La carrozza sfrecciava spedita
lungo la strada sterrata.
Molte erano le buche e altrettante
le pozzanghere, che impedivano al mezzo una crociera più adeguata
al rango di chi veniva trasportato.
Restif sbattè nuovamente
la testa contro il lato sinistro della vettura;
<< ..Ah!, merd! E' la
quattordicesima volta che sbatto il capo, signore! Ma che sia ubriaco il
conducente? Ve l'ho detto io quando siamo saliti che aveva una brutta faccia!!
Casomai è pure ubriaco fradicio e adesso ci và ad ammazzare
tutti quanti!!! Vedrete, mio signore, vedrete!!! ah! Marrano...! >>
Il suo compagno di viaggio
lo apostrofò con uno sguardo bieco, appena accennato, quanto bastava
per fargli intendere che, quel suo continuo lagnarsi, lo disturbava .
Si portò quindi l'indice
e l'anulare della sinistra alle labbra, per intimargli di tacere e il suo
attendente si ammansì come un gattino.
Ogni qual volta si teneva una
festa o un ballo alla reggia di Versailles, la grande piazza prospicente
il castello andava somigliando sempre più ad una piazza d'armi il
giorno delle manovre; carrozze, lettighe, fiori, cibi, vesti ancor più
sfarzose del solito riempivano di azione e di colori quel luogo.
Era arrivata anche la carrozza
dei due viaggiatori di cui vi abbiamo raccontato; ne scese prima l'attendente
e poi il suo signore.
Si trattava del conte de Mercy,
proprietario terriero e praticamente nullafacente, inguaribile conquistatore
di cuori femminili...suo unico passatempo in quella vita chissà
quanto noiosa e piatta.
Girava voce che, se non lo
si vedeva in giro per più di due o tre giorni, allora il suo nuovo
recapito era certo: la casa d'appuntamento di M.me Poulenc, in Rue Saint
Michel a Parigi.
La scena era sempre la stessa,
da tutti conosciuta; il conte si presentava (mai senza preavviso), squadrava
tutte le gentili ospiti della casa, volgeva lo sguardo alla maitrèsse
e le porgeva un sacchetto di luigi. << ..Tenete. - le diceva - Le
prendo tutte. >>
E così facendo si "affittava"
l'intera casa per un periodo che poteva oscillare fra i tre e i cinque
giorni.
Tutte le dame di corte ne parlavano
male, lo insultavano a bassa voce tra i ricami dei preziosi ventagli agitati
velocemente, dicevano che fosse un poco di buono, uno da cui era meglio
star lontane, uno che preferiva i genitali piuttosto che i cuori delle
sue "vittime"...ma chissà perchè erano altrettante (o le
stesse?) a cui bastava sentirselo passare vicino, entrare in contatto con
la sua aurea di "cattivo ragazzo", per avvertire un certo non so che....
Aveva da poco superato la trentina,
il conte e l'aspetto era gradevole, anche se un poco tendente al "sinistro";
era molto pallido di natura, sia con il trucco abituale dell'epoca che
senza.
Gli occhi erano svegli, attenti,
accusatori, impietosi.
Parlava poco, quasi mai. Gesticolava
ancora meno e tanto meno lo interessavano i giri d'affari della corte di
Francia.
Altre cose gli premevano.
Erano persone, non importava
l'età o la bellezza spiccata, il sapere erudito o la scioltezza
nel sapersi proporre in pubblico; no.
...Bastava che fossero donne.
Dame, serve, concubine, puttane, madri di famiglia...Ma donne.
Le voleva. Le otteneva. Sempre.
Il suo servo, Restif, era da
vedere: alto la metà di lui, vestito quasi come uno straccione con
la capigliatura sporca e incolta che gli usciva ora qua e ora là
da sotto la parrucca incipriata e sbilenca, gli occhi porcini di chi vorrebbe
farsi anche un sasso..se lo sapesse femmina.
C'era però una differenza
fra i due.
A dire il vero ce n'erano molteplici
com' è facilmente intuibile... ma la più lampante era che
il nobile, sovente, riusciva ad accomodarsi fra le calde cosce di compiacenti
signore, mentre il servo doveva ringraziare se gli si permetteva d'ingropparsi
la serva più vecchia trovata in cucina.
Ad ognuno il suo...
De Mercy e il suo fido Restif
passeggiavano silenziosi per i lunghi corridoi della reggia, in direzione
della sala degli specchi; le alte, immense vetrate laterali gli permettevano
di godersi lo spettacolo dei giardini reali illuminati dalla luna.
Quale soave spettacolo, quale
luminescenza d'arte.
