Nota dell'autrice: Lo ammetto. Fin da quando ho iniziato a scrivere “Solo uno”, l’avevo pensato come un racconto a più finali, ma essi sono rimasti a lungo a livello meramente ipotetico. In seguito, ispirata (o meglio istigata) da altre menti, che ho intenzione di ringraziare in seguito, cominciai, a delineare prima e a scrivere poi, questo finale. Esso è dedicato ai più realisti, coloro che hanno giudicato Fabrice e Sabrina pazzeschi, fuori dal mondo, troppo irreali per trovar posto in una fanfiction su Berubara. Insomma, questo finale è per tutti voi che volete restare con i piedi relativamente per terra, ma anche a un’altra categoria di persone, che non vi rivelerò, ma che di certo individuerete leggendo.
Arriviamo alla storia. Oscar è ormai ufficialmente impazzita, i sui soldati, profondamente addolorati, sono riusciti a convincerla a trasferirsi al mare con Rosalie e uno di loro, sperando che lontano dalla città, riesca a guarire dai suoi molteplici mali. La scelta del suo accompagnatore ricade naturalmente su Alain, il più degno di fiducia agli occhi di tutti. Come la sua parallela, dunque, questa parte si apre in riva al mare, ma…con qualche differenza. Buona lettura!
 
 Solo Uno
6° parte (bis)
 
 

Le onde del mare lambivano i suoi piedi, giocavano con essi, ora li sfioravano appena, ora li ricoprivano di schiuma. Lei lasciava fare, ferma ad osservare il mare, a sentirne la voce. Le piaceva il suo suono, era calmo e rassicurante.
Succedeva spesso che si fermasse per ore intere sulla spiaggia, a piedi nudi, lasciando che le onde li coprissero, che facessero fuggire la sabbia da sotto i suoi talloni. Le piaceva osservare l’orizzonte, sentire l’acqua che le accarezzava la pelle col suo tocco leggero e vellutato, così come erano state le carezze di Andrè.
Non avrebbe più potuto avere le carezze da quelle mani, lo sapeva, ma le piaceva farsi sfiorare da acqua, vento e terra. Sentiva che, in esse, Andrè era presente, sempre, ricordandole il suo amore. Come se ce ne fosse stato bisogno! Come se lei avesse veramente potuto dimenticarlo, lui, l’unico uomo per cui era stata veramente pronta a tutto. Lui aveva sconvolto il suo cuore e i suoi sensi, lui aveva dato un riparo al suo spirito quando era confuso, perso nella tempesta delle supposizioni, dei “se fosse” e dei “avrebbe dovuto essere”. Lui era stato l’unico punto fermo in tutta la sua vita, sempre piena di cambiamenti e insicurezze. E, ora che se n’era andato, l’unico tocco che sopportava era quello dell’acqua, dell’aria e della terra.
Oscar si strinse nella giacca. Spirava un leggero venticello che la faceva rabbrividire. Si volse, lentamente, cominciando a camminare verso casa. Casa! Era veramente casa sua quella? No, no, no, no! Nessuna casa poteva essere la sua casa. Non più, ormai. Aveva perso ogni possibilità di avere una casa quel maledetto 13 luglio, quel giorno in cui una pallottola l’aveva uccisa. Alain e Rosalie, sì, loro potevano anche considerarla casa loro. Anche Bernard, che vi veniva un volta al mese, poteva considerarla casa sua, perché lì aveva moglie e cuore, lì i suoi pensieri si rivolgevano quando pensava alla sua famiglia. Ma lei, lei non aveva più famiglia. No, non più. Non più. Lì lei aveva un tetto, un letto, degli amici. Sì, loro erano suoi amici, nonostante tutto. Nonostante sperassero di salvarla dalla sua malattia. Pazzi! Pazzi ed egoisti! Perché insistevano nel cercare di curarla? Per salvarle la vita? Ma quale vita? Quale vita? Una vita di disperazione e rimpianto, di dolore e nostalgia. Ecco l’unica vita che potevano offrirle. Una vita senza Andrè. Una vita passata a ricordare il proprio passato, a rivedere tutte le occasioni mancate di afferrare quella felicità che aveva sempre avuto accanto. A questo, loro non pensavano. Pensavano solo a tenerla stretta a loro, la volevano tra loro a tutti i costi, perché le erano affezionati, perché seguire i suoi ordini era diventata una dolce abitudine.
