MONSIEUR IBRAHIM E I FIORI DEL CORANO

Francia, 2003 (94' - colore)

Titolo originale: Mr. Ibrahim et le fleurs du Coran

Regia: François Dupeyron

Sceneggiatura: François Dupeyron (da una romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt).

Interpreti: Omar Sharif (Mr. Ibrahim), Pierre Boulanger (Momo), Gilbert Melki (oadre di Momo), Isabelle Renauld (madre di Momo), Lola Naymark (Myriam), Anne Suarez (Sylvie), Mata Gabin (Fatou), Celine Samie (Eva), Isabelle Adjani (la star), Guillaume Gallienne (venditore di macchine)

 

Un giovane ragazzo ebreo al suo tredicesimo compleanno spacca il salvadanaio e va a puttane. La mamma è scappata dopo la sua nascita, il padre non sorride mai, è depresso, vittima del destino. Al di là della strada Ibrahim (Omar Sharif) è un musulmano che gestisce un negozio alimentare.  Non è arabo, è del Corno d’oro, ma lavora naturalmente dalle otto a mezzanotte. Dupeyron (regista di C’est quoi la vie, del 1999) compone un quadro di delicato esistenzialismo in qui il sorriso va sbattuto in faccia non come meccanismo di difesa ma come conquista sofistica. Il film non commuove attraverso scontate trappole pietiste ma regala il senso della realizzazione di sé senza pretenziosi accanimenti filosofico-concettuali. Le puttane sono le donne della vita, le mamme della strada, custodi del calore familiare. Fanno da raccordo tra l’anziano mussulmano e il giovane. Ibrahim lentamente si insinua come figura paterna, come mentore. Bisogna dare per non bruciare: ciò che si da è tuo per sempre, ciò che tieni è perduto per sempre. Quando il papà di Moise (Pierre Boulanger) porrà fine ai suoi giorni, il viaggio nelle terre del bottegaio sfonda le apparenze: la Rue Bleue di Parigi non è così blu, la vita non è poi così necessariamente triste. Ibrahim sa che se vuoi conoscere non devi leggere un libro ma parlare con qualcuno, tuffarti nel “mare immenso” delle civiltà. Le interazioni tra gli interpreti e l’ambiente sono frammentate in tanti microcosmi connessi tra loro attraverso un felice uso della musica, dal pop-rock anglosassone alle atmosfere mistiche dei Dervisci Danzanti. E' in questo che il film sembra essere il seguito ideale de La chambre des officiers (2001) in cui ancora poco spazio è concesso al sorriso, alla voglia di vivere. Altra nota positiva: l’interpretazione di Omar Sharif. Curvo su se stesso, sprigiona carisma senza mai perdere  tenerezza, impone la sua presenza nascondendo le spalle.

Leonardo Lardieri, “Sentieri Selvaggi” (www.sentieriselvaggi.it) - 12/09/2003  

   

[…] Inutile cercare temi importanti e metafore pacifiste: Dupeyron non sfiora nulla di profondo o di scomodo, cerca solo di piacere ad ogni costo e punta tutto su una ricostruzione d’epoca a base di canzonette in colonna sonora. Poco convincente il finale turistico in Cappadocia, con svolta mélo. Il Leone d’oro alla carriera conferito a Shariff a Venezia 2003 ha contribuito non poco alla visibilità del film.

Il Mereghetti – Dizionario dei film 2006

     

“Sorridere rende felici”. “Il segreto della felicità è la lentezza”. “Ciò che dai è tuo per sempre, ciò che tieni è perduto per sempre”. Sono alcune delle perle di saggezza che il droghiere musulmano Ibrahim (un Omar Sharif che trova dalle prime scene il sottotono giusto) dispensa tra una scatoletta di ravioli e un beaujolais del suo negozio a Moïse, soprannominato Momo, in una strada parigina d’altri tempi. Momo è un sedicenne sveglio e solitario che guarda dalla finestra la vita della via-acquerello, una strada pittoresca e molto stereotipata che si impone come set, come geografia del ricordo e della convenzione di certo cinema francese. Il giovane protagonista è innamorato delle prostitute affettuose e materne e della figlia della portiera e vive, dopo l’abbandono della madre, con il padre arcigno e oppresso da problemi intestinali, occupandosi della spesa, della casa e della cucina. L’amicizia con il vecchio “arabo” segna il passaggio alla maturità di Momo. Dopo l’adozione, i due partiranno con una spider verso il paese natale del saggio droghiere, tra l’Anatolia e la Persia. Garbato, molto prevedibile, non noioso, scritto e diretto in modo piano, il film convince più nella descrizione dell’incontro tra il ragazzo e il vecchio e nello scrutarsi, tollerante, tra i due mondi. Il viaggio automobilistico verso le radici non ha alcuna originalità e sembra “finto” come la Parigi della “vie” quasi rosa.

Enrico Magrelli, “FilmTv