Alcune ore più tardi,
quando la tempesta si era ormai placata, il mare si era ritirato,
la sabbia si era nuovamente posata, e solo i segni delle onde e l’odore
dell’aria rivelavano ciò che era successo in quel luogo, due figure
si dirigevano verso una piccola casa, isolata, vicino al mare, dove due
donne e un uomo aspettavano.
Andrè camminava lentamente,
tenendo tra le braccia Oscar, addormentata e avvolta in una coperta. Era
felice. Incredibilmente, inevitabilmente, indissolubilmente felice. Solo
poche ore prima aveva rischiato di perdere tutto. Sarebbe bastato un secondo
di ritardo per rendere tutto privo di senso. Sarebbe impazzito, lo sapeva.
Ma ora…ora…ora stringeva tra le braccia quel corpo tanto amato, un lieve
fardello che avrebbe volentieri portato per l’eternità. O più
semplicemente, fino a quando l’avesse deposta sul suo letto.
Era incredibile quanto fosse
leggera, pensava. Le braccia che aveva, istintivamente, passato attorno
al suo collo, erano quanto mai esili, benché l’uso della spada le
avesse sviluppate e rafforzate. Il volto era sottile, smagrito, gli occhi
sottolineati da larghe occhiaie…chissà da quanto tempo non dormiva
decentemente. Si fermò un attimo per depositarle un bacio sulla
fronte. Lei mosse leggermente la testa, il suo respiro si modificò
impercettibilmente, la presa delle braccia cambiò…lui si bloccò,
trattenendo il respiro, temendo che si stesse svegliando. Ma lei ricrollò
sulla sua spalla, e lui tornò a rilassarsi. Sorrise.
- Dormi, Oscar, dormi ancora.
Dormi, amor mio, ne hai bisogno. - sussurrò tra i suoi capelli,
prima di riprendere il suo cammino.
Oscar si risvegliò, alcune
ore dopo. Si svegliò, ma non si trovava dove lei avrebbe creduto.
Invece di un letto di alghe, di una coperta vecchia e logora, un fuoco
acceso e le braccia del suo uomo attorno a sé, percepì di
essere su un materasso, fra le lenzuola, nella sua stanza. Tutto pareva
come prima, come se non fosse successo niente su quella spiaggia, in quella
grotta… Credette di aver sognato, l’ennesimo, beffardo sogno che si prendeva
gioco di lei e del suo dolore. Si girò dall’altra parte.
- O Andrè! - chiamò,
angosciata, pronta a piangere, un’altra volta ancora. Era diventato così
facile piangere, ormai!
- È di sotto, madama.
Sta spiegando la situazione ad Alain e Rosalie. - le giunse invece una
risposta, dalla voce di Fabrice. Oscar si rialzò a mezzo, guardandolo,
con l’incredulità di mille motivi stampata sul viso. Accettare quello
che lui le diceva era così dolce, ma così pericoloso… trascorsero
alcuni minuti mentre in lei combattevano speranza e rassegnazione, desiderio
e timore. E quando finalmente riuscì ad accettare la sua presenza
lì, e a convincersi che non era un sogno quel che aveva vissuto,
ma una nuova, meravigliosa realtà, un sorriso si disegnò
sul suo viso, lentamente, ancora titubante a lasciar calare nuovamente
le sue barriere.
- Non ho sognato…- sussurrò,
mentre gli occhi le brillavano. - Non ho sognato! - ripeté, a voce
più alta, ributtandosi indietro, ricadendo sul cuscino, mentre rideva
di felicità. Fabrice scivolò giù dalla sedia su cui
era appollaiato.
- Vado a chiamarlo, madama.
Mi hanno raccomandato di farlo, non appena vi foste svegliata. - scappò
via, correndo verso le scale. Oscar rimase immobile, ancora sorridente,
respirando affannata per il riso. Da quanto tempo non rideva più!
Da quanto tempo aveva dimenticato com’era ridere! Si rotolò nel
letto, felice. La sua mente le presentava mille immagini gioiose, tante
che non riusciva a seguirle.
Sentì i passi di Fabrice
che tornavano, veloci. Poco dopo la porta si spalancò, per far posto
al ragazzo, ansimante, per aver fatto tutto il tragitto di corsa, e ridente,
perché finalmente la vedeva ridere, per niente turbato dal tarlo
della gelosia. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo, che Oscar era solo per
Andrè, e non aveva mai desiderato altro per lei e per lui e per
se stesso.
- Sta arrivando, madama. O
meglio, stanno arrivando tutti quanti.
- Va bene Fabrice. Grazie per
avermi avvisato. Credo sia meglio che mi alzi.
