FENOMENI CALAMITOSI IN VALLE DEL BIOIS

(Tratto dalla pubblicazione PIANEZA, adunanza C.A.I. sezione agordina, 1998)

 

La valle del Biois come ogni altra vallata ha una propria storia da raccontare.

Una storia fatta di persone, di episodi ma anche di calamità che si sono succedute nel tempo e che nel corso dei secoli hanno inciso e modificato la morfologia del territorio mettendo a dura prova anche la pazienza degli abitanti spesso vittime degli eventi.

I dissesti verificatisi in epoca remota sono suffragati solo da ricerche e perizie geologiche condotte in loco.

Quelli avvenuti negli ultimi secoli sono invece sopravvissuti solo nella memoria di qualcuno che li ha riportati in documenti, fonti scritte che possono essere considerate di buon grado preziose testimonianze del passato.

Tali sono gli atti conservati negli archivi dei comuni e delle parrocchie come pure i giornali ed i bollettini parrocchiali autentiche fonti storiche.

I n questo itinerario attraverso gli eventi calamitosi della valle del Biois non può mancare un riferimento al lavoro di Maria Del Din Dall'Armi che nella pubblicazione Dissesti idrogeologici ed eventi calamitosi nell'Agordino dal 1000 al 1966 (Circolo Culturale Agordino - Istituto Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali, Belluno 1986), ha individuato una lunga serie di fenomeni avvenuti in zona.

Alluvioni, frane e valanghe, eventi che vengono appunto indicati con il termine di calamità, si sono succeduti con una certa frequenza in Agordino ma hanno assunto rilevanza storica solo quelli di una certa portata che hanno causato gravi danni e talvolta vittime.

In valle del Biois le prime testimonianze risalgono addirittura al XI° secolo.

Il parroco don Francesco De Col, nel bollettino parrocchiale di Canale d'Agordo, riporta una cronaca dettagliata della frana del torrente Gavón che il 7 dicembre 1011 scese a valle ostruendo il corso del Biois.

Una frana memorabile che si abbatté con violenza tanto da dare origine ad una leggenda tuttora viva in valle del Biois, la leggenda I carbonai di bosch brusà.

Chi sale da Sappade verso la cascata delle Barezze, talvolta sosta a dissetarsi alla fontana di Meneghina - si legge - pochi sanno tuttavia che anticamente in quel luogo sorgeva un ampio forno le cui rovine erano ancora visibili agli inizi del secolo. Si trattava del rustico riparo dei carbonai di Bosch brusà.

Secondo il racconto popolare i carbonai sarebbero stati avvertiti del pericolo imminente rappresentato dalla caduta della frana riuscendo a salvarsi miracolosamente.

Attraversato tutto il piano dei Lach, appena sotto la ripida salita che porta al pianoro sovrastante, i carbonai si accorsero che il sentiero non esisteva più.

Fra il Sas de la Palazza e Col Bechèr, sotto il passo di Forca Rossa, le belle guglie delle Marmarole erano scomparse.

Strati enormi di gesso ed arenarie argillose si erano sfracellati nell'abisso, lasciando una pietraia brulla rigata di ruscelli e cascate. Dappertutto voragini, canaloni scoscesi, anfratti paurosi avevano trasformato il ridente paesaggio in uno scenario di desolazione e di morte.

Fin qui la leggenda.

Si sa per certo comunque che il Gavón sarebbe scorso senza un letto fisso fino al Seicento quando il torrente ritornò a scorrere nell'alveo originario.

Qualche chilometro più a valle, alla destra idrografica del Biois, nella stretta degli Arconi, in Comune di Cencenighe, si ha notizia di una frana che verso la metà del Trecento avrebbe travolto e ucciso un sacerdote e altre due persone che transitavano lungo la vecchia mulattiera della valle del Biois.

In memoria dell'accaduto venne eretta la Triól de la crós, capitello addossato ad un masso da sempre oggetto di devozione popolare.

L'episodio è avvalorato dalla presenza di una pergamena conservata nella canonica di Cencenighe che porta come data 1° novembre 1361.

Qualche secolo più tardi la valle del Biois fu interessata da una forte alluvione ricordata in modo dettagliato nelle cronache dell'epoca.

Il 1748 passò alla storia come un anno caratterizzato da alluvioni disastrose per l'intero Agordino.

A rendere ancora più pesanti i danni contribuì anche l'assenza di efficaci opere di arginatura che avrebbero forse impedito il verificarsi di danni così pesanti di quelli che invece si registrarono.

A Cencenighe la furia delle acque distrusse il ponte del Ghirlo, gli stabilimenti di colatura del ferro di Veronetta, parte del vecchio cimitero mettendo in pericolo pure la chiesa se un tronco non avesse deviato il corso del torrente.

