L’OMBRA DEL VAMPIRO

Titolo originale: Shadow of the Vampire

Gran Bretagna/Francia, 2001

Regia: E. Elias Merhige 

Interpreti: John Malkovich, Willem Dafoe, Catherine McCormack

NOSFERATU IL VAMPIRO

Titolo originale: Nosferatu, eine Symphonie des Grauens

Germania, 1922

Regia: Friedrich W. Murnau

Interpreti: Max Schrek, Gustav von Wagenheim, Greta Schröder.

L’ombra del vampiro è un film ambientato sul set di un altro film, ossia descrive (in maniera romanzata) come il leggendario regista tedesco F. W. Murnau (1888 – 1931) girò Nosferatu, pellicola muta del 1922 che vanta nella storia del cinema un’assoluta posizione di culto.

Murnau, proveniente da una ricca famiglia di commercianti, dimostra da subito talento per la letteratura, il teatro, la musica, l’arte figurativa; dopo gli studi e la laurea in filosofia, nella prima guerra mondiale è pilota e dal 1919 è a Berlino come regista. Con il suo decimo film Nosferatu (con la parola rumena che significa “morto vivente” viene celata l’ispirazione non autorizzata al romanzo di Bram Stoker Dracula, per cui la vedova dello scrittore ottenne la distruzione di tutte le copie del film, anche se alcune per fortuna si salvarono) e con alcuni dei successivi consolida la sua reputazione, tanto da essere scritturato a Hollywood, dove la Fox gli dà piena “carta bianca”; il suo primo film americano è Aurora (1927), che ottiene critiche entusiaste, due premi Oscar ma un minor risultato commerciale, oggi per alcuni è il suo miglior lavoro, ma non può oscurare Nosferatu; a causa di problemi con il sonoro viene coinvolto in controversie con i produttori, e si adegua ad un binario più commerciale. L’ultimo film Tabù è girato nelle isole della Polinesia; nello stesso anno il regista aveva firmato un contratto decennale con la Paramount, ma muore in un incidente stradale nei pressi di Hollywood. Parte della critica “rimprovera” a Murnau l’estrema eterogeneità tematica dei suoi film (e ne constata la misoginia, accenna all’omosessualità e all’assunzione di oppio), ma egli è indubbiamente il più importante regista tedesco del periodo del muto ed uno dei più grandi registi del cinema degli esordi; di più: sembra essere stato il primo a guadagnarsi la qualifica di “genio del cinema”. Il suo Nosferatu anticipa alcuni successivi sviluppi del cinema; egli cerca di esplorare un inconoscibile nascosto sotto la coltre fenomenica: un paradosso, visto che questa ricerca del non-visibile viene realizzata mediante la forma-cinema, ossia la forma più massificata dell’immagine-visione. Il film trasuda dell’espressionismo tedesco, ma ne aggira i canoni estetici, inventando trucchi filmici inediti: gioca con il fotogramma singolo, manipola la stampa della pellicola, monta sequenze in negativo, ed ottiene effetti spettrali ed agghiaccianti. L’eterogeneità dei film di Murnau ha la sua “logica simbolica” complessiva in tre punti chiave: l’incubo notturno di Nosferatu si “disperde” con Aurora (il chiarore del giorno fatale per il vampiro), Tabù è la “conclusione” (contenuto: l’inaccessibilità dell’amore nell’”idillio” dei mari del Sud); al compromesso con la logica commerciale segue la morte...

L’ombra del vampiro segna l’esordio della Saturn films, costituita dal noto attore Nicolas Cage con ambizione di “indipendenza”, scenografo è Steven Katz (che curò anche la scenografia di Intervista col vampiro, 1994), regista E. Elias Merhige; Murnau è interpretato da John Malkovich (eccellente attore di – come rivela il nome – origine croata), Max Schreck (che interpreta il conte Orlok, così come è rinominato Dracula in Nosferatu) da Willem Dafoe. Il film è uno stimabile progetto di omaggio a Murnau, con l’accento sulla sua preoccupazione per l’estremo realismo di ogni scena, che l’attore Schreck realizzò con cura, con una e giornaliera e quasi completa identificazione nella raccapricciante “personificazione del male”. Un’immagine psicologica forte, ricreata soprattutto da Malkovich. Ma ad un livello più generale il film rimane anche una prova non del tutto riuscita, un’esibizione di stile relativamente interessante ma priva di uno sguardo più radicale sull’ossessività (“vampirizzante”) della professione cinematografica, che conduce verso l’attraente ma perfida “finzione reale” dei mass-media.

(A cura di Alessandro Radovini)