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La versatilità artistica di Roberto Herlitzka la si ravvisa nei suoi trascorsi professionali e nella sua eclettica valentìa di attore.
Torinese di nascita, diplomato alla Accademia d’arte drammatica, si è formato artisticamente alla scuola di Orazio Costa.
Il teatro è stato il suo primo amore, dagli anni ‘60 ad oggi, e ha lavorato con Luca Ronconi, Gabriele Lavia, Mario Missiroli, Luigi Squarzina, Peter Stein. Numerose le partecipazioni e i ruoli cinematografici, ne La villeggiatura di Marco Leto, in Pasqualino Settebellezze, Storia d’amore e d’anarchia e Notte d’estate con profilo greco di Lina Wertmueller , Gli occhiali d’oro di Giuliano Montaldo, In nome del popolo sovrano di Luigi Magni, Il sogno della farfalla di Marco Bellocchio.
In televisione è stato tra gli interpreti de La Piovra 7 di Luigi Perelli, Avvocati di Giorgio Ferrara, Una sola debole voce di Alberto Sironi.
Grande prova d’attore, importanti riscontri di critica e pubblico, per L’ultima lezione, diretto dal regista Fabio Rosi, lungometraggio premiato con il Globo d’Oro 2001 per la miglior opera prima.
Nel film di Fabio Rosi, Roberto Herlitzka incarnava il ruolo di Federico Caffè, professore di economia politica all’Università di Roma, uno degli economisti più illustri e una delle figure cruciali della storia recente d’Italia, misteriosamente scomparso il 14 aprile 1987.
Targa speciale della giuria del Globo d’oro 2001, Sacher d’Oro 2001 quale miglior attore protagonista per L’ultima lezione di Fabio Rosi.
Una collaborazione nata sotto una buona stella?
Direi proprio di sì, considerati i risultati, auspicati e ottenuti, di apprezzamento considerevole.
Pur non essendo stato, naturalmente, un film commerciale, e non usufruendo di una distribuzione su territorio nazionale, il film ha ricevuto critiche molto positive e ampi consensi anche da parte del pubblico.
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L’aspetto della personalità più distintivo e le qualità che più l’hanno colpita della figura di Federico Caffè, da lei interpretato ne L’ultima lezione?
Di Caffè sapevo ben poco, ero invece a conoscenza della vicenda che l’aveva coinvolto.
Ho letto il libro L’ultima lezione di Ermanno Rea, tra l’altro è scritto molto bene, mi è piaciuto molto, in cui viene delineata con dovizia di particolari la figura di Caffè.
Emerge, prorompente, la personalità di un uomo speciale per la sua carica umana e la sua intelligenza.
Il regista, Fabio Rosi, mi ha fatto visionare diversi spezzoni di trasmissioni televisive e ascoltare alcune interviste radiofoniche, da cui si evince in maniera palese che Caffè possedeva fascino e carisma non comuni.
I suoi ex allievi, alcuni dei quali sono adesso docenti come Mario Tiberi, lo ricordano tuttora con trasporto e profondo affetto.
Moltissime sono state le scene girate nel suo studio e anche all’università, all’epoca dei fatti frequentatissima dai suoi studenti che l’hanno stimato e amato, non solo come professore, ma anche come persona”.
Attualmente è impegnato sul set del film di Marco Bellocchio, in cui interpreta lo statista democristiano Aldo Moro. Un altro personaggio di grande levatura. Un suo commento riguardo questo nuovo ruolo e riguardo l’uomo Moro”?
Il titolo provvisorio del film è Buongiorno notte, lo stesso della sceneggiatura di un film, che si sarebbe dovuto girare, e che fu ritrovata nell’auto di Moro quando fu rapito.
Federico Caffè e Aldo Moro hanno in comune la tragica sparizione, misteriosa nel caso dell’economista e docente alla Sapienza di Roma, tragica per Moro, sul quale ci siamo documentati tramite le interviste fatte ai brigatisti, il memoriale, le sue lettere dal carcere.