Il servo si guardava attorno,
una mano al mento, gli occhietti veloci e vispi che si posavano ora su
una dama, ora su un'altra.
<< ..signore - gli disse
a mezza voce, sistemandosi il colletto -, noto con piacere che più
della metà delle dame che abbiamo incontrato da quando siamo arrivati
sono già "passate da voi", o sbaglio? >> rise, più sguaiato
che divertito; pareva un vecchio cane asmatico...
Il conte gli rispose quasi
subito, con sufficienza quasi arrogante, guardandosi bene dal volgere il
capo verso il suo interlocutore;
<< ..ne convengo, mio
caro Restif. >> continuava a guardare dritto davanti a sè.
<< Però - continuò
l'altro -, noto stranamente che nessuna di lor "signore" provano a rivolgervi
lo sguardo. Come mai, mio sign.. >>
<< ..strano - lo interruppe
egli, fiero -, e sì che in altri ambienti, e in altri luoghi, rammento
vividamente i loro sguardi infiammati mentre mi supplicavano, mi pregavano
di rapire la loro innocenza.... >>
<< Vi "pregavano", mio
signore? - finse di pensare per un attimo - ..eh, che pie donne... >>
<< Delle sante, Restif,
delle..- ne guardò una, una nuova, che incrociò il suo sguardo
sorridendogli nascosta dal ventaglio -..vere sante.... >>
Il servo prese di nuovo a ridacchiare
in modo lascivo, zittito pochi istanti dopo da un cenno del suo padrone.
Il nobile gli indicò
una strana figura in fondo a quel corridoio; erano a non più di
una ventina di metri dalla sala degli specchi, dove il corridoio che stavano
percorrendo faceva una curva ad angolo retto prima di immettere i presenti
in una delle sale più belle d'Europa.
<< Chi è? >> gli
chiese.
<< ..Oh, mio signore,
lo..lo ignoro, sapete. Mai mi è capit.. >>
<< Scoprilo. >>
<< Sì, mio signore.
Vado. >> si dileguò di lato veloce come una faina.
Era Oscar Francois de Jarjayes.
Stava in un angolo, ritta nella
sua uniforme, l'occhio vigile, l'aspetto fiero. Chi non era in grado d'innamorarsene?
Il nobile le si avvicinò.
<< ..Cosa vedo! - le
disse fingendosi stupito - una donna vestita da uomo! Questa è proprio
bella...! E' una moda? O vi piace fare la parte dell'uomo? >> ..ogni doppiosenso
era puramente voluto...
<< State parlando con
un militare, ricordatevelo, signore. >> rispose Oscar infastidita.
<< ..Ooh, ma quanta austerità
nelle vostre parole, "madame"... >>
<< ... >>
quel "madame" mandò
su tutte le furie la giovane, che pose mano sull'elsa della spada mentre
si imponeva di riuscire a trattenersi.
<< Permettete che mi
presenti? - continuò intanto l'individuo, mettendosi sull'attenti
e scimmiottando il classico metodo militare - Conte de Mercy, per
servirvi, "madame"... >> le sorrise; non era un semplice sorriso, c'era
un insieme di particolari messaggi fra quelle labbra tirate, il cui meno
libidinoso era "voglio sfilarti quella divisa io stesso e farti vedere
cosa vuole dire essere veramente un uomo..."
Un soldato interruppe la loro
interessante conversazione. Portava al suo comandante il rapporto sull'esercizio
di guardia che la sua truppa stava facendo quella sera.
Il nobile, presa la palla al
balzo, vide bene di dileguarsi fra la folla.
La voleva lasciare lì,
così, senza un perchè, con la testa ancora scossa da quella
(quasi) violenza psicologica appena subita.
La voleva lasciare lì,
così, appena sconvolta, quanto basta perchè ci si cominci
a porre dei...perchè.
La sala degli specchi era gremita
di gente di tutte le casate, la nobiltà si sprecava; pizzi, merletti,
ventagli piumati, parrucche all'orlo della decenza, la "creme" era ivi
riunita, come sempre, per glorificarsi e darsi una riprova della loro sontuosità.
Come se ce ne fosse stato bisogno...
Restif si avvicinò al
suo padrone; sbucò da dietro un cardinale grasso e panciuto...e
già ubriaco.
<< ..Signore!, signore!
>>
<< Contegno, Restif,
per quante volte te lo dovrò ancora ripetere? >>
Gli parlava senza guardarlo;
continuava a scrutare l'intera fauna presente nella grande sala con gli
occhi di un giaguaro che punta la preda. Si sarebbe quasi detto che fosse
in procinto di spiccare il balzo...