Ma lei non poteva più dare amore, non voleva più dare ordini. Non aveva più alcun motivo per farlo. La Rivoluzione sarebbe andata avanti anche senza di lei, in Francia c’era tanta altra gente capace. Non avevano bisogno di lei. Nessuno aveva bisogno di lei. Perché era ancora in vita? Perché?
Gli stivali in mano, Oscar camminava sulla spiaggia, facendosi riprendere dai suoi pensieri, sprofondando ad ogni passo nella sua malinconia. Succedeva sempre così, ogni giorno, ogni volta, in ogni luogo, se qualcosa non veniva a interromperla. E sempre più spesso quel qualcosa arrivava, sempre uguale e sempre sgradito, nonostante i suoi maldestri sforzi di piacere.
Si intrometteva malamente nei suoi pensieri, tentando di seguirli e prevederli, assolutamente convinto di conoscerli. Ogni sua parola, ogni suo gesto la colpivano al cuore, come segni del più profondo disprezzo. Una donna… la trattava come una donna…ma nel senso più basso e avvilente della parola “donna”…come una preda, un oggetto da conquistare, un qualcosa da aggiungere alla propria collezione. E questo lei non poteva sopportarlo, no, assolutamente no. Era già troppo che qualcuno si intromettesse a forza nei suoi pensieri, sostituendo la dolce immagine del suo amore con quella del suo viso, il ricordo della sua voce col suono delle proprie parole. E quello che le diceva, poi… banalità imparate da un nobile libertino, cerimoniale di corteggiamento trito e ritrito, che aveva osservato tante volte nei corridoi di Versailles, accettato solo dalle dame più frivole e sciocche. Quelle con un minimo di personalità no, rifuggivano da quelle cerimonie. Anche Girodel, quando l’aveva corteggiata, era inevitabilmente caduto in quelle banalità, ma lui almeno aveva tentato di trovare il suo punto debole. Non si era affidato solamente a quelle futili frasi. Perché lui sapeva, capiva che lei non era una donna comune, che non la si poteva conquistare con le comuni tattiche. Ma questo, Marc Bois non lo capiva.
Non lo capiva, e arrogantemente pretendeva di trattare tutte le donne allo stesso modo. Credeva che tutte desiderassero gioielli e fiori e altri doni, e pensava di accontentarle tutte inviando loro dei regali. Oh, tutto ciò aveva un prezzo, lo sapeva, ma lui poteva contare sul patrimonio del barone Montreil, e non badava a spese. Si sa, non può occuparsi d’amore chi ha preoccupazioni materiali, questa era una massima antica e fidata.
E con lei aveva già speso molto, in fiori, vestiti e regali, che vedeva costantemente sdegnati. Neanche rifiutati. Semplicemente, non presi in considerazione, come fossero paccottiglia senza valore. Esattamente ciò che erano, per lei, ma questo lui non riusciva a capirlo, no, non lo capiva. Come non capiva niente di lei, assolutamente niente.
E nonostante questo, perseverava, troppo orgoglioso per ritirarsi, troppo cocciuto per ammettere di non avere possibilità. E continuava a portarle dei regali, che ritrovava gettati per terra, ancora incartati, a pronunciare frasi leziose e sciocche, che non venivano ascoltate. Eppure continuava a pronunciarle, sempre le stesse e sempre uguali.