Scostò le coperte, cercando
di piegare le gambe. Si fermò di botto, stupita dal dolore che le
aveva attanagliato le cosce. Dovette muoversi lentamente, stringendo le
labbra per il dolore. Doveva aver sforzato molto i muscoli, per provare
un dolore simile. Era molto tempo, ormai, che non le capitava più…
all’incirca da quando suo padre aveva deciso di rallentare i suoi allenamenti,
giudicandola sufficientemente preparata. Le venne da ridere. E così,
ecco che anche lei si sentiva indolenzita dopo un’attività troppo
intensa…il suo corpo ritrovava la sua voce, tornava a protestare, a ribellarsi
a ciò che non gli andava, e lei doveva ammettere di aver sbagliato,
di aver sfruttato troppo le sue risorse. Tornava, finalmente, ad essere
una persona di carne e sangue, non una bambola inanimata.
E rise, in effetti, rise in
faccia a un attonito Fabrice.
- Sai, Fabrice, le gambe mi
fanno un male tremendo! - gli disse, raddoppiando le sue risate, al notare
la sua espressione.
- Questo vi fa piacere, madama?
- le chiese lui, sempre più perplesso.
- Sì Fabrice, sì,
mi fa piacere. Mi fa sentire…come dire…viva! E non sai quanto sia bello
questo.
La porta si aprì in
quel momento. Oscar non ebbe il tempo di vedere chi entrava, sentì
solo le braccia di Andrè che la stringevano, le labbra di lui tra
i suoi capelli.
- Buongiorno, dormigliona.
Cominciavo a credere che non ti saresti più svegliata.
Lei restituì l’abbraccio,
ridendo.
- Sfiduciato! Ti ho mai fatto
uno scherzo del genere?
Andrè non rispose, le
si scostò leggermente, sedendosi sui talloni davanti a lei.
- Come ti senti?
- Un po’ indolenzita, e terribilmente
affamata.
- Già, lo so. Ma non
si può pretendere che i contrabbandieri pensino a tutto, quando
preparano i loro rifugi nelle grotte, no?- scoppiò a ridere, si
alzò e le tese le braccia. - Avanti, vieni con me, prima di
tutto ti porto a cena.
Le afferrò le mani,
la tirò in piedi. Lei si lasciò sfuggire un gemito di dolore.
- Ce la fai a camminare? -
le chiese
- Non lo so. Credo di sì.
- mosse qualche passo. Il dolore ai muscoli era terribile, si sentiva un
pezzo di legno. Andrè la guardava, lo sguardo serio, intento. Non
rideva più, ora: era troppo impegnato a sostenere e aiutare la sua
donna, a verificare che non rischiasse di cadere e farsi male. Se fosse
stato per lui, l’avrebbe sollevata fra le braccia e trasportata così,
ma sapeva fin troppo bene che era importante che si muovesse, o il dolore
non sarebbe mai passato.
Oscar lo guardò, sorrise.
- Non sarò molto veloce,
ma se mi lasci appoggiare a te, credo che riuscirò a camminare.
Lui annuì, sorrise,
le diede il braccio.
- Avanti, vecchietta, faremo
in modo di procurarti un bastone.
- Certo! Magnifica idea! In
effetti, temo di essere un po’ fuori allenamento, potrebbe essere un ottimo
sostitutivo della spada, no? - rispose lei, con tono innocente, come quando
si scambiavano battute e frecciate, da ragazzi. Sembrava che il tempo fosse
tornato indietro, riportandoli giovani e spensierati..
Alain non l’aveva mai vista
così. In quel mese e mezzo, non aveva mai riso, mai fatto una battuta.
Oscar gli passò davanti, si fermò a guardarlo.
- Alain, su con la vita! Non
è mica morto nessuno!
E a Rosalie, in lacrime accanto
a lui:
- Rosalie, avanti, basta lacrime!
Va tutto bene!
- Sì, sì, madamigella
Oscar, ho…ho finito di piangere. Ora smetto, sì, ora smetto. Sapete,
sono tanto felice! - rispose lei, raddoppiando i suoi singhiozzi e le sue
lacrime. Oscar rise, passò oltre, sempre appoggiata e aggrappata
ad Andrè.
Nel soggiorno, li aspettava
Sabina. Non disse niente, quando si voltò al loro ingresso, ma si
scostò appena, lasciando vedere il tavolo apparecchiato. Oscar si
sedette pesantemente, lasciandosi cadere sulla sedia: le sue ginocchia
non si reggevano flesse. Andrè si sedette accanto a lei.
- Gli altri avevano già
mangiato prima che arrivassimo. Manchiamo solo noi.
- Allora mangiamo, no? Ho una
fame da lupi.
Lui la servì, sorridendo,
e mangiò con lei, guardandola sorridere. Oscar sorrise molto da
quel giorno, in compagnia di Andrè.
Fine 9° parte
Illy