<< ..Ella è un
militare! E' veramente un milit.. >>
<< Questo l'avevo già
intuito, Restif, vedo che la tua presenza al mio fianco si fa sempre più
superflua, giorno dopo giorno. >>
Il servo deglutì.
La festa fu esattamente, inoppugnabilmente,
superbamente uguale a tutte le altre già tenutesi alla reggia.
Noiosa.
Oscar controllava i suoi uomini.
Il servizio d'ordine agiva
a bacchetta ad ogni suo cenno, pronto, deciso. Pareva quasi che ai soldati
piacesse essere comandati da una donna e lei si chiese se non fosse realmente
così.
Le capitava più volte
di riconoscere certi sguardi, certi mezzi sorrisi fra la sua guarnigione,
anche se nessuno si azzardava a fare alcun commento.
Ma lei sapeva cosa volevano
dire. Lo intuiva. In fondo era una donna.
Sorrisetti di mezzi uomini
poco dotati, a cui proprio non andava di essere "messi sotto" da una femmina..
Un nobile era andato a sbattere
contro la sua spalla facendole interrompere il corso di quei pensieri.
***
<< ..Mio caro amico..!
Quale immenso piacere rivedervi!! >> il marchese de Montaye aveva visto
il conte de Mercy e gli stava andando incontro, giulivo.
Teneva nella sinistra un calice
colmo di vino, e con l'altra spandeva nell'aria gli effluvi profumati provenienti
dal fazzoletto ricamato che stringeva fra le dita.
Il volto pareva scavato nel
burro, gli occhi quasi inesistenti, soprattutto quando sorrideva ebete...cioè
sempre.
<< ..Caro amico, come
state? >> de Mercy fingeva un tono amichevole da far spavento, ma il pollo
ci cascò come una mosca in una ragnatela.
<< Oh, bene bene, carissimo.
L'ultima volta che ci eravamo visti non fu...? >> si interruppe per vedere
se se ne ricordasse.
<< ..Sì,
ricordo - annuì de Mercy, accennado un sorriso di superiorità
-; ci incontrammo alla residenza dei marchesi de Flaubertenne...ciiirca,
....fatemi pensare...un mese fa, può essere?>>
L'altro annuì e lasciò
che continuasse.
<< ..fu quella sera -
riprese - che facemmo quell'allegra seduta spiritica, dico bene? >>
<< ..Mph...Sì!
Ih, ih... >> cominciò a bofonchiare de Montaye.
<< Sì, si, ora
rammento alla perfezione...! Fu quando la cara cara madame la marchesa
de Flaubertenne ci informò di essere posseduta da Afrodite e con
quella scus..pardon, quella ragione prese "ad amare" tutti gli astanti,
uomini e donne che fossero. ..Sì, devo dire che ricordo con un certo
piacere misto a nostalgia quella serata... >> i due si guardarono per un
attimo negli occhi, seri, per poi scoppiarsi a ridere in faccia reciprocamente.
<< Avete più avuto
notizie di quell'amabile nobildonna? >> gli chiese de Mercy.
<< Le ultime voci erano
che fosse divenuta l'amante del re>>
De Mercy lo fissò per
un attimo, interrogativo; si sporse quindi verso di lui, serio. Si comportava
come se l'altro si fosse messo a parlare in un'altra lingua.
<< ..Scusate, caro amico...-
gli disse il conte -...mamamama,... ho capito bene ciò che avete
detto o..? >>
L'altro si strinse nelle spalle
e sbuffò. << ..Che volete che vi dica; queste sono le voci
che ho raccolto...La gente è questo che dice...poi, se trattasi
di verità o fandonia solo il buon fato può dirlo...si sa...
>>
<< Dite...ma..stiamo
parlando dello "stesso" re? >>
L'altro lo fissò, stupito;
dalla sua prossima domanda de Mercy potè catalogare per sempre e
in modo preciso il livello intellettivo del suo interlocutore.
<< ..P-Perchè,
amico mio, in Francia abbiamo più di un re? >>
Il suo tono, reso improvvisamente
così serio e grave, lasciava ben poco alla speranza di trovare ancora
un poco di ragione in quella calotta cranica, il cui allegro possessore,
ora, pensò bene di trangugiarsi l'intero contenuto alcolico del
calice che reggeva.
La notizia di avere più
di un re l'aveva sconvolto...
De Mercy gli sospirò
in faccia, socchiudendo gli occhi; gli pareva di fare quattro chiacchere
con una capra vestita da uomo.
<< ..Dicevo, caro amico...-
gli spiegò - che "questo" re non mi sembra poi tanto "adatto" ad
avere delle favorite. >>
<< Aaaaahhhhhhhh..............!!!!!,
questo intendevate..! Adesso capisco... >> sospirò de Montaye.