Destino terribile quello di un uomo che viene privato della libertà personale e costretto a una dura, lunga, prigionia. Ho immaginato come dovesse essere tremendo sopportare una condizione del genere avendo la consapevolezza di una fine tragica, e nutrire quindi ben poche e vane speranze. Ciò che mi ha commosso profondamente è l’appello accorato di Moro agli esponenti del suo partito, affinché accettassero le condizioni dettate dalle B.R. Aldo Moro voleva salvarsi la vita più per la sua famiglia che per se stesso. Dover lasciare un nipotino di due anni, che era la luce dei suoi occhi, è stato il dolore più grande. Dalle lettere si comprende che aveva conservato un’assoluta lucidità, non aveva mai perso la sua abilità di statista, le lettere erano politicamente solide ed incisive.
Il film nasce da una sceneggiatura di Bellocchio, non vuole essere un film di cronaca, quanto piuttosto una riflessione sugli uomini.
Del cast fanno parte attori molto bravi, tra cui spiccano Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Piergiorgio Bellocchio, figlio di Marco, il regista. Loro tre interpretano i tre brigatisti. Il film è anche un ritratto delle loro personalità, una pellicola che scava nei sentimenti, nelle atmosfere. Fortunatamente il film di Bellocchio, artista puro che si nutre di ispirazioni, non si può etichettare.
La sua formazione artistica si è compiuta alla scuola di Orazio Costa, poi è stato diretto dai maggiori registi teatrali e in testi classici e contemporanei. L’autore e l’opera teatrale che predilige in assoluto?
Presto detto: l’Amleto di William Shakespeare.
Nella fattispecie, nella versione attuale che sto portando in giro in tournée da quasi un lustro. E’ un lavoro prodotto dal Teatro Segreto di Ruggero Capuccio. Si tratta di un monologo, in cui io dico tutte le battute del protagonista e pochissime degli altri personaggi. Il regista, Walter Pagliaro, uno dei primi a cui ho fatto vedere questa produzione teatrale, è rimasto entusiasta, e lo stesso si può dire del pubblico, considerati gli ampi consensi che puntualmente ricevo. L’Amleto è l’opera più intensa e straordinaria che sia mai stata scritta. Gli autori che prediligo sono Shakespeare, Moliere, Goldoni, Cechov, Thomas Bernard, apprezzo molto anche il teatro classico greco. Amo molto, da attore e come lettore, Brecht.
Attore teatrale, cinematografico e televisivo. Il filosofo viennese Karl Popper, un decennio fa scrisse il saggio Una patente per fare tv un’accurata analisi e critica di quello che risulta essere tra i mass media più fruiti. Roberto Herlitzka la televisione preferisce farla o guardarla? E quale genere di programmi sceglie?
Guardo di rado la televisione, sicuramente preferisco farla. Partecipare a uno sceneggiato è come fare un film, però in meno tempo e, in alcuni casi, peggio. Personalmente mi interessa soltanto l’ informazione, i telegiornali. Ritengo, inoltre, che la televisione vera sia quella che fa vedere lo sport, tutto il resto è un’alternativa, spesso di infimo livello, al teatro e al cinema. C’è troppa trash tv. Ciò che invece mi piace fare è guardare i film che mia moglie registra, gradisco molto quelli di Hitchcock e di Lubitsch, la Formula Uno, oppure le partite di calcio della Nazionale o, quando gareggiava Tomba, lo sci. Dello sport mi hanno sempre colpito le figure carismatiche, i miti, come Cassius Clay o Maradona. Due grandi, per la capacità di gioco, il talento, per saper rendere spettacolare lo sport: quando lo sport è fatto da virtuosi che sanno anche divertire è il massimo.
"Faber est suae quisque fortunae" (ciascuno è artefice del proprio destino), affermava Claudio Appio Cieco. Lei condivide questa massima o è fatalista”?
Anche condividerla mi pare che sia un fatalismo.
Quando dico artefice dico causa, è una massima che a mio avviso non promuove quelli che vincono a dispetto di chi perde. Ma non sono fatalista, non accetto che le cose vadano come devono andare soprattutto se dipendono da me.
L’ultima domanda, che poniamo a tutti i nostri intervistati: conosce i quartieri dell’Axa e di Casalpalocco?
Purtroppo no, però mi farebbe piacere poterli conoscere in futuro!
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