Le interviste di Zeus
n° 71 - Febbraio 2003


Moni Ovadia

di Patrizia Di Franco

"Non conta l'esperienza per un artista, conta l'esperienza interiore".
L'affermazione di Cesare Pavese è un résumé della vita e della personalità di Moni Ovadia, artista di fama internazionale, nato in Bulgaria, da una famiglia ebraica.
I suoi esordi sono legati ad esperienze musicali, in qualità di artefice e direttore del gruppo Folk Internazionale, nel 1972.
Esplora i meandri del teatro e ne calca le scene da quattro lustri, fonda la Theater Orchestra nel 1990 e s'impone all'attenzione del grande pubblico con il celeberrimo "Oylem Goylem", creazione di teatro musicale in forma di cabaret, riscuotendo enormi consensi anche dalla critica a livello internazionale. Nomade errante, teatrante sperimentale, studioso della cultura yiddish, uomo impegnato nel sociale e nelle campagne civili e di solidarietà.
"Una società che pretende di assicurare agli uomini la libertà, deve cominciare col garantire loro l'esistenza" (Léon Blum). Un suo commento sui diritti negati e sui conflitti bellici?

"Condivido totalmente la massima di Blum. Personalmente condanno tutti i conflitti bellici.
Ogni tipo di guerra è un atto esecrabile, ancor più quando non è finalizzata alla difesa.
È proprio vero che la guerra è "un delirio mentale". Sono un pacifista, radicalmente contrario alle guerre soprattutto quelle "preventive e preventivate" come quella voluta da Bush.
Quella che si autodefinisce la più grande democrazia al mondo, decide per noi tutti, impietosamente, irragionevolmente.
La democrazia senza la giustizia sociale è monca, non è reale.
La guerra come strumento dei potenti: la prima guerra mondiale è stata una guerra di autocrati, la seconda è stata la vergogna e il flagello del Novecento, quella di Bush è la guerra del petrolio.
Brecht diceva che libertà è non aver fame, non aver freddo, non aver paura.
Vogliono farci credere che i conflitti bellici hanno una loro ragion d'essere, questa non è una guerra umanitaria e a tale proposito, la condanno, e, parafrasando il grande Totò, posso dire: "Me ne scompiscio".

"Tempi moderni" di Chaplin è profetico e stigmatizza i mali del mondo. Lei auspica in definitiva"Liberté, égalité, fraternité. È un desiderio utopistico di un idealista o un progetto di vita?"
"La pace richiede la pari dignità di tutti. Ognuno deve fare la propria parte. Io non credo all'impossibilità di fare qualcosa.
Il più grande errore della sinistra è stato quello di credere presuntuosamente di poter cambiare tutto e in uno schioccar di dita.
Invece occorre lavorare, costruire, saper aspettare, bisogna saper gestire i tempi e porsi di continuo davanti alle sfide, ai cambiamenti.
Si deve uscire dalla logica di voler risolvere taumaturgicamente i problemi dell'umanità, ciascuno di noi deve darsi da fare senza delegare agli altri.
Anche la sinistra deve fare la sua parte, è ancora troppo ideologica, è lontana dagli uomini, è critica, pontifica, ma non muove un dito in concreto e lo dico da uomo di sinistra.
Bisogna poi difendere la centralità dell'essere umano che qualcuno vorrebbe predeterminare.
Noi siamo chiamati a far fronte alle sfide e la più grande di tutte è essere se stessi".

"Consuma, produci e, quando non sei più utile, tira le cuoia", lei ha affermato con amarezza. C'è consumismo e utilitarismo anche nei sentimenti, nei rapporti interpersonali.
Tutto ciò la rattrista e la fa arrabbiare o la sprona a cercare il meglio nella vita e nelle persone?"

"Mi sprona. Sono un reattivo, un combattivo. Mi arrabbio anche, m'infervoro, ma poi mi passa quasi subito.
Farò la mia parte fino in fondo, mi batterò per tutte le cause giuste in cui credo, sono con Emergency, sono con la parte attiva, intelligente e pacifista dei no global.
Sono contro Sharon, contro Bush ma sono anche contro quel tagliagole di Saddam Hussein.
Sono per la pace, la libertà, la fratellanza, la solidarietà".

