24 MARZO 1896

BRUCIA LA FRAZIONE DI FREGONA

A CANALE D’AGORDO

(L’Amico del Popolo, 16.03.1996 n.11)

 

Forse solo qualche vecchio muro del luogo conserva ancora le ferite di quel terribile rogo che nella notte tra il 24 e 25 marzo di cento anni fa distrusse Fregona, frazione di Canale d'Agordo (che all'epoca aveva ancora il nome di Forno di Canale), situato in un' insellatura del Col di Frena a 1.268 metri di altitudine.

"A ricordo di persona,nessun incendio raggiunse mai proporzioni spaventose come in codesto misero paese (...)".

Questo il commento di Giovanni De Biasio, autore dell'articolo di cronaca de L'Alpigiano, gazzetta della provincia di Belluno.

La sua osservazione era eccessiva ma di certo rivelava la gravità dell'accaduto. Del resto questi avvenimenti erano frequenti all'epoca basta menzionare gli incendi scoppiati a Celàt di Vallada nel 1891, a Pié Falcade nel 1893, a Caprile nel settembre 1895 e a Molìn di Falcade nel 1898 per citarne solo alcuni verificatisi nell'ultimo decennio del secolo scorso nell'Agordino.

La causa del disastro di Fregona fu accidentale e dovuta probabilmente ad un braciere lasciato incustodito da una donna che - come era consuetudine del tempo - aveva da poco terminato di fare il bucato detto anche in dialetto "lesìva" (consisteva nel far bollire dell'acqua con la cenere per poi filtrarla e versarla sopra la biancheria da lavare).

Così De Biasio continuava la descrizione del rogo:

"Le colonne di fuoco s'innalzavano ad altezze vertiginose agitate da impetuosi colpi di vento (...), grossi tizzoni venivano lanciati dalla furia dell'elemento sugli abitati,moltiplicando così l'incendio, da ridurre il paese in poco più di due ore una vasta fornace ardente (...). I poveri abitanti ebbero appena il tempo di scender in strada con pochi indumenti per assistere all'invasione dell'elemento distruttore".

Le strutture lignee delle abitazioni e dei "tabià" (fienili), insieme alla mancanza delle attuali attrezzature indispensabili per spegnere le fiamme, contribuirono ad alimentare il fuoco che devastò cinquanta fabbricati lasciando senza tetto quarantaquattro famiglie, delle quali solo dodici avevano sottoscritto una polizza di assicurazione sull'incendio.

I danni ammontarono a circa duecentomila lire dell’epoca, senza contare la morte di due persone: una madre quarantenne e suo figlio.

La donna pur essendosi messa in salvo, era rientrata nella propria casa per soccorrere il ragazzo tredicenne rimasto prigioniero delle fiamme, ma entrambi rimasero vittime del rogo.

Il getto di acqua della fontana, che serviva per i bisogni del villaggio, fu insufficiente a spegnere il fuoco.

La situazione fu aggravata anche dal fatto che a Fregona erano rimasti solo gli anziani, le donne e i ragazzi poiché la maggior parte degli uomini erano partiti per i lavori stagionali all'estero e trovandosi in pochi fu più difficile arginare le fiamme.

Ciò nonostante nella sciagura non mancò l'intervento di molti volontari e abitanti dei villaggi e dei paesi vicini di Caviòla, Fedèr, Carfon, Vallada e Forno che si prodigarono "in una gara di solidarietà" ad attenuare i danni provocati dal fuoco e ad ospitare le circa trecento persone rimaste senza casa.

Come era avvenuto pochi mesi prima per il grave incendio di Caprile, nella valle del Cordevole, furono aperte sottoscrizioni per raccogliere fondi destinati alla popolazione danneggiata dall'incendio di Fregona.

Il 21 agosto 1944 nuove fiamme si sarebbero levate da Fregona e da altri villaggi della Valle del Biois.

Luisa Manfroi