A Canale d'Agordo si contarono danni altrettanto pesanti: la rovina delle miniere e dei forni di Garés.

Drammatica fu anche la distruzione dell'abitato di Forno riportata in una testimonianza di don Filippo Carli pubblicata nel bollettino parrocchiale di Canale d'Agordo.

Forno, paese dell'industria e dell'agiatezza, la villa dei famosi gentiluomini, adesso più non esiste, né altro or rimane tra le rovine sue che il loco solo da poter dir: qui fue.

L'autore continua il racconto con dovizia di particolari. La sera del 18 agosto il cielo si oscurò verso Garés; le nubi trasportate dal vento cominciarono a scaricare tanta pioggia da sembrare un vero diluvio.

Una notte d'inferno: le acque ingrossarono all'improvviso ed in modo straordinario, il torrente Liera scorreva minacciosamente fuori dal suo letto portando rovine lungo la valle.

Nelle case di Pittigogno e di Forno la gente stava in trepidazione. Verso le ore 11, gli abitanti di Forno non sentono più il rumore delle acque.

Colle lanterne in mano scandagliano il canale e lo trovano quasi asciutto. Che cosa era successo? Una grande frana era caduta poco oltre le case di Sommavilla, una ingente quantità di legname tagliato ostruiva il corso della Liera.

Una buona parte degli abitanti di Forno, presaga d'un dissesto, fuggì all'aperto, altri invece non fecero a tempo o non previdero il pericolo.

Dopo quasi due ore, la barriera che si era formata lungo il corso del torrente si ruppe e lasciò passare improvvisamente le acque le quali invasero Forno, la villa industriosa e ricca.

Al mattino la pioggia era quasi cessata, ma si vedevano dappertutto rovine e desolazione.

Neppure una casa intatta. Il disastro fu poi completato da altre alluvioni avvenute a breve distanza di tempo. In paese si registrarono pure delle vittime.

Ben cinque, i resti di una delle quali vennero ritrovati nel novembre 1928 tra gli strati di melma che il Liera aveva riportato alla luce.

Nel secolo scorso una non meno pesante alluvione si verificò in vallata mettendo in ginocchio buona parte dei Comuni agordini.

Nel settembre 1882 piogge torrenziali caddero copiosamente.

A Cencenighe il Biois causò l'ulteriore distruzione di Veronetta ma anche gli altri Comuni furono stretti nella morsa delle acque e messi in pericolo dalla caduta di frane. In settembre - riporta Il Celentone del 1934 - il Da Pos (indicando un abitante di Carfón) aveva appena finito di far fieno che cominciarono le piogge copiose. Queste continuano sempre più forti: ingrossarono i torrenti e comincia la piena.

A Falcade l'acqua si stendeva fino alle case portando via tutta la campagna. Il Tegosa minacciava Caviola, il Liera minacciava Villa e Tancón.

La gente lavora giorno e notte a far ripari.

Anche da Carfón si accorreva ad aiutare.

L'acqua portava con sé larici ed abeti. Le arche di difesa del Biois ruppero ed un grande fienile crollò e scomparve.

Prati e campi sparivano, la corrente li portava lontano.

Crollò il ponte costruito tre anni prima, di pietra ad una sola arcata.

Sulla testata del ponte, dalla parte del paese, c'era il fienile dei Dartora. Alcuni uomini tagliarono al principio del bosco di Cavalèra alcune piante che furono calate al posto del ponte legandole le une alle altre.

La sera la pioggia ricominciò a cadere e le acque aumentarono paurosamente. A Carfón si udiva il loro muggito. L'acqua zampillava dappertutto: zampillavano fontane che nessuno si ricordava d'avere visto.

La cronaca si arricchisce quindi di nuovi particolari: Numerose le bòe: Vallada era presa tra quella di Toffòl e quella di Piàz.

L'alba non vide che rovine: ponti rotti, asportati pezzi di strada e dappertutto lo spettacolo della desolazione.

Le acque del torrente Pianezza portarono a valle una ingente quantità di materiale che ricoprì con uno spesso strato le sponde e la campagna adiacente. Il capitello di Piaz, recentemente restaurato, porta ancora i segni della bòa del secolo scorso.

La base della piccola costruzione si trova infatti ben al di sotto del livello del terreno circostante costituito da depositi di melma e detriti.

Non meno insidiose furono le brentàne che si susseguirono nell'autunno 1885.

Il torrente Biois che corre rapido a destra del paese - si legge in una delibera comunale di Cencenighe - straripava furiosamente abbattendo vari caseggiati e si gettava nella campagna distruggendo a destra fertili appezzamenti, lasciando in sua vece monti di ghiaia.

