BOWLING A COLUMBINE

Canada/Usa/Germania, 2002 (120’ - colore)

Regia, soggetto e sceneggiatura: Michael Moore

Domanda: “Siamo una nazione di maniaci delle armi, o siamo semplicemente pazzi?”. Columbine: è il liceo di Littleton (Colorado) dove una mattina due studenti fanno irruzione e uccidono dodici persone con armi da fuoco. Bowling: quella stessa mattina i due ragazzi andarono, prima di attuare la carneficina, a giocare nella  sala da bowling già frequentata per motivi scolastici.

Il progetto di Bowling A Columbine concerneva la strage omonima, poi a soli sei mesi ci fu l’omicidio di K. Roland, bimba di sei anni uccisa a scuola da un suo coetaneo, a Flint. Ecco che il documentario si arricchisce di "materiale" sino all’11 settembre 2001 che, secondo quanto dichiarato da Moore, ha completamente cambiato il film. L’obbiettivo si amplia con lo scopo di raggiungere il nocciolo del problema, cercare le cause storico-sociologiche per non stagnare nella semplice sequela di fatti privi di causa.  Il raggio d’azione di Moore è di nuovo il Michigan, anzi l’area attorno a Flint, città natale del regista. Un responsabile della tragedia di Columbine ha trascorso la sua infanzia in una cittadina poco distante, uno degli artefici dell’attentato ad Oklahoma City frequentava la scuola vicina a quella di Moore; Charlton Heston, l’uomo pubblico di punta della National Rifle Association (fondata dopo la messa fuori legge del Ku Klux Klan), è cresciuto ad un’ora circa dalla casa di Moore. Coincidenze? Moore non è uomo da crederci, considerando che il Michigan è tra gli Stati dove più impera la legge delle armi da fuoco. Abituato ad esplorare sino in fondo i fatti, Moore decide che bisogna indagare, intervistare chiunque possa dare un contributo reale all’argomento e lo fa con quel suo modo unico, avvicinandosi sospendendo ogni giudizio tanto da apparire dalla parte dell’intervistato, una sorta di infiltrato. E’ l’unico modo per arrivare dove altrimenti non si potrebbe. L’intervista è il momento culmine dei suoi documentari, lo spazio dove ogni opinione su un argomento raggiunge lo status di verità, il momento in cui si raccolgono delle prove o meglio delle "confessioni". Clamorosa l’intervista a Heston nella sua villa di Beverly Hills, dove Moore si spaccia per affiliato della NRA e gradualmente con fare conciliante, delicato, senza mutamenti d’impostazione del linguaggio arriva al punto centrale della questione. Le immagini, molte accompagnate da quella musica che ricorda i servizi "leggeri" tipo CNN, ricavate dalle telecamere a circuito chiuso del liceo di Columbine e le telefonate in diretta trasmesse dai mezzi d’informazione con professori e impiegati della scuola appaiono quale materiale da reality show, genere in voga negli USA, dove la violenza fa ascolto, dove gli eventi sono metabolizzati e inseriti in un contesto che confonde realtà e finzione. Moore  ci guida in questo mondo fatto di 44 magnum sotto il cuscino, di ragazzini disincantati che realizzano bombe persino al napalm. La semplicità delle domande di Moore e le sue altrettanto apparenti disimpegnate risposte creano momenti, impensabili visto l’argomento, di grande e tagliente ironia, cui segue un serrato montaggio di omicidi in diretta di una violenza inaudita, ghiacciando le risate appena trascorse e capovolgendo immediatamente le emozioni dello spettatore.