Come avrebbe fatto sicuramente anche ora. Oscar lo vide che si avvicinava a grandi passi. Cercò di fingere di non averlo visto e proseguire per la sua strada, ma sapeva bene di non avere possibilità. La sua arroganza e la sua insensibilità gli negavano di avere il minimo tatto, di capire quando poteva parlare e quando doveva tacere e scomparire. In quei momenti, l’unica cosa che la consolava era il pensiero che la sua condanna sarebbe finita presto. Il giorno della sua liberazione era vicino, e lei non faceva nulla per allontanarlo. Le sue forze diminuivano ogni giorno di più, e ogni giorno più rapidamente, e lei non le ripristinava né col cibo né col sonno, anzi, cercava in ogni modo di sfinirsi. Il suo corpo era sempre più magro, i suoi occhi segnati da occhiaie sempre più profonde. Eppure… eppure non aveva minimamente perso la sua bellezza, e la sua malinconia l’ammantava di un velo romantico per chiunque l’incontrasse.
Ma pochi, pochissimi sapevano quanto profonda fosse quella tristezza, e quanto grave la sua malattia. Lei, solo lei sapeva quanto fosse vicina la sua morte. Ogni volta che pensava a ciò, le veniva da ridere. Anche ora, pensando che non avrebbe dovuto sopportare ancora per molto la compagnia delle persone, scoppiò in una risata feroce e soddisfatta, che sconvolse il giovane Marc, che le si era avvicinato, lasciandolo ammutolito per qualche istante.
- Buongiorno madamigella, buongiorno. Come state oggi? – le disse infine, ritrovando la sua spavalderia. Oscar si azzittì, si voltò verso di lui, guardandolo con occhi vacui. Sbatté le palpebre, lo mise a fuoco, lo squadrò per qualche secondo. Senza una parola, si volse e riprese a camminare.
Lui stette qualche secondo immobile, cercando di contenersi. Poi la seguì, riprendendo a parlarle, continuando ancora e ancora, omaggiando la sua bellezza, lodando i suoi capelli e i suoi occhi e le sue mani, credendo di poter far breccia nel suo cuore, credendo di averla già conquistata, mentre vedeva il suo sguardo farsi più sognante. Come poteva immaginare che lei non lo sentiva più? Che non ricordava più neanche che lui le camminava accanto? Come? Lui era tanto convinto di non poter fallire da non immaginare neanche quanto impossibile fosse la sua vittoria.
Marc era un uomo cui piacevano le sfide. Non sapeva resistervi. Fossero carte, duelli o altro. E soprattutto gli piaceva vincere. Per questo, aveva fatto di tutto per entrare nelle grazie del barone di Montreil, per imparare a vincere. E già essere riuscito in quello era stata una vittoria, per lui. Accanto al barone aveva imparato come duellare, come giocare, come sedurre le donne. E molte ne aveva sedotte, nobili e contadine, paesane e cittadine, figlie di mercanti e di pastori, attirate dalla sua audacia o dai suoi modi affettati, conquistate dai suoi regali o ingelosite dalla sua indifferenza. Aveva sempre vinto le partite che voleva vincere. Ma, tutto sommato, le partite che aveva giocato erano sempre uguali, sempre riconducibili a un identico schema. Fino ad ora. Finché non aveva incontrato Oscar, la prima donna che non gli fosse caduta tra le braccia dopo il duo corteggiamento. Ma anche la prima donna a cercare qualcosa in più di bei regali o maniere che sapevano di nobiltà. La prima ad aver bisogno di qualcosa di speciale, perché speciale era lei stessa. la prima che Marc avesse incontrato ad aver avuto vicino qualcuno speciale. Ma lui non lo capiva, e continuava a sbagliare.
Aveva provato ogni tattica con lei, tutte quelle che conosceva, tutte, ma non avevano mai dato alcun risultato. Ma stavolta…stavolta era sicuro di riuscire. Quale donna non ne sarebbe stata felice? Una di quell’età poi! Certo era così triste perché ancora non aveva trovato marito. In più, non aveva più quell’espressione ostile negli occhi. Certo, Marc non poteva sapere che, in realtà, Oscar pensava ad Andrè, non a lui, con quella dolce luce nei suoi occhi. No, non poteva essere per nessun altro quello sguardo, ma lui non lo sapeva, e se lo avesse saputo non vi avrebbe creduto, ora che era così vicino alla vittoria.