Due anni più tardi a Valt, in Comune di Falcade lungo la Roa del cavàl scese una frana che investì alcuni edifici del villaggio lasciando fortunatamente incolume la popolazione. La stessa zona fu interessata da un successivo smottamento nel 1927.

Qualche anno dopo, nel marzo 1892, la strada della valle del Biois rimase interrotta per alcuni giorni dalla caduta di una valanga che si abbatté in località Crepa Granda, ad un centinaio di metri a monte della vecchia galleria delle Anime.

Immensa sciagura nella valle del Biois - otto vittime delle valanghe! Così titolava a grande lettere una corrispondenza di un giornale bellunese datato 16-17 marzo 1892.

Si trattò veramente di una sciagura quella che si verificò nel primo pomeriggio del 14 marzo di quell'anno, una sciagura che portò alla morte di otto viandanti.

Nell'esposizione dettagliata del corrispondente la zona veniva descritta come una località estremamente pericolosa a valicarsi sia a destra che a sinistra in tempi atmosferici anormali.

Il tempo al momento della caduta della valanga non era ottimale se si considera che, come riportava il giornale, da due giorni nevicava in modo insistente.

La tragedia fu perciò effetto di un concatenarsi di cause prima delle quali le avverse condizioni atmosferiche che portarono alla caduta di abbondanti quantità di neve scirocca.

Giunti con qualche difficoltà e dopo avere superato mucchi di neve che rasentava loro le spalle, nella stretta gola degli Arconi, sulla svolta della strada furono sorpresi dalla valanga che li investiva e travolgeva tutti nell'abisso del torrente.

L'episodio non avrebbe avuto testimoni se non fossero sopravvissuti Giuseppe Santomaso (negoziante di Forno di Canale) e Antonio Nardi (villico di Celat), ultimi della comitiva.

Tra le vittime anche il postino di Falcade, allora chiamato con il termine di procaccia, Francesco Zandò al quale la moglie volle dedicare poco tempo dopo una targa a ricordo tuttora visibile lungo il tratto della SS 346 dismessa.

Anche se non può essere ritenuto propriamente una "calamità naturale" per le cause che lo originarono, l'incendio di Fregona, scoppiato nella notte tra il 24 e 25 marzo 1896 ebbe conseguenze davvero gravi.

A ricordo di persona nessun incendio raggiunse mai proporzioni spaventose come in codesto misero paese.

Questo il commento riportato sulle pagine di un giornale provinciale.

Un'osservazione che pare eccessiva ma di certo rivelava la gravità dell'accaduto.

Gli incendi erano alquanto frequenti all'epoca, basta ricordare quelli scoppiati a Celàt di Vallada nel 1891, a Pié Falcade nel 1893, a Molìn di Falcade nel 1898 per citarne solo alcuni.

Si suppose che le fiamme si fossero propagate da un braciere lasciato incustodito.

Le colonne di fuoco s'innalzavano ad altezze vertiginose agitate da impetuosi colpi di vento, (...) grossi tizzoni venivano lanciati dalla furia dell'elemento sugli abitati, moltiplicando così l'incendio, da ridurre il paese in poco più di due ore ad una vasta fornace ardente. Il fuoco causò la morte di due persone e rase al suolo una cinquantina di edifici lasciando senza tetto più di quaranta famiglie.

Per qualche decennio, fortunatamente, non si ha notizia di fenomeni calamitosi rilevanti.

Le cronache ricordano il ciclone fortissimo che nella notte tra il 24 e 25 aprile 1926 abbatté numerose piante specialmente nella valle di Garés e a Falcade.

Danni alquanto gravi si registrarono ancora tra il 13 e 22 maggio dello stesso anno a causa delle forti piogge torrenziali che determinarono smottamenti nella zona delle Casate con la conseguente chiusura al transito della strada della valle del Biois.

Anche l'anno seguente, nel luglio 1927 si ha notizia di una violenta tromba d'aria nel territorio comunale di Vallada. Fenomeno che causò la caduta di parecchie piante e il crollo di alcuni fienili mettendo in serio pericolo l'abitato di Piàz.

Una frana di grandi dimensioni si staccò invece dal monte delle Anime la mattina del 23 maggio 1940, in quella che venne definita una bella giornata di sole.

Ecco come un bollettino parrocchiale della Valle del Biois dava notizia dell'accaduto:

Dalla cima più alta del Monte delle Anime, distante cinquecento metri dal villaggio di Cencenighe, sul versante del Celentone verso il Biois, il dì di Corpus Domini alle ore 9 e mezza antipomeridiane, si staccò un ammasso enorme di roccia e precipitò nella valle sottostante arrestando le acque del Biois e seppellendo la strada di enormi sassi.