Siamo una nazione di pazzi? Un cartone animato sulla storia degli USA tenta di dare in parte delle risposte. “A scuola, la prima lezione di Storia comincia con queste parole: i Pellegrini vennero in America perché temevano di essere perseguitati (...), timorosi e impauriti, hanno incontrato gli Indiani, hanno avuto paura di loro e così li hanno uccisi; poi hanno cominciato ad avere paura dei loro concittadini, hanno cominciato a vedere streghe ovunque e le hanno messe sul rogo (...)” e così di paura in paura, di reazione violenta in reazione violenta all’infinito, dentro e fuori i confini del Paese, e quando si sono chiusi nei loro bei ghetti residenziali, la paura li ha costretti ad uccidersi entro le mura di casa tranquillizzati dalla facilità con cui si possono procurare armi, perfino nei supermarket. Basta questo per rispondere alla domanda? O dobbiamo porcene un’altra? Saranno le immagini violente dei film, della televisione a produrre oltre 11.000 morti l’anno? Eppure le stesse immagini le vedono in Europa, nel vicino Canada, e le statistiche sono molto più contenute. E allora? Ecco le imprese dei vari governi fino ad arrivare a Bush jr. – “un presidente che ti dice che esiste un impero del male pronto ad inseguirti su tutta la terra e a schiacciarti” afferma Moore. Che esempio sono per i ragazzi americani? Le risposte alle eterne paure (e agli eterni interessi finanziari) del popolo democratico del Paese più democratico sono le armi, nessun tentativo diplomatico può essere efficace quanto le tonnellate di armi. E la scappatoia prende talmente la mano da sostenere ed addestrare chiunque in quel momento potrebbe essere d’aiuto, salvo poi trovarsi l’amico Bin Laden o Saddam Hussein trasformatosi in nemico giurato, cosa che richiama un’altra affermazione di Moore: “E qual è la cosa peggiore che si possa fare ad un paranoico? Dare corpo alle sue paure!” (vedi 11 settembre).

(dalla recensione di Emanuela Liverani – "reVision" 2002)

 

Un film assolutamente da NON perdere

Non ho parole per descrivere cos'hanno visto i miei occhi e udito le mie orecchie! Un film, un documentario, non so bene come definire questo capolavoro giornalistico-investigativo di Michael Moore. Premiato pure a Cannes! Sappiamo molto bene che il vero giornalismo è una chimera e lo sarà sempre di più. Il vero giornalismo infatti è stato soppiantato da "manichini fotogenici" che pensano più alla messa in piega che alle notizie che stanno veicolando al mondo. Ma la cosa che non potevo immaginare è che un regista americano, poco conosciuto ai più, potesse dare una lezione di giornalismo e soprattutto di vita reale. Posso solo dire che se volete comprendere la situazione americana, la vera situazione, non quella finta filtrata dai media, dovete vedere questa pellicola veramente strepitosa. Una denuncia magistrale, senza deviare in violenza gratuita, che mostra come nel Paese della Libertà, della Democrazia e dei Valori ci sia un quarto di miliardo di armi libere di scorrazzare. Sì, oltre 250 milioni di armi, che causano più di 11 mila morti OGNI anno per omicidio! Non solo, ma l'obiettivo di Moore non è stato quello di fare questa denuncia, abbastanza scontata se vogliamo essere onesti, ma va oltre, alla ricerca delle vere cause. Motivazioni che spieghino infatti come in Canada, nonostante 7 milioni di armi su 10 milioni di case, i morti per omicidio sono irrisori se confrontati con quelli degli States. I due paesi non distano migliaia di miglia, ma sono separati da un semplice fiume!

Ma allora cos'è che provoca questa violenza inaudita? La risposta al cinema...

Marcello Pamio


Gran lezione di cinema (utile) e di giornalismo (di denuncia e non conciliante) quella offerta da Michael Moore, scomodo e ingombrante documentarista, considerato in Usa quasi un pericolo pubblico (difatti i soldi per questo film li ha trovati in Canada). Dopo aver attaccato, e idealmente sconfitto, due multinazionali come General Motors e Nike, stavolta Moore firma un atto d'accusa contro la lobby delle armi, regalando un ritratto caustico e ferocemente realistico degli States, paese dove ci sono più armi da fuoco (250 milioni) che cittadini e in cui le vittime della libera vendita di armi sono da "Guinness dei primati" (11 mila lo scorso anno). Partendo dal massacro compiuto nel '99 da due studenti (dopo una partita di bowling) al liceo Columbine in Colorado, Moore registra con la dovuta ironia situazioni surreali (pallottole in sconto nei supermercati, banche che regalano fucili ai nuovi correntisti), intervista il "satanico" Marilyn Manson (a sorpresa saggio) e fa fare una pessima figura a Charlton Heston, insensibile presidente della National Rifle Association. Il tutto facendo cinema, con più vivacità e intelligenza di tanta fiction.