- Mademoiselle, ho un pensiero per voi. Mi concedete di mostrarvelo.
Riscossa bruscamente dai suoi pensieri da quella frase, Oscar non lo guardò neanche, ma rispose nel tono più acido che potè trovare:
- Non sapevo sapeste pensare.
Lui decise di fingere di non capire. Trasse di tasca un piccolo astuccio, si piazzò davanti a lei col suo sorriso più smagliante.
- Guardate, mademoiselle, l’ho preso pensando a voi. Non avevo mai fatto una cosa del genere. – lo aprì, lentamente, lasciando scorgere un piccolo bagliore…una pietra, che catturava la luce dell’ultimo sole e la restituiva amplificata, montata su un piccolo cerchietto di metallo… un anello…quanto avrebbe voluto ricevere un anello, anche molto più semplice! Ma da ben altra persona, e in ben altro contesto…in lei crebbe l’ira…come osava?Come osava? Credeva forse di poter prendere il posto di Andrè? Credeva di potersi sostituire a lui? Di potersi anche solo paragonare a lui?
Marc non vide la furia crescente nei suoi occhi, sentì solo la sua risposta sferzante.
- Avevo ragione, dunque. Voi non sapete pensare. L’unica cosa che sapete fare è infastidire le persone, disturbare i loro pensieri e credere di fare delle brillanti osservazioni. Andatevene!
- Ma, mademoiselle… io… voi…- non sapeva come reagire. Il suo regalo non poteva non esserle piaciuto! Non poteva non essere gradito!
- SPARITE DALLA MIA VISTA, MALEDETTO! SIETE SOLO UN IDIOTA! VOI NON SAPETE NIENTE! NIENTE! – urlò lei. Ma Marc non era disposto a tollerare oltre.
- Come vi permettete? Sappiate che io sono l’attendente personale del barone di montreil!
- Ciò non vi nobilita affatto! Siete solo un verme che crede di poter passare per farfalla! Vi ho detto di andarvene!
- Credete di poter offendermi così impunemente? Che credete di essere? Dovreste farvi passare la boria! Siete forse una nobile, per parlarmi così?- la prese per un bracio, le sollevò il mento. – Potrebbe essere, i tratti li avete…
- lasciatemi stare! – urlò lei, divincolandosi. Lui le strinse maggiormente il braccio. Lei urlò di nuovo, ancora, cercando di liberarsi.
- Non mi toccate! Lasciatemi! Lasciatemi!
Lo colpì, un pugno al viso. Non aveva ancora perso tuta la sua forza, né la sua disperazione. Al primo pugno ne seguì un secondo allo stomaco, e fu come se picchiasse il soldato che aveva ucciso Andrè. Lui si piegò in due, mollando la presa.
- Maledetta! Tu hai il diavolo in corpo! – mormorò lui, dalla sua posizione. Oscar non rispose, riprendeva il fiato. Riportò, lentamente, il braccio lungo la vita. Lo contemplò per alcuni istanti, poi, d’improvviso, si voltò, riprese a camminare.
- Eh no, bellezza, non te ne vai così! – reagì lui, slanciandosele addosso. Oscar cadde sulla sabbia con un grido. Non era morbida come sembrava, no, era dura, e pungente.
Non attese di essere immobilizzata dal peso di lui, ma reagì subito, addestrata da anni di zuffe e combattimenti. Reagì, colpendolo in tuti i modi che le erano possibili, e gridando, gridando, fino a diventare quasi isterica, gridando senza un vero motivo, senza un’effettiva utilità, gridando solo per dare finalmente un piccolo sfogo a ciò che si portava dentro da settimane. Non poteva sapere che, lì intorno, qualcuno avrebbe sentito le sue urla, una persona che ogni giorno la seguiva, preoccupata, e che sarebbe stata richiamata all’istante dal sentire la sua voce.