<< Per quanto concerne
le voci che sono giunte alla mia persona, il nostro amato re ama occuparsi
unicamente di serrature. Infila e sfila chiavi tutto il giorno, prova e
riprova a far scattare grilletti di tutte le misure fino allo sfinimento.
Si può proprio dire un uomo che abbia un interesse, non trovate?
>> sorrise ironico de Mercy.
<< Beh, se proprio posso
dirla tutta, caro amico mio, mi sa tanto che anche voi ed io abbiamo lo
stesso interesse...! >> replicò l'altro.
<< Beh, sì, lo
ammetto, anche se...come dire...ecco, le serrature che mi interessano si
possono dire "alquanto" differenti dalle sue, e sicuramente più
divertenti da aprire. >> concluse annuendo de Mercy.
<< Voi siete un vero
intenditore di serrature, caro conte! >> convenne l'altro
<< Oh, non lodatemi,
amico mio. Ad ogni serratura la sua chiave...e per mia fortuna, posseggo
un pass-par-tout... >>
Il marchese de Montaye quasi
si soffocò dal ridere, a quella battuta mentre de Mercy preferì
non tergiversare oltre e cambiò discorso.
<< Sentite piuttosto,
caro de Montaye...mi sapete dire qualcosa su quella incredibile visione
vestita da uomo, che se ne stà ritta ritta in piedi in quell'angolo
da tempo ormai immemore?>>
E gliela indicò.
L'altro, asciugandosi col fazzoletto
profumato le copiose lacrime dovute al pianto, mise ben a fuoco la vista
e la riconobbe subito.
<< Oh, ma certo, conte...
Si tratta di Oscar Francois de Jarjayes, figlia..pardon "figlio" del più
famoso generale de Jarjayes, sapete? >>
<< "Figlio"? >>
<< Eh, sì, è
una triste storia, sapete... E' stata cresciuta come un maschio fin da
piccina piccina, ed ora come tale si comporta - finse di assumere un'aria
mesta e triste - mi sono sempre chiesto se una persona cresciuta in un
modo così bieco poi divenga lesbica, puttana o suora...>> ..la finezza
era il suo forte.
de Mercy si strinse nelle spalle.
<< L'unica è tentare.
>> gli disse, e si diresse di nuovo verso di lei lasciando l'amico lì,
a pochi passi da una delle tante vetrate della sala degli specchi.
Oscar sbuffò quando vide
ancora quello spregevole individuo di poco prima, dirigersi verso di lei.
<< Permettete? Conte
de Mercy, per servirla, madamigella. >>
<< Siete tornato per
scusarvi, conte? >> gli chiese; il tono era fermo, militare.
<< Anche, ma soprattutto
per invitarvi a ballare. >>
<< ..?! ..Sapete
che ciò è impossile. Non sono qui per.. >>
Non la lasciò finire.
Le si avvicinò ancor più, in un modo che non si confà
ad un nobile che, soprattutto, vuole anche adescare una probabile vittima.
Le disse, suadente e spudoratamente:
<< Ci verreste a letto
con me? >>
Oscar lo fissò.
Non arrossì.
Non si schiarì la gola.
Non strinse i pugni.
Non lo decapitò con
un sol fendente di spada (ne sarebbe stata capace).
Gli rispose, invece. Il tono
era calmo, tranquillo, come se parlasse di armi o tattiche militari.
<< L'unico modo per cui
voi possiate vedermi in prossimità del vostro letto, conte, sarebbe
per rendevi l'estremo saluto, dopo che vi fosse stata impartita l'estrema
unzione. Allora sì, è probabile che a quel punto potreste
anche vedermi, al vostro capezzale. >>
<< Beh...è già
un inizio. Direi che...beh, ecco, cheee...stiamo cominciando a trovarci
reciprocamente simpatici, non trovate? >>
<< Se voi dite, conte...
>>
<< ... >>
Spiazzato. Messo in un angolo.
Zittito. Non sapeva più come definirsi, il povero conte de Mercy.
Mai nessuna nobildonna di Parigi,
Versailles e dintorni si era neppur lontanamente sognata di rispondergli
in tal modo.
E quella donna/uomo non ci
aveva pensato due volte.
Non sapeva se odiarla, se amarla,
se ammirarla...già, perchè meritava anche una certa ammirazione
il modo scaltro e veloce con cui l'aveva liquidato. Bisognava ammetterlo.
Il marchese de Montaye stava
ancora lì, ritto in equilibrio assai instabile in attesa del ritorno
dell'amico nobile.