Si calcola un quantitativo di materiale che va dai dieci ai quattordicimila metri cubi (in una perizia geologica il volume del materiale crollato è stato invece calcolato intorno ai venti - trentamila metri cubi).

Il fatto destò molta impressione.

Fu un accorrere continuo, per più giorni, di gente che si portava in sopralluogo a contemplare quella spaventosa rovina.

Ogni mezzo di trasporto venne interrotto.

I Pompieri di Forno di Canale, con prontezza e sacrificio ben noti, si portarono in quel luogo a preparare un passaggio provvisorio, sul versante opposto al franamento. Il transito è tuttora pericoloso, per il continuo franare di nuovo materiale, e lo sarà sempre finché non si costruirà una galleria.

Fortunatamente non si furono vittime anche se la tragedia fu quasi sfiorata.

Da pochi minuti, lungo la carreggiabile sottostante, erano infatti transitati alcuni pastori con il loro gregge di pecore diretti in valle del Biois.

La viabilità rimase interrotta per alcuni giorni finché non si provvide alla realizzazione di una strada provvisoria lungo la sponda destra del torrente.

Una frana di dimensioni minori si staccò dalle Cime d'Auta nel 1945 mentre nel 1965 a Canale d'Agordo e specialmente in valle di Garés si registrò un violento nubifragio.

Negli ultimi decenni nulla fu comunque paragonabile alla portata della forte alluvione del novembre 1966.

Un fenomeno che molti hanno ancora impresso nella loro memoria per la gravità e per i danni che conseguirono tali da mettere in ginocchio buona parte dei Comuni agordini e non solo.

Su questo dissesto l'attenzione si è soffermata in parecchie occasioni ed in modo approfondito.

In valle del Biois basterà ricordare i ben noti danni provocati dall'esondazione dei torrenti, da varie frane e smottamenti.

Oltre ai danni materiali non si possono dimenticare gli undici morti di Somór, i due di Vallada, padre e figlia travolti dalla piena del torrente Pianezza.

Questo excursus storico non poteva che concludersi con una sommaria esposizione dei dissesti verificatisi negli ultimi anni soffermandosi in particolare su quelli avvenuti nel Comune di Vallada.

Si ricorda il cosiddetto fenomeno carsico nella zona la Costa ad Andrìch, fenomeno caratterizzato da infiltrazioni di acqua nel terreno con conseguente formazione di depressioni, sprofondamento del suolo e rovina degli edifici.

Uno degli eventi più recenti è di dieci anni fa quando, il 12 luglio 1988, dall'alto bacino della Val de le Ròe, in seguito a piogge torrenziali e ad una tromba d'aria, è scesa a valle una massa fangosa di notevoli dimensioni che, sconvolgendo gli alvei dei torrenti ha letteralmente invaso la piazzetta di Toffol avvicinandosi pericolosamente alle abitazioni di Sachét.

Negli ultimi cinquanta anni, stando ai dati, sono stati circa sette gli smottamenti verificatisi in questa area della valle del Biois.

Ultimo in ordine di tempo quello del luglio 1994 quando le forti piogge di quei giorni e dell'autunno precedente (2- 3 ottobre 1993 in particolare), hanno rimesso in moto la massa franosa. Una nuova emergenza frana in provincia.

Stavolta tocca all'Agordino, e interessa la frazione di Toffol di Vallada sovrastata da una frana di 150 mila metri cubi di sassi e detriti.

Tra il 5 e l'11 giugno scorso, sotto la spinta di violenti temporali, a quota 1.700 metri sulla montagna Cima di Pezza, si è staccata una massa di detriti che si è abbassata di circa quindici metri.

Già da due giorni è comunque scattato un piano d'emergenza e di protezione civile che prevede l'evacuazione temporanea di alcune abitazioni vicine al greto del torrente, le quali potrebbero essere interessate direttamente da una eventuale improvvisa colata di terra.

Nonostante i temuti pericoli fortunatamente il peggio non si è verificato.

E' risaputo che ogni ambiente, sia esso montano o di pianura, nasconde i suoi rischi.

Vivere in montagna significa appunto anche essere consapevoli degli eventuali rischi che la Natura può riservare.

Può apparire retorico ma è evidente che in ogni circostanza, con umiltà e discrezione, la popolazione di questa valle non si è scoraggiata ma si è "rimboccata le maniche" affrontando gli eventi con dignità.

Proprio in questo, forse, risiede forse l'autentica forza del "montanaro".

Luisa Manfroi