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I rispétti e i dispétti.
In occasione della Pasqua o dell'Epifania, chiamata da noi anche Pasquetta, c'era l'usanza, nelle campagne non solo di Filottrano, ma un po' di tutti i paesi delle Marche, di "cantà Pasquella" o "Pasquetta". In qualche posto ancora si fa ed è, o era, un modo simpatico e festoso di augurare alle famiglie un anno lieto e fortunato. A Filottrano mi pare si facesse a Pasqua ed era un evento atteso in ogni casa, ricca o povera che fosse. I pasquellanti erano gruppi musicali composti generalmente da quattro contadini: uno suonava "l'urghinittu", uno "u timpinu" (il timpano) formato da un triangolo di ferro, un altro "u tamburellu" (il cembalo), il quarto, che reggeva il cesto, era lo stornellatore. Si mettevano in cammino di buonora e facevano visita a tutte le famiglie della zona. Sull'aia o sulla soglia di casa, lo stornellatore, accompagnato dalla melodia lamentosa dell'organetto, dal tintinnio del timpano e dall'allegro suono del cembalo, improvvisando a seconda della famiglia a cui erano rivolti, cominciava a cantare "i rispétti" con i quali, conoscendo le diverse realtà familiari, augurava la realizzazione dei desideri di ciascuno: un buon raccolto, una lunga vita, buoni guadagni dall'allevamento di animali, nozze per una giovinetta, così da dare buone speranze a tutti. La gente semplice di allora ci credeva e traeva da questi canti un po' di speranza di avere un anche minimo sollievo, sia pure temporaneo, dalla tanta miseria dei tempi. Lo stornellatore continuava a cantare i rispétti finché il padrone e la padrona di casa non si affacciavano alla porta recando vino per tutti e doni di circostanza. Secondo quel che potevano dare, uova, un piatto di grano o di farina, formaggio, salsicce, dolci, finivano nel cesto. Noi bambini seguivamo spesso i pasquellanti così che anche noi potessimo rimediare magari un dolcetto. Terminata questa specie di cerimonia, i pasquellanti si allontanavano intonando un canto di ringraziamento. Guai però a chi non aveva dato nulla! Invece dei ringraziamenti lo stornellatore cantava "i dispétti" e, anziché augurare buona fortuna, invocava sulla famiglia spilorcia ogni sorta di sventure sempre più pesanti man mano che il vino bevuto in precedenza faceva il suo effetto. Tutti temevano "i dispétti" e, non avendo donato nulla ai pasquellanti, facevano in casa tutti gli scongiuri conosciuti per allontanare la mala sorte. Se, malauguratamente e certamente per caso, a chi non aveva ricompensato "i rispétti" capitava una delle sventure augurate dai pasquellanti, la famiglia se ne dava la colpa e si poteva star certi che l'anno seguente avrebbe dato ai cantori anche più del dovuto.
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