Le interiezioni

U vergàru.

Nelle vecchie famiglie patriarcali contadine composte di venti, trenta, a volte anche di quaranta persone, appartenenti a più unità familiari che vivevano e lavoravano nella stessa grande casa colonica, "u vergàru" era il capo di casa; colui che teneva la verga: un ramoscello diritto e sottile simbolo del comando. In genere era il più anziano e regnava quasi come un despota su fratelli, sorelle zitelle, nuore, figli e nipoti che gli dovevano onore, rispetto e obbedienza.
C'era un detto che, parafrasandone un altro più conosciuto, recitava: "Non se mòe pàja che u vergàru non vòja". Anche per cose di minima importanza, nessuno poteva prendere iniziative senza interpellare u vergàru e ottenere la sua  approvazione. Egli stabiliva come e quando eseguire i lavori nei campi e assegnava i compiti, trattava "co u fattó", "co u vitrinàju", "cóu patró", "co u macellà", "co u spacciatore", "cóu mulinà", "cóu ruffià", "gìa au mercatu cóa cavalla"; prendeva insomma ogni decisione che riguardava la famiglia. Soprattutto u vergàru amministrava le finanze comuni, ma teneva i cordoni della borsa ben stretti e raramente scuciva qualche lira. A chi gli chiedeva soldi per cose non assolutamente indispensabili rispondeva che non ce n'erano.
In realtà la famiglia contadina di una volta era una comunità pressoché autosufficiente che solo per poche cose si avvaleva di servizi esterni e quando era possibile, specialmente con gli artigiani,   ricorreva al baratto. Un contadino comprava un paio di scarpe e un vestito solo due volte nella vita: quando si cresimava e quando sposava. In quelle occasioni u vergàru tirava fuori i soldi come fossero stille del suo sangue e sospirava: "Me mannéte a male". Qualche membro della famiglia più insofferente degli altri, per le piccole necessità personali ricorreva saltuariamente al furto. Ogni tanto, non si sapeva come, mancava un'oca, un coniglio, una dozzina di uova, un salame dalla dispensa. U vergàru sbraitava e minacciava, ma nessuno parlava. -Sarrà stati i zinghiri-, dicevano. Allora egli nascondeva il gruzzolo familiare in luoghi segreti che a volte solo lui conosceva.
Quando u vergaru moriva la prima cosa che si faceva era di "guasta' u pajarìcciu" in cerca dei soldi. Una volta, nel '55 o '56, quando insegnavo a San Marino (Cantalupu), venne a chiedermi consiglio un contadino che per caso  aveva trovato una cassettina nascosta certamente dal padre morto parecchi anni prima. Conteneva circa tremila lire. Una piccola fortuna equivalente a sei mesi di stipendio di mia madre nel 1945, costituita da banconote del Regno d'Italia e Amlire (carta moneta messa in circolazione dagli Americani alla fine della guerra), ma ormai irrimediabilmente fuori corso. Con il maggior tatto possibile, vista la disperazione del pover'uomo, gli feci capire che "ce potéa fa' un quatrucciu" e che forse di lì ad una ventina d'anni avrebbero potuto avere qualche valore numismatico.

Non so cosa ne abbia fatto e non riferisco cosa disse del padre defunto.



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'A filandra

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