(Stefano Lusardi in "Ciak" n. 10/2002)

 

Primissima Scuola n. 5-6/2002:

Che fosse un film scomodo lo si è capito immediatamente a Cannes, dove per la prima volta dopo 46 anni un documentario è stato scelto per il Concorso ufficiale. Ancora più scomodo adesso, perché rischia di diventare un manifesto non solo contro le armi, ma contro la logica della guerra. Ma così scomodo da non trovare né un produttore (il film è stato finanziato da produttori canadesi) e nemmeno una distribuzione in Usa, questo ancora non lo si sapeva. A riprova che anche la nazione dove non esiste censura dall'alto, applica una diversa ma non molto più democratica censura di mercato. Il punto di partenza dei film è la strage avvenuta nell'aprile dei 1999 al liceo Columbine, alle porte di Denver in Colorado dove, dopo una partita di bowling, due adolescenti, dopo essersi mascherati ed armati fino all'inverosimile, sono entrati dentro il recinto scolastico iniziando un tragico tiro a segno contro gli insegnanti e i loro compagni dì scuola, uccidendo 12 ragazzi ed un professore. Da questo episodio Moore allarga lo sguardo sull'America, dove la stragrande maggioranza della popolazione possiede un'arma. Nel film appare l'America tutta: dalla sua classe media al suo presidente passando per il profeta della violenza, la rock star Marilyn Manson e un Charlton Heston, nella sua meno nota veste politica, come testimonial della National Rifle Association, e difensore oltranzista dei "secondo emendamento", quello che prevede il libero possesso delle armi per la legittima difesa. Nel suo viaggio Moore cerca di scoprire perché il sogno americano e la ricerca della felicità, prevista e codificata dalla Costituzione, siano diventati un incubo, infarcito di violenza. "Siamo una nazione di maniaci delle armi, o siamo semplicemente dei folli?" si chiede il coraggioso regista, proprio in un momento di chiamata al patriottismo, come quello che l'America sta vivendo dopo l'11 settembre. Singolare personaggio questo Michael Moore che se ne va in giro per l'America con una videocamera un po' impertinente e un po' burlona, a intervistare quasi scherzando la gente, per mostrare il lato oscuro, il cuore di tenebra dell'America. Con la sua curiosa macchina da presa Michael Moore cerca di andare al di là dei fenomeno della diffusione capillare delle armi, cercando di capire, ed andando a chiedere, perché ad esempio la stragrande maggioranza degli abitanti dei quartieri residenziali dei sobborghi cittadini, gente normalissima, piccola e media borghesia, impiegati e casalinghe, di notte dorme con la 44 magnum sotto il cuscino. Non mancano le immagini shock - le registrazioni delle telecamere di sorveglianza dei Columbine durante il massacro o le riprese dell'irruzione nella catena di supermercati nei quali si possono comprare pistole e munizioni per un pugno di dollari - e memorabili interviste, come quella a Marilyn Manson, star dei rock, accusato di incitare gli adolescenti a sparare. O nella sua bella casa di Beverly Hiils al poco tollerante Charlton Heston, accusato di razzismo e di promuovere irresponsabilmente la diffusione delle armi.