L'alcol oramai aveva pervaso
a tal punto le sue vene che faticava a riconoscere quasi tutti i suoi conoscenti
più cari, collezionando nell'ultima mezz'ora una oscena sequela
di brutte figure con almeno un terzo della nobiltà parigina.
Era un triste figuro, ma ancor
più triste era la figura che certe dame facevano pur di ingraziarselo.
Non tutti i nobili che erano lì a corte navigavano nell'oro, come
lui del resto....
De Mercy fu di nuovo da lui.
Era alquanto imbronciato e pensieroso.
<< ..Ehm, dite, conte,
com'è andata? >> provoò a domandare de Montaye.
De Mercy stava per rispondergli
quando, con la coda dell'occhio, vide attraverso una delle grandi vetrate
la figura inconfondibile di Restif, il suo attendente, che inseguiva una
cameriera per i giardini della reggia.
Sospirò, tornando a
volgere lo sguardo sull'altro.
<< ..Sapete una cosa,
caro amico? >>
<< Dite >>
<< La voglio. >>
<< Oooohhhhh..............
>> enorme fu lo stupore sul volto burroso del nobile. Osava forse troppo
il suo amico? Era il caso di avvertirlo?
<< Che c'è, de
Montaye? Vi vedo "assai" stupito. >>
<< Eh? Eh..nno, è
che, vedete, conte...il fatto è che, capite anche voi, i de Jarjayes,
una così nobile e nota famiglia...una questione importante e delicata
come la figlia, cresciuta come un maschio, il generale poi...tutte cose,
queste, che mi paiono troppo ostacolatrici a dispetto del vostro disegno.
Non trovate? >>
Il conte agitò stancamente
entrambe le mani per aria, come fossero uccellini stanchi.
<< Parole, de Montaye,
solo parole. Le vostre sono solo parole campate in aria e che in aria resteranno,
credetemi. Io la voglio, e la avrò. >>
<< ... >>
<< Piuttosto, aiutatemi.
>>
<< C-Chi, i-io? >
<< Sì. >>
<< Io? >>questa volta
de Montaye si indicò col dito indice il petto.
<< Sì, voi. Sto
forse parlando con altri? Parlo con voi, no? >>
<< B-Beh, ssì,
parlate con me ma.. >>
<< Bene, è deciso.
Quella donna, questa notte, sarà MIA. >>
<< ... >>
<< ..E non mi guardate
in quel modo, de Montaye. Neanche vedeste il fantasma di vostra madre!
>>
<< Ma la cara madre è
ancora al mondo, conte... >>
<< L'ho vista l'altro
giorno, era più di là che di qua...suvvia, andiamo. >> gli
fece cenno di seguirlo.
<< ... >>
***
Erano le tre di notte e la festa
era finita.
Molti nobili erano ubriachi;
qualcuno ancora sobrio era riuscito a "sistemare" la moglie per quella
notte con qualche altro personaggio di lignaggio più in alto, così,
giusto per assicurarsi quel contratto il mattino dopo o più semplicemente
per far arrivare un bel sacchetto di luigi in più a casa.
Mantenere un titolo costava, eccome se costava...e in tutti i sensi. Non
era poi tutto rose e fiori il modo di vivere dei ricchi, checchè
ne pensasse il popolo che, comunque, peggio di loro stava sicuramente.
Ognuno ha le sue croci, come si suol dire...chi più grandi chi più
piccole.
Le carrozze, diligentemente,
lasciavano lo spiazzo prospicente la reggia una in fila all'altra; chissà
quanti e quali discorsi dietro a quelle tendine...pettegolezzi, odii, rancori
mal sopiti, voglie, amori...qualche vettura, forse, era già divenuta
luogo adatto per un connubio d'amore, forse d'interesse, ma pur sempre
un connubio era.
Il conte de Mercy e il marchese
de Montaye, accompagnati dai loro attendenti Restif e Julien, attendevano
chini dietro ad un lungo cespuglio sulla sinistra della piazzetta da dove
stavano partendo le carrozze.
<< La festa dev'essere
finita, mio signore. >> lo informò Julien e de Montaye annuì
grave col capo. Ma subito dopo gli partì un rutto ancestrale che
avrebbe potuto destare un cavallo.
<< SSSSSSSSHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!,
FATE SILENZIO, MON DIEU!!!!! Ma siete pazzo o cosa?! >>
<< ..Ehm, scusate, mio
caro amico de Mercy - mormorò ancora ansimando il de Montaye -,
ma sapete, tutto quel vino...lo stomaco mi si lamenta un poco... >>
De Mercy alzò gli occhi
al cielo. <<"un poco", un poco gli si lamenta... Se gli si lamentava
mai del tutto, mi crollava tutta la reggia coi regnanti dentro... >>
<< Oh, no, no, non sia
mai, caro amico. Io qui chiedo al cielo tutto, di vegliare sui nostri beneamati
sovrani e di far sì che abbiano luuunga vita e possano morire della
più dooolce morte possibile, quella nel sonno della vecchiaia...ecco.
