l’andare e il restare, tra il passato e
il presente, tra la rabbia e la ragione. Si respira aria d’Europa per i
riferimenti a Kieslowski (con il caso che scandisce il delinearsi della storia)
e ai Dardenne (dai quali il regista “prende in prestito” Fabrizio Rongione,
l’amico-innamorato-rivale di Rosetta) che appaiono veri atti d’amore più
che omaggi pretestuosi nei confronti di un cinema che scandaglia l’animo umano
con uno stile asciutto e privo di retorica. Lo sguardo di Pasetto mette in scena
la solitudine di un Lui e di una Lei i cui destini si sfiorano, si intrecciano,
si avvicinano e si allontanano in una serie di combinazioni casuali, quasi come
fossero le lettere dello Scarabeo con cui i protagonisti giocano dall’inizio
alla fine del film componendo le parole chiavi della loro esistenza. È dalle
parole incastrate sulla griglia del gioco che prende il via il flusso dei
ricordi, il ricordo delle prime immagini che l’uno ha dell’altra. Così a
poco a poco scopriamo che Lui e Lei si sono conosciuti da bambini al mare, le
loro vite si sono unite lì quando Lui le ha regalato una tartaruga per poter
avere il privilegio di guardarle la schiena. Molti anni più tardi, sempre a
Trieste dove lei è tornata per occuparsi di una zia malata e lui lavora come
pasticcere dopo essere uscito di prigione, si incrociano, si guardano da lontano
senza però trovarsi. Ma il valore del film, più che in ciò che racconta sta
nel come lo racconta, nella capacità di una sceneggiatura-intelaiatura che
sostiene la narrazione senza diventare invasiva, una sceneggiatura che non si
sovrappone alle immagini e non le prevarica, ma le lascia libere di determinare
il senso del film che sta tutto nei corpi dei personaggi, nei loro sguardi
(quello di Lui trova un naturale prolungamento nella sua passione per la
fotografia), nelle inquadrature ricorrenti che scandiscono le tappe del loro
ritrovarsi, nel montaggio che alterna passato e presente in un raffinato
incastro temporale in cui la memoria fa i conti con il caso in un clima
malinconico ma non greve che solo nel finale lascia il passo al melodramma che
per tutto il film il regista riesce ad arginare ed a nascondere con più morbide
nuances.
Orietta Tizzoni, “Sentieri
Selvaggi” (www.sentieriselvaggi.it -
15/05/05)
Lui
e lei, due sguardi in pena, con passati ingombranti, in una città di frontiera,
passaggio obbligato per andare oltre, per trovare un altrove. Trent’anni sono
sufficienti per rischiare di sentirsi completamente fuori luogo e inopportuni.
Anni di galera spesi da innocente, violenze brutali subite da un corpo fragile
come quello di una tartaruga, che lei accudisce con largo affetto e dietro alla
quale si ripara. La metafora è forse un po’ troppo didascalica, ma il primo
lungometraggio di Stefano Pasetto merita, è ben scritto, sfrutta Trieste come
location dell’anima e si lascia accompagnare con dolente melanconia ai
puntuali tratteggi delle note della Banda Osiris. Strutturato a incastri, come
la partita di Scarabeo che sorregge lo sviluppo narrativo, gioca di sottrazione,
ha pudore e rispetto per chiunque, e non si lascia incantare dalle lusinghe
delle facili scorciatoie. Scelti con cura i comprimari (tra i quali spiccano
Luigi Diberti, Chiara Sani, Vittorio Amandola e Gordana Miletic), e bravissimi i
due protagonisti, dal Fabrizio Rongione di Rosetta all’ormai matura
Barbora Bobulova, cuore sacro di un’opera che, con umiltà, ha l’ambizione
di circondare con amore alcuni disagi del galoppante, cinico, egoista mondo
contemporaneo.
Aldo Fittante,
“FilmTv”