 

 

FACCIAMO SENTIRE LE NOSTRE VOCI   di Michael Moore

 

Quando "Bowling a Columbine" è stato proclamato vincitore dell'Oscar come Miglior Documentario per la Academy Awards, il pubblico si è alzato in piedi. E' stato un grande momento, uno di quelli che rimarrà sempre nel mio cuore. Stavano tutti in piedi ed applaudivano un film che racconta come noi Americani siamo un popolo unico quanto a violenza, che utilizziamo la nostra massiccia forza di fuoco per ucciderci l'un l'altro e per scagliarla contro molte nazioni nel mondo. Stavano applaudendo un film che mostra come George W. Bush sfrutti delle paure insensate per spaventare l'opinione pubblica e manipolarla ai suoi scopi. E stavano acclamando un film che sostiene le seguenti affermazioni: la prima guerra del Golfo è stata un tentativo di reintrodurre la dittatura in Kuwait; Saddam Hussein è stato armato dagli Stati Uniti; e che il governo americano è responsabile della morte di mezzo milione di bambini in Iraq attraverso dieci anni di embargo e bombardamenti. Questo era il film che stavano applaudendo, che avevano votato, e ho deciso che avrei dovuto tenere conto di ciò nel mio intervento. E perciò, ho dichiarato quanto segue sul palcoscenico degli Oscar: "Per conto dei nostri produttori Kathleen Glynn e Michael Donovan (canadesi), vorrei ringraziare l'Accademia per questo premio. Ho invitato sul palco i rappresentanti dell'altro documentario in concorso. Sono qui per solidarietà in quanto ci piace la non-fiction. Ci piace perché viviamo in un'epoca di fiction. Viviamo in un'epoca in cui i risultati fasulli di un'elezione ci hanno consegnato un presidente fasullo. Stiamo combattendo una guerra per ragioni fasulle. Che si tratti di tute antichimiche fasulle o di "allarmi arancioni" fasulli, noi siamo contro questa guerra. Si vergogni signor Bush, si vergogni. E, se si trova il Papa e le Dixie Chicks contro di lei, il suo tempo è finito". A metà dei miei commenti, qualcuno del pubblico ha cominciato ad applaudire. Ciò ha immediatamente scosso un gruppo di persone in platea che ha cominciato a disapprovare. Poi coloro che sostenevano i miei commenti hanno cominciato a sovrastare chi disapprovava. Il "Los Angeles Times" ha scritto che il direttore dello spettacolo ha cominciato a gridare all'orchestra "Musica! Musica!", per interrompermi, e così l'orchestra ha diligentemente attaccato un motivo ed il tempo del mio intervento è scaduto. Il giorno dopo -e per due settimane successive- i guru della Destra e i commentatori radiofonici chiedevano la mia testa. E così, tutta questa gente è riuscita a danneggiarmi? Hanno avuto successo nel "ridurre al silenzio" il sottoscritto?"Video e libro volano Bene, andate a dare un'occhiata al mio Oscar "controcorrente". Il giorno dopo aver criticato Bush, e la guerra agli Academy Awards, le prenotazioni di "Bowling a Columbine" nei cinema del Paese sono aumentate del 110%. Il Week-end successivo, i botteghini hanno segnato un incremento nei guadagni del 73%. Si tratta attualmente del film più programmato in America, per 26 settimane di fila ed è ancora in crescita. Il numero di cinema che sta proiettando il film dopo gli Oscar è AUMENTATO, ha migliorato il precedente record di vendite di un documentario di circa il 300%. Il 6 aprile, "Stupid White Men" è balzato al primo posto della classifica del "New York Times" dei libri più venduti. Questo mio libro è alla cinquantesima settimana di presenza in classifica, di cui 8 in prima posizione, e questo rappresenta il suo quarto ritorno in vetta, cosa di fatto mai accaduta prima. Durante la settimana successiva agli Oscar, il mio sito web, stava registrando 10-20 milioni di visite AL GIORNO. La posta ricevuta è stata in massima parte benevola e di sostegno (e le lettere di odio sono state uno spasso!). Nei due giorno successivi agli Oscar, le persone che hanno prenotato la cassetta di "Bowling a Columbine" sul sito di Amazon.com sono state di più di quelle per la cassetta di "Chicago", vincitore del premio come miglior film.

