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Proviamo a mettere due persone sedute una di fronte all'altra con un unico, tassativo ordine di "non comunicare". Dopo pochi secondi ci accorgeremo che ... non ci riusciranno!
Qualsiasi azione una delle due compia, (o NON compia!) l'altra le attribuirà, suo malgrado, un significato.
Se per esempio una guarderà fisso il pavimento, con le braccia incrociate, rimanendo in silenzio... avrà comunicato a chi la sta osservando la sua intenzione di non comunicare. Proprio così ... non avete letto male ... avrà comunicato che non vuole comunicare. È comunque avvenuta una forma di comunicazione.
Comunicare non è limitato a ciò che si dice!
Si comunica con lo sguardo, l'espressione del volto, i gesti, la posizione del corpo... e, nel parlare, non conta solo il contenuto ma il ritmo e il volume della voce, l'intonazione, le pause ... e già, anche il silenzio è comunicazione. Ogni comportamento è comunicazione! La capacità di capire e farsi capire è fondamentale: tocca tutte le nostre sfere esistenziali, pubbliche e private. Possiamo affermare, senza timore d'essere smentiti, che la capacità di comunicare bene si traduce in rapporti interpersonali soddisfacenti.
Viene da chiedersi… come mai quella della comunicazione è un'arte così difficile, se è una delle prime cose che impariamo a fare appena nati? Semplice: gli adulti tendenzialmente hanno una naturale inclinazione a complicarsi la vita, autolimitandosi, perdendo di vista molte delle loro potenzialità e abituandosi a schemi mentali impoveriti.
Così, per noi adulti l'apprendimento spesso parte proprio dal disapprendimento di comportamenti consolidati che andranno sostituiti da modalità comportamentali nuove, (talvolta insolite!) ma che una volta applicate hanno il potere di risolvere l'irrisolvibile.
Un esempio di comportamento da disapprendere è senza dubbio l'abbandono della profonda e radicata convinzione "so benissimo cosa pensi" presente, più o meno inconsapevolmente, in tutti noi quando ci troviamo a discutere con qualcuno.
Vediamo il perché ....
La comunicazione avviene attraverso un codice, (parole, gesti, ideogrammi, disegni, immagini, ...) e tale codice è generalmente condiviso.
In altre parole utilizziamo la medesima lingua, un certo gesto ha il medesimo significato per entrambi (scuotere la testa significa "no").
La difficoltà subentra al momento dell'interpretazione del messaggio.
Non tutti infatti attribuiscono a una certa parola, o magari a un gesto, il medesimo si-gnificato.
Ecco un divertente aneddoto citato da Paul Watzlavick (1), professore del Mental Research Institute di Palo Alto, California, in un suo libro, facendo riferimento all' Essay on Human Understanding di John Locke:
Un collegio di eruditissimi medici inglesi discusse a lungo la questione se nei nervi scorresse un liquor. Le opinioni erano discordi, si avanzavano le argomentazioni più svariate, e un'intesa non appariva possibile.
Prese allora la parola lo stesso Locke, chiedendo semplicemente se tutti sapessero con precisione che cosa si doveva intendere con il termine liquor.
La prima reazione fu di stupore: tutti ritenevano di sapere con precisione di cosa si stesse discutendo, e sulle prime la domanda fu ritenuta quasi futile.
In seguito, tuttavia, si accettò la proposta, si confrontarono le definizioni e ben presto ci si accorse che la discussione nasceva dal diverso significato attribuito al termine.
Con la parola liquor gli uni intendevano un liquido vero e proprio (come l'acqua o il sangue) e negavano che nei nervi fluisse qualcosa di simile.
Gli altri interpretavano il termine nel senso di "fluidum" (forza operante, come per esempio l'elettricità) ed erano quindi convinti che nei nervi corresse un liquor. Una volta chiarite le due definizioni e trovato un accordo sulla seconda, la discussione si chiuse rapidamente con un assenso generale.
Ma noi non facciamo disquisizioni filosofiche ... certo, ma spesso i fraintendimenti sono proprio su ciò che reputiamo più ovvio.
Una volta chiesi a un collega se avesse avuto molte fidanzate e lui mi rispose: "dipende da che numero comincia molte...
Provate a pensare a quante volte qualcuno intendeva dirvi una certa cosa e voi ne avete data per scontata un'altra ... e quelle sono le volte in cui ve ne siete accorti.
Chissà quanto spesso si sarebbero potuti evitare discussioni e litigi interminabili.
Che fare allora?!
A questo proposito vi suggeriamo una interessante tecnica citata da Anatole Rapaport nel suo libro Fight, Games and Debates (2).
In caso di contrasto di opinioni, invece di far spiegare, come di consuetudine, a ciascuno dei due contendenti, le proprie ragioni, chiedete al contendente A (in presenza del contendente B) di esporre il punto di vista del contendente B: ciò deve essere fatto nel modo più preciso e completo possibile, fino a quando il contendente B non si riconosca pienamente in quanto esposto. Successivamente sarà il turno del contendente B, dovrà illustrare la posizione del contendente A, fino a che quest'ultimo non si dichiari soddisfatto.
Rapaport sosteneva che tale tecnica avrebbe ridotto al minimo i contrasti fra le parti... ebbene, intuizione corretta!
Accade frequentemente che un interlocutore dica sorpreso all'altro: "non credevo che tu pensassi che io intendessi questo!"
Provate per credere! Funziona in modo eccellente anche per questioni non propriamente filosofiche quali i soliti, banali, frequentissimi, snervanti contrasti con coniuge, figli, vicini di casa, amici e conoscenti... .
(1) Watzlavick, Paul, Di bene in peggio, Universale Economica Feltrinelli 1998.
(2) Rapaport Anatol, Fight, Games and Debates, University of Michingan, Ann Arbor 1960.
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