10 CANOE

(Ten Canoes)

Australia, 2006 – 90’ colore

Regia: Peter Djigirr, Rolf de Heer

Interpreti: Richard Birrinbirrin, Johnny Buniyira, Peter Djigirr, Frances Djulibing, David Gulpilil.

Primno film australiano girato in uno dei dialetti aborigeni, lo Yolngu parlato nell'estremo Nord del continente dalla popolazione di Ramingining, vicino alla palude Arafura (130 000 ettari nella stagione piovosa). La storia ne contiene un'altra, la prima ambientata in un lontano tempo tribale e la seconda in un remoto passato mitico. Parlano di un amore proibito, di stregoneria, di una donna scomparsa che viene data per rapita, di un'uccisione, di un rito di risarcimento, di una danza della morte, di una vendetta finita male. E di cacciatori di uova d'oca. Olandese emigrato bambino in Australia, R. de Heer ha scritto la sceneggiatura “con l'aiuto della popolazione di Ramingining” e ha diretto col canoista P. Djigirr, detto “uomo coccodrillo”, che ha fatto anche da interprete con gli aborigeni dalla zona. A parte la difficoltà di penetrare in una cultura così remota e nella sua drammaturgia narrativa, non sembra che gli autori abbiano saputo trovare un giusto rapporto tra documentario etnografico e racconto mitico. La voce narrante (inglese in origine e doppiata in italiano) rallenta e appesantisce una narrazione di taglio analitico nella sua ingenuità. Coprodotto e distribuito da Fandango (Domenico Procacci).

(Il Morandini, Zanichelli 2007)

 

David Gulpilil è un’icona del cinema australiano. L’attore aborigeno più presente nei film di registi bianchi. Il penultimo (prima dell’atteso The Proposition, scritto da Nick Cave) è stato The Tracker, proprio dell’olandese naturalizzato australiano De Heer; contestabile, ma mai convenzionale. Tralaltro, con lui è nata l’attività produttiva di Fandango agli Antipodi (Bad Boy Bubby, nel ‘93). Il primo è stato il pochissimo visto Walkabout di Nicolas Roeg del ‘71, sul rito di passaggio all’età adulta. Ora David, coautore del progetto con De Heer, passa il testimone al figlio Jamie, anche lui in un ruolo di transizione: quello dell’apprendistato alla caccia, con annessa costruzione di canoe all’uopo, e contemporaneamente di ascoltatore del racconto di una storia del tempo degli Antenati. In gioco, la giustizia della legge tribale, il senso ciclico del tempo, la continguità tra vita e morte, i poteri magici. E una strutturale, impegnativa lentezza, connaturata alle culture orali. Tanta carne al fuoco per un film indefinibile: un documentario “fictionalizzato”, con la voce off sorniona di David, sottotitoli a tradurre la lingua Ganalbingu, girato nella Terra di Arnhem, patria di Gulpilil, con la gente di Ramingining, coautrice dello script a partire da una fotografia degli anni ‘30 dell’antropologo Donald Thompson.

(Raffaella Giancristofaro, “Film Tv”)

 

Rolf de Heer, come fosse il Lévi-Strauss del cinema, narra la fiaba antropologica delle popolazioni tribali a nord dell' Australia, palude d' Arafura, ricca di zanzare. Per dare una lezione sull' oggi, rivive dal passato la storia dell' amore proibito, dello stregone, della donna scomparsa e ritrovata, di un'uccisione feroce e casuale e di una peggior vendetta. Animistico eppur carente di anima, molto noiosamente interessante, il film manca delle facoltà evocative del Tempo e si limita alle curiosità un po' folk: 10 canoe, 150 lance e 3 mogli i primi numeri in bilancio, ma il talento di De Heer ha un' altra follia.

(Maurizio Porro, “Il Corriere della Sera”, 2 giugno 2006)