IL MERCANTE DI VENEZIA Titolo originale: William
Shakespeare’s The Merchant of Venice Gb,
Italia, 2004 – Colore, 124’ Regia:
Michael Radford Interpreti:
Al Pacino, Lyn Collins, Jeremy Irons, Charlie Cox, Joseph Fiennes, Kris
Marshall, Mackenzie Crook. |
Interamente
girato a Venezia, è l’adattamento più fedele mai realizzato del controverso
dramma shakespeariano. Radford (anche sceneggiatore) non prova a smentire
l’antisemitismo del testo originario, malgrado enfatizzi il celebre monologo
egualitarista di Shylok; e non rinuncia alla messa in scena dell’intero,
interminabile quinto atto (che molti registi teatrali omettono o sintetizzano),
dove si getta un’ombra omoerotica sul rapporto tra Antonio e Bassanio.
L’interpretazione di Pacino è corrett, non memorabile. Mediocre il resto del
cast.
Il Mereghetti - Dizionario dei film 2006
Scorrendo la filmografia di Michael Radford si ha la sensazione di trovarsi davanti a un regista onesto ma senza spiccata personalità, capace di mettersi al servizio di un attore, ma comunque segnato da una lunga pratica televisiva: dall’esordio nell’83 (Another Time, Another Place) in pieno naturalismo British Renaissance allo svagato Il postino, con (e di) Massimo Troisi, dal pomposo Misfatto bianco al velleitario B Monkey, con Asia Argento. Per questo Mercante di Venezia aveva a disposizione due mostri sacri, Al Pacino per la parte di Shylock e Jeremy Irons per quella di Antonio, la vera Venezia e la solita “sceneggiatura” di ferro di William Shakespeare. Probabilmente non si è chiesto come mai, di tutte le opere di Shakespeare (e in particolare delle grandi tragedie), Mercante fosse quella più raramente arrivata sullo schermo, senza lasciarvi traccia (a parte un titanico Michel Simon negli anni ’50 e qualche “graffito” di un progetto mai realizzato di Orson Welles). È che, va bene l’eterna attualità del Bardo, ma Mercante è un dramma cupo e intimistico, poco “melodrammatico” e molto razionale, e per di più contorto nel plot quanto sono le commedie. Machiavellico quanto il patto proposto da Shylock ad Antonio, non ha il rumore e il furore, la carne e la passione di altri drammi. Allora, o viene reinventato dal cinema (come ha fatto Julie Taymor con Titus) o resta un’inerte trascrizione, un verboso esercizio calligrafico che non suscita nessuna eco.
Emanuela
Martini, “Film Tv”
Lo diciamo subito: questo film non ci ha convinto. Eppure Il mercante di Venezia, in apparenza (in superficie) sembrerebbe avere tutte le carte in regola. Il regista e sceneggiatore Michael Radford (che pare essersi cautelato in ogni modo) ha adattato Shakespeare con poche variazioni e scegliendo la strada della fedeltà al testo; le location veneziane garantiscono autenticità e spettacolarità allo stesso tempo; i costumi sono (fin troppo) curati. Anche sul fronte attoriale Radford sembra aver voluto andare sul sicuro scegliendo Al Pacino per il ruolo di Shylock e circondandolo di un cast che fosse al tempo stesso sufficientemente funzionale e anonimo per esaltarne la performance. Se Pacino è efficace pur senza stupire (il suo Shylock è intenso, ma a tratti sopra le righe), il resto del cast gli scivola affianco scialbo, dal buon Jeremy Irons a Joseph Fiennes e la bella Lynn Collins; decisamente meglio il giovane Mackenzie Crook (già stella della serie Tv britannica The Office e presente anche in Neverland). Al di là di alcune (non troppo rilevanti) variazioni di tono e di caratterizzazione, questo Mercante di Venezia sembrerebbe (vuole sembrare) solido e compatto, ma è proprio in questa sua apparenza patinata – e nello stridore di questa con la passione e l’umorismo del testo originale – che risiedono i veri problemi. Curato e levigato nella forma, nei contenuti il film è senz’anima, senza coraggio, senza calore e persino poco sincero: Radford porta al cinema la tragedia shakespeariana in maniera sì corretta ma pedissequa, senza mostrare mai di aver instaurato un vero rapporto intellettuale e/o emotivo col testo: non c’è il coraggio dell’interpretazione e si ha invece l’impressione che tutto sia stato maniacalmente controllato allo scopo di realizzare un prodotto inattaccabile, patinato ma del tutto asettico (come forse richiesto dal mercato contemporaneo). Nel Mercante di Venezia tutto è apparentemente perfetto e (tranne forse in alcuni momenti regalati da Pacino) non vi è traccia di quelle positive imperfezioni che rendono il senso della passione di chi un film lo realizza e di chi lo guarda.
Federico Gironi, “duellanti” (febbraio 2005)