"Il nazionalismo è la negazione stessa del concetto di umanità", lei ha detto. L'uomo è quindi apolide o cosmopolita a suo avviso?"
"Ugo da S. Vittore, nel 1200, disse: "Un uomo che trova dolce la propria patria è solo un tenero dilettante. È perfetto quando si sente straniero".
Un uomo deve essere straniero e al contempo sentirsi come a casa propria ovunque".

"Lei ha inciso e suona musica folk, balcanica, di matrice Yiddish. Che genere di musica ama ascoltare?"
"Sono figlio della musica etnica, la musica che viene dal "basso". Intendo il canto come un ponte tra l'uomo e Dio, tra me e gli altri. La musica è aggregazione, è amore".

"Passione per la scrittura: "L'ebreo che ride" è una delle sue pubblicazioni di successo. Quali sono i suoi autori preferiti?"
"Kafka ha avuto un'enorme influenza, ho fatto anche uno spettacolo, "Il caso Kafka",nel 1997. Adoro Shakespeare, Dante, Joyce, Musil, Dostoevskij. Mi piace molto Magris per la sua grandezza umana, la sua pietas per la fragilità umana".

"Dio è l'unico essere che, per regnare, non ha nemmeno bisogno di esistere" affermò Baudelaire; "La religione è l'oppio dei popoli" sosteneva Marx; "Dio è il dolore che nasce dalla paura della morte" scrisse Dostoevskij.
E l'opinione di Moni Ovadia?"

"Il Dio assente innesca il processo di individuazione dell'uomo.
Il Dio di Abramo è una voce che va benissimo anche per gli atei. Dio è un compagno, assente, di strada.
Non mi interessa speculare sull'esistenza di Dio, che Dio esista o meno è irrilevante. Quando si realizzeranno la fraternità, l'uguaglianza, l'unione tra gli uomini, lì ci sarà la presenza di Dio e la prova della sua esistenza.
Il comandamento più importante per noi è e deve essere "Ama il tuo prossimo come te stesso".

"Musicista, cantante, attore, regista, scrittore, di certo un artista eclettico.
E come uomo? Un clown poetico, un genio e sregolatezza, o un eterno Peter Pan?"

"Io ho desiderato, e vorrei, costruire un teatro etico e anarchico. Ambisco all'umanità come confederazione anarchica di liberi pensatori.
Non mi sento un genio, piuttosto un clown, questo sì, e un artigiano certosino, curioso, appassionato.
I miei maestri sono stati Charlie Chaplin, sono nato lo stesso giorno e lo stesso mese, il 16 aprile, in cui è nato questo genio inimitabile a cui mi ispiro, e Tadeusz Kantor".

"Fiddler on the roof" (il violinista sul tetto), tratto da una delle storie di Solomon J. Rabinowitz, scrittore ucraìno di origine ebraica, è uno dei capolavori del teatro musicale di Broadway.
Cosa l'ha colpita di questo lavoro e in cosa si differenzia dall'adattamento americano di Joseph Stein"?

"È uno spettacolo di matrice europea e molto moderno. Abbiamo tolto tutta la retorica e il melenso dell'adattamento americano.
Stilisticamente guarda più a Chagall che tra l'altro è stato il più rappresentativo e famoso pittore della cultura yiddish.
Questo musical assieme a West Side Story si pone al di là del musical classico. Gli arrangiamenti sono yiddish, gli attori ucraìni, russi, rumeni. Il protagonista, Tevje, è il prototipo dell'antifondamentalista.
Tevje "la quercia umana" è un uomo vero, puro, antepone l'amore, la vita, ai precetti, alle regole, alle convenzioni sociali.
Vive tra cielo e terra, ha un rapporto paritario, dialogico, con Dio, un po' come Don Camillo, ma a differenza del prete creato da Giovanni Guareschi, Tevje non è riverente né deferente.
La nostra è una società di cinici, egoisti, materialisti, abbiamo molto da imparare da un campione di umanità quale è Tevje".




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