La scorsa settimana, ho ottenuto i fondi per il mio prossimo documentario, e mai è stato offerto uno spazio in televisione per realizzare una versione aggiornata di "TV Nation"/"The Awful Truth". Vi racconto tutto questo perché desidero reagire al messaggio che ci ripetono continuamente, che se cercate una possibilità di esprimere le vostre opinioni politiche, ve ne pentirete. Verrete colpiti in qualche modo, solitamente sul piano economico. Potreste perdere il lavoro e non trovarne un altro. Perderete gli amici, e così via...Il caso Dixie Chicks Pensate alle Dixie Chicks. Sono certo che oramai tutti avrete saputo che, siccome la loro cantante ha dichiarato di vergognarsi del fatto che Bush provenga come lei dallo stato del Texas, le vendite del loro disco sono "precipitate" e le stazioni radio nazionali boicottano la loro musica. La verità è che le loro vendite NON sono calate. Questa settimana, dopo l'attacco da loro subito, il loro album è ancora al primo posto della classifica nazionale delle vendite e, secondo il "EntertainmentWeekly", nelle classifiche della musica pop, durante tutto il trambusto, sono SALITE dalla sesta alla quarta posizione. Sul "New York Times", Frank Rich riferisce di aver cercato di procurarsi un biglietto per QUALSIASI concerto previsto delle Dixie Chicks ma di non esserci riuscito perché sono stati tutti venduti. La canzone "Travelin' Soldier" delle Dixie Chicks è stata la canzone più richiesta su Internet la scorsa settimana. Non hanno risentito assolutamente di nulla, ma questo non è ciò che i media vorrebbero farvi credere.

Perché tutto ciò? Perché attualmente non c'è nulla di più importante che ridurre le voci dei dissidenti -e di coloro che potrebbero avere il coraggio di fare domande- AL SILENZIO. E quale mezzo migliore se non scegliere alcuni famosi artisti e seppellirli sotto un cumulo di bugie in modo che al comune cittadino giunga forte e chiaro un messaggio che gli faccia pensare: "Wow, se possono fare questo alle Dixie Chicks e a Michael Moore, cosa possono fare ad un sempliciotto come me?". In altre parole, chiudete il becco! E ciò, amici miei, è il punto centrale di questo film che mi è appena valso un Oscar, come chi comanda sfrutta la PAURA per manipolare il pubblico e fargli fare ogni cosa che gli viene ordinata.Non lasciatevi intimidire Bene, la buona notizia, se ci possono essere buone notizie in questa settimana, è che non solo né io né altri siamo stati zittiti, ma a noi si sono uniti milioni di Americani che la pensano esattamente come noi. Non lasciatevi intimidire dai falsi patrioti che stabiliscono le tematiche e le condizioni per il dibattito. Non siate frustati dai sondaggi che mostrano il 70% dell'opinione pubblica è favorevole alla guerra. Ricordate che questi Americani intervistati sono gli stessi Americani che hanno visto i propri figli (o quelli del vicino) inviati in Iraq. Sono preoccupati per le truppe, sono costretti a sostenere una guerra che non vogliono, e desiderano anche non vedere i propri amici, parenti e vicini tornare morti in patria. Tutti auspicano che le truppe tornino sane e salve a casa e tutti noi sentiamo il bisogno di fare in modo che le loro famiglie lo sappiano.

Sfortunatamente, Bush e i suoi amici non hanno ancora finito. Questa invasione e questa conquista li incoraggeranno a fare la stessa cosa in altri luoghi. Lo scopo reale di questa guerra era di dire al resto del mondo: "Non toccate il Texas" - Se avete ciò che noi vogliamo, ve lo veniamo a prendere". Questo, per la maggioranza di noi che crede in una America pacifica, non è il momento di rimanere inerti.

Fate sentire le vostre voci. Nonostante ciò che sono riusciti a farle, si tratta ancora della nostra nazione.

 

Trad. di Igor Giussani, da Liberazione 13.4.2003