Alain arrivò di corsa, vide il suo comandante liberarsi del peso del ragazzo e continuare a colpirlo e ad esserne colpita… ad esserne colpita…esserne colpita…colpita… Afferrò Marc con un urlo rabbioso, lo strattonò via, buttandolo sulla sabbia. Quello si rialzò, fissando l’uomo che giganteggiava su di li.
- Che le hai fatto, bastardo?
- Non sono affari tuoi.
- Sì che sono affari miei. Avanti, parla! – lo afferrò per la camicia, lo trasse a sé. – Cosa volevi farle?
- Io mi stavo solo difendendo. L’ho appena sforata, e lei ha iniziato a urlarmi contro e colpirmi, sembrava una gatta arrabbiata, che diavolo!
- E tu perché l’hai toccata? – e vedendo che l’altro taceva – perché l’hai toccata?
- Ehi, che diamine…?Adesso magari sarebbe anche colpa mia? Cos’è, la regina, che non può essere toccata?
- Non preoccuparti di chi sia lei, bada solo a non toccarla un’altra volta, se vuoi restare intero. Chiaro? – Alain lo scosse ancora, tenendolo sempre per il colletto. – Chiaro?
Oscar lo guadava, sedua sulla spiaggia, seguendo il corso dei suoi pensieri. Da un lato, ringraziava Alain per essere intervenuto, ma dall’altro…dall’altro…Dio, che ipocrita era! Lui, proprio lui, rimproverava un alro per averla toccata? Ma se era lo stesso desiderio che lei gli vedeva riflesso negli occhi, ogni giorno, ogni momento, e non solo il desiderio di un tocco amichevole, no!, lui aveva quasi lo stesso desiderio di Marc… certo, lo desiderava in modo diverso, ma la sostanza non cambiava. Lui voleva prendere il posto di Andrè nel suo cuore, nella sua vita, e nel suo letto…ma non ci sarebbe riuscito, lei non gliel’avrebbe permesso! Mai!…e, lo sapeva, a volte, la notte, si lasciava andare a quel desiderio…quante volte, mentre fingeva di dormire, l’aveva sentito entrare e sedersi sul suo letto, scostare lentamente il lenzuolo…sentiva il suo alito sul viso, sul corpo, sentiva il suo sguardo ardente, che la bruciava, la scottava, curioso, oltrepassando la camicia sottile, tanto sottile, troppo sottile, che rivelava più che celare… e sentiva le sue lacrime, dopo, i suoi singhiozzi disperati, le sue bestemmie contro il cielo, le sue preghiere a lei, che non si arrendesse, che continuasse a vivere, per lui, per loro, per la Francia, per qualsiasi cosa, ma che vivesse, vivesse, vivesse… E ora eccolo lì, pronto a pestare un uomo che l’aveva toccata…già, l’aveva colpita, l’aveva picchiata…aveva cancellato con i suoi pugni le carezze del suo uomo…le vecchie, che le aveva fatto con le sue mani, e le nuove, che aveva affidato al vento e all’acqua….e aveva cercato di prendere il suo posto…sì, sì, sì Alain, picchialo, pestalo, fa che non possa più muoversi, mai più, mai più, mai più… Ma Alain l’aveva lasciato andare, avvisandolo semplicemente di star lontano da lei, di non azzardarsi mai più a toccarla. Un avvertimento…un avvertimento…era più di quanto avesse avuto Andrè con lei…con quella pallottola maledetta. Perché lui doveva avere qualcosa in più di Andrè? Non gliel’avrebbe mai perdonato…Alain infliggeva un’altra ferita al suo cuore, con la lama dell’ingiustizia, ed era una ferita che lei non aveva mai saputo curare