>> era completamente, irreparabilmente ubriaco fradicio. Il tanfo di vino
appestava tutto il cespuglio, gli altri tre compresi.
<< ..Sì, sì,
certo, lunga vita al re, certo- tagliò corto de Mercy agitando una
mano in aria -...ora però, dobbiamo calcolare bene i tempi. Fra
quanto uscirà la MIA madamigella? >>
Prese la parola Restif: <<
Per dove dobbiamo andare, e visto che le prime carrozze sono già
partite, e pensando che gli vogliamo fare una sorpresa e quindi arrivare
prima... >>
<< ..Restif. >>
<< Sì, signore?
>>
<< Hai bevuto? >>
<< ... >>
<< Restif. >>
<< Sì, signore?
>>
<< Perchè non
mi rispondi? >>
<< P-Perchè, s-signore,
cosa g-glielo fa pensare? >>
<< Il tuo alito, Restif.
Arriva fino a qua. >>
<< ... >>
<< Restif. >>
<< Sì, signore?
>>
<< Sei un cojon. >>
<< Sì, signore.
>>
<< Lo sai di esserlo,
vero Restif? >>
<< Sì, signore,
ne sono co-convinto, ecco. >>
<< ..Bene, ora, Restif,
spero che tu non mi dica che saremmo già dovuti partire e che quindi
siamo in ritardo perchè altrimenti... >>
<< ..a-altrimenti, mio
signore? >>
<< ..ti faccio frustare,
Restif. Anzi, ti frusto io stesso. >>
<< Ah... >>
<< Un ultima cosa, Restif.
>>
<< Sì, signore?
>>
<< Noi - indicò
se stesso e poi gli altri -, "non vogliamo" farle una sorpresa presentandoci
là. E' chiaro? Non è una festa. Io - e indicò nuovamente
se stesso col dito - Me la voglio fare, e basta. Va bene? Hai capito,
stavolta? >>
<< Sì, signore.
>>
<< Mh, bene. Speriamo
che sia la volta buona. >> detto ciò, tornò ad osservare
le prime carrozze che stavano partendo.
<< ..S-Signore? >> lo
chiamò Restif.
<< Mh? Che vuoi ancora?
>> tornò a guardarlo.
<< Il signore voleva
sapere quando ci conveniva partire, signore? >>
<< Sì. Allora?
>>
<< ..Almeno qualche tempo
prima delle prime carrozze, signore. Di sicuro. >> annuì, convinto
di aver appena detto una cosa intelligente.
Il conte de Mercy tacque per
qualche istante, mentre a tre metri da lui l'attendente Julien aiutava
il suo padrone a rimettere tutti gli alcolici tracannati per tutta quella
sera, fino a fargli creare un discreto rivoletto che corse giù giù,
fino ad una stradina lì vicina.
<< Restif. >>
<< Sì, signore?
>>
<< Io ti brucio. >>
<< ... >>
***
Oscar stava aiutando la madre
a salire sulla carrozza.
<< Ecco, salite, madre.
>>
<< Grazie, Oscar. >>
Salì anch'ella, posizionandosi
al fianco della madre.
<< Sembri stanca, Oscar.
>>
<< Il termine più
giusto sarebbe "annoiata", madre. >>
Sorrise <<..Sì,
ti capisco, Oscar; queste feste sono tutte uguali. Stessi volti, stessi
rancori negli occhi di ognuno...E' solo una gara a farsi vedere in mezzo
agli altri anche stavolta e, chissà, magari anche alla prossima.
>>
Oscar annuì.
Non voleva ammetterlo ma stava
letteralmente crollando dal sonno. Le palpebre erano pesanti, scendevano
da sole ad oscurarle la vista. Le labbra prendevano a schiudersi da sole,
senza un suo ordine, segno che anche i muscoli facciali stavano cedendo
all'abbraccio di Morfeo.
La carrozza partì.
Oscar si chiese se sarebbe
riuscita a rimanere sveglia per tutto il tragitto fino a casa.
***
Residenza della famiglia Jarjayes.
<< ..E' questa? >> il
conte Mercy era fradicio di sudore. Aveva cavalcato, assieme agli altri,
come un pazzo scatenato per la campagna circostante riuscendo nell'impresa.
Neanche un corriere postale avrebbe corso così velocemente, si lodava
col marchese de Montaye.
Quello, dal canto suo, gli
ricordava ogni due minuti che i quattro cavalli li aveva pagati lui, ed
attendeva un rimborso il giorno dopo.
Restif e Julien parevano due
morti viventi; sguardo allucinato, sfarfugliavano mezze frasi senza senso,
ormai inghiottiti dal sonno.
Il culmine si ebbe quando Restif,
sorridente come un cerebroleso, apostrofò il "collega" Julien con
un alquanto enigmatico "la mia bella cavalla".
Nessuno osò chiedergli
ragione di tale affermazione, sperando fermamente (anche per il povero
Restif) che si trattasse solo di un eufemismo...
<< Sì, è
questa, è la residenza dei Jarjayes. >> annuì il marchese
de Montaye.
<< Bene, andiamo. >>
fece de Mercy.
Cominciò a dirigersi
verso un muro di cinta (il cancello era ovviamente chiuso) e fece segno
al servitore di aiutarlo nell'impresa. << Devo scavalcare, Restif,
aiutami. >>
<< Sì, signore.
>>
<< Ricordatevi la scommessa,
amico mio. >> gli disse l'altro nobile, toccandosi una tasca della giacca.
Avevano scommesso una certa quantità di luigi sulla buona (o cattiva)
riuscita dell'impresa.
Il conte avrebbe dovuto riportare
con sè un indumento della "vittima", il più intimo possibile,
come prova. Il marchese arrivò a promettergli il doppio della cifra
per qualche pelo pubico, così, "per ricordo".
Veramente quello che si può
dire un animo nobile...
Restif si inginocchiò
dunque, unendo le mani a scodella e lasciando che il suo padrone vi mettesse
sopra un piede.
<< Bene, Restif, alè!
Hop! >>
Il servo lo sollevò
con tutte le sue forze, catapultando il povero conte fin oltre il muro
di cinta.
I tre rimasti al di qua della
barriera udirono un tonfo sordo; era il conte che era atterrato.
Restif sorrise gongolante agli
altri due, grattandosi un'ascella;
<< ..E' già di
là il mio padrone, eh...E' un grande, lui... >>
***
La carrozza di Oscar imboccò
il cancello d'entrata di palazzo Jarjayes con qualche scossone, che la
fece ridestare immediatamente.
Si stiracchiò pesantemente
e si girò subito in direzione della madre che dormiva anch'essa.
Neanche quegli scossoni erano serviti a destarla.
Oscar le sorrise.
<< ..Siamo a casa, madre.
>> le disse, toccandole leggermente un braccio.
La vettura si fermò
davanti all'ingresso principale della villa.
La servitù, rimasta
alzata fino a quell'ora, sbrigava automaticamente le azioni del caso, dalla
sbrigliatura dei cavalli alla rimessa della vettura, mentre Oscar e la
madre si incamminavano verso le scale interne della costruzione.
<< A domattina, cara.
>>
<< Buona notte, madre.
>>
Rimase ad osservare madame
de Jarjayes incamminarsi verso le sue stanze, assicurandosi che tutto fosse
a posto e stette a guardarla finchè la porta che si richiuse alle
spalle non ne oscurò la vista.
Sbadigliando a più riprese,
si diresse verso la sua camera massaggiandosi le reni dolenti. Non vedeva
l'ora di togliersi gli stivali...
Ancora per le scale, aveva
preso a sbottonarsi la giubba bottone dopo bottone.
Ogni asola liberata era un
pò di respiro in più; poteva sentire il calore del suo corpo,
del suo petto, attraverso la camicia sottostante, uscire da sotto quella
divisa aperta pian piano.
"Aria...il mio corpo vuole
stare un pò all'aria...", si disse.
Arrivò alla propria
stanza. Aprì la porta.
Entrò e la richiuse.
Buttò la giubba per
terra, sulla destra. Mancò in pieno la sedia sulla quale la riponeva
ogni sera.
Non le importò assolutamente
nulla. Era stanca, troppo stanca.
Ripose anche la spada in quel
punto; provò ad appoggiarla contro il muro ma quella cadde a terra,
sulla divisa.
Si sedette sul suo letto, assaporandone
la sofficità.
Si tolse prima lo stivale destro.
Poi il sinistro. Stava per sistemarli uno di fianco all'altro al loro solito
posto...poi invece li gettò per terra, come abbandonati.
"Basta ordine, voglio solo
dormire e riposare..."
Si buttò all'indietro
sul letto, sprofondandoci dentro.
Stiracchiò tutto il
corpo, sbadigliò ancora, e..
Un rumore.
Trasalì.
Saltò giù dal
letto come una pantera, raggiunse la spada e la sguainò.
I suoi sensi mezzi addormentati
ma sempre vigili, come un militare doveva avere, le dicevano di guardare
in direzione della finestra.
Era chiusa.
Si avvicinò.
Un altro rumore.
Fece uno scatto indietro.
Ora niente...
Si riavvicinò. Si stava
tormentando il labbro inferiore coi denti.
..Ora!
Si gettò sulla finestra,
afferrò la maniglia e la girò completamente, liberando le
due ante vetrate.
Ora la finestra era completamente
aperta. Più luce lunare poteva così entrare nella stanza.
Tutto era più chiaro, più nitido.
Fuori dalla finestra poteva
scorgere l'albero, la campagna là dietro e una porzione di cielo
stellato.
Ancora un rumore.
Fece un passo indietro. La
spada era già puntata in quella direzione. Che fosse un ladro?
D'improvviso una mano comparve
sul bordo sottostante del balcone; anche la sua compagna si presentò
alla sua vista.
Tempo pochi istanti, e una
figura si erse da sotto il balconcino della finestra di camera sua. Era
un uomo, la figura lo evidenziava, e pure vestito bene.
Un nobile.
I lustrini e le paillettes
che adornavano le sue nobili vesti riflettevano la luce della luna.
Con un balzo fu nella sua stanza,
e in meno di un secondo capì che la punta di una spada gli stava
premendo contro al mento.
<< Fatevi riconoscere,
signore. >> il tono non era minaccioso. Di più.
<< ..E-Ehm, m-ma non
ri-ricordate, cara fanciulla, mia amata? S-Sono i-io, il c-conte de Mercy.
Oscar sgranò gli occhi.
Era furiosa.
<< VOI?! Qui?! Qui in
CASA MIA?! >>
<< ..P-Pensavo c-che,
ma-ma-magari si poteva...chesssò, "bere qualcosa insieme"? Ecco...
>>
Fu un istante.
Un solo, brevissimo, istante.
Un colpo flessuoso di spada.
Una diagonale dall'alto al
basso, dalla sinistra verso la destra.
La giacca ben lavorata del
nobile si squarciò aprendosi in diagonale, e così la camicia
sottostante.....ed anche i primi strati di pelle di quest'ultimo, che prese
a grondare sangue dal petto come una fontana della reggia.
Era senza parole, allibito,
sconvolto.
Ma cosa faceva più orrore
al "povero" de Mercy? La ferita, che comunque si sarebbe rimarginata, o
l'essere stato respinto, e questa volta nel più grande e scenografico
degli stili?
Oscar si rimise in posa d'attacco
e gli puntò l'arma nuovamente al mento.
<< ..vattene, verme.
O ti uccido. >>
<< ..M-Madamigella O-Oscar...I-Io..
>>
<< ..sparisci. >>
<< ..V-Voi..S-Siete la
mia prima sconfitta...madamigella... >>
<< Voi invece siete la
sconfitta "regina" per il vostro sesso, monsieur e ora vi ho detto di sparire
o veramente vi infilzo come uno spedo!>>
Il conte, gemendo come un infante,
indietreggiò di tre passi e, giratosi di scatto, fece un balzo fuori
dalla finestra lanciandosi in direzione del grande albero da cui si era
arrampicato. Il contatto forte, improvviso della corteccia di quest'ultimo
con la sua ferita aperta sul petto lo fece gridare; per sua fortuna solo
Oscar lo udì.
Scese in fretta e furia da
quella possente pianta, correndo come un pazzo fino al muro di cinta; una
volta lì, trovato il punto ove poco prima s'era preparato un serie
di gradini con dei pezzi di tronco destinati ai camini, salì alla
bell'e meglio e si buttò dall'altra parte con una foga tale che
pareva fuggire dalle spire dell'inferno stesso.
Oscar era ancora affacciata
alla sua finestra.
Fissava il vuoto, ora. Il cielo
stellato. Lo scuro della notte che pareva avvolgerla tutta.
Si girò per andare di
nuovo a distendersi, e solo allora si accorse che le stavano tremando le
gambe. Cercò allora di calmarle, di calmarsi. Ma senza risultato.
Buttò la spada in un
angolo della stanza, lei sempre così ordinata e meticolosa, e andò
a gettarsi nel suo letto.
Prese le lenzuola e si avvolse
tutta, completamente, anche la testa. Si rannicchiò come un porcospino
che si senta in pericolo, e lì attese Morfeo che la andasse a prendere
anche quella notte.....
Buona notte, Oscar, dormi bene.
Marco