LA CITTA' PROIBITA

(Man cheng jin dai huang jin jia)

Hong Kong / Cina, 2006 – 111’ col.

Regia: Zhang Yimou

Interpreti: Chou Jay, Chow Yun-fat, Gong Li, Liu Ye.

 

Cina, X secolo, tarda dinastia Tang: alla vigilia delle festività del Chong Yang, fiori dorati riempiono il palazzo imperiale. L'imperatore fa ritorno a casa all'improvviso insieme al principe Jai, suo secondogenito: la ragione ufficiale è quella di celebrare le festività con la famiglia, ma considerando i rapporti freddi che intercorrono con l'imperatrice, la cosa sembra impossibile. Vengono così a galla terribili segreti. Intanto, migliaia di guerrieri dall'armatura dorata attaccano il palazzo: chi ha organizzato la ribellione?

 

Non è affatto uguale a Hero e La foresta dei pugnali volanti, La città proibita. Zhang Yimou torna apparentemente sui territori che gli appartengono poco, quelli del wuxia, ma stavolta gli interessano di più il (melo)dramma di Palazzo e gli intrighi familiari, e il film ne guadagna. Niente apologie new age dell'estetica del genere, dunque, né la solita celebrazione implicita del potere (al fine di evitare noie con la censura cinese). Se il crudele imperatore Chow Yun-fat resta sul trono, durante la dinastia Tang che nel 10° secolo sta tirando gli ultimi, e dopo aver debellato nemici fuori e dentro i propri legami di sangue, è un monito contro l'onda d'urto di una pratica assolutoria e autarchica della forza, che travolge affetti e oppositori senza più distinzioni. Una storia molto "classica" di tragedie di corte, appunto. Che lo sfavillante côté scenografico (con toni e colori "ispessiti" quasi a dare un'impressione di ubriacatura, peraltro giustificata) e le impressionanti scene di massa (anche se per certa parte computerizzate, ma con grande efficacia verosimile) non schiacciano. Senza perdere tanto tempo in coreografie di scontri, Zhang è robusto, vigoroso, e gestisce il gigantismo con intelligenza; e il cast è molto appassionato. (Pier Maria Bocchi, "Film Tv")

 

Fastosamente guardando indietro crudeltà e amori proibiti della dinastia Tang, laggiù nel 922, X secolo, Zhang Yimou conclude la sua trilogia wu-xia-pian, cappa e spada cinese, aprendo le porte della città imperiale a scovare e scavare negli intrighi di corte, incesto compreso, mentre i nemici arrivano in gruppo neri neri in computer graphic assaltando il palazzo circondato da distese di fiori gialli. Avventura di sfarzo scenico non comune, con rasi e broccati su cui il perfido, ambizioso imperatore che ha scalato il potere (Chow Yun-Fat) serve da tempo alla moglie un lento letale veleno. Grande show internazional di una Pechino con i drappeggi sadici di ieri, meglio non parlare d' attualità: l' autore, voltandosi indietro senza rabbia, gioca coi sentimenti, con affetti morbosi, con maternità a sorpresa con una ricetta che non esclude, ma valorizza, il melodramma.

[...] Avventura di sfarzo scenico non comune, con rasi e broccati su cui il perfido, ambizioso imperatore che ha scalato il potere serve da tempo alla moglie un lento letale veleno. Grande show internazionale di una Pechino con i drappeggi sadici di ieri, meglio non parlare d'attualità: l' autore, voltandosi indietro senza rabbia, gioca coi sentimenti, con affetti morbosi, con maternità a sorpresa con una ricetta che non esclude, ma valorizza, il melodramma. Ispirato da un testo teatrale anni Trenta, La città proibita si allinea alle tragedie storiche, correndo a doppio binario verso la tragedia greca euripidea ma anche inseguendo il raffinato fragore di Shakespeare e il sangue degli elisabettiani. C'è di tutto nel kolossal dell'autore di Lanterne rosse che recupera anche la più formosa e materna Gong Li, sua diva di riferimento. Amore e guerra con effetti digitali per un pubblico pop che ami le emozioni forti e l'esotismo della corte imperiale dove la cinepresa di Zhang percorre lunghi corridoi seguendo gli sguardi freddi, amorali di campioni di cinismo affettivo, sempre nel rispetto delle regole di corte. Che coprono anche le passioni segrete di tre figli, tra cui uno destinato alla complicata successione. Un film di innegabile virtù stilistica, con balletti di morte (lo splendido assalto al palazzo), esaltazione di un concetto assoluto d'Armonia visiva e sonora. Promosso e lodato, ora resta da sperare che Yimou torni presto nel suo presente. (Da "Il Corriere della Sera", 1 giugno 2007)

 

Forse abbiamo assistito alle prove tecniche della cerimonia di inaugurazione dei giochi di Pechino senza accorgercene. Perché sorge il dubbio che Zhang Yìmou, sempre più "voce del regime", abbia già lì la testa e, al di là di un vulgar display of power, non sappia né voglia regalarci alcunché. [...] Non bastano i luccicanti corridoi di palazzo a lenire il fastidio per questa pretestuosa favoletta sulla tarda dinastia Tang che mescola un mazzetto di tragedie shakespeariane e greche per imbastire una vicenda inutilmente sanguinaria. Mesi trascorsi a confezionare costumi luccicanti, ricami e monili ma anche a partorire un topolino di film che si regge sui pianti reiterati di Gong Li e sulle sopracciglia di un Chow Yun-fat ampiamente in pensione; se l'immenso potenziale del cinema cinese dimostra di saper apprendere solo gli aspetti più deleteri di quello hollywoodiano (ma in politica non avviene la stessa cosa?), ci attendono tempi duri. (Emanuele Sacchi, "Rumore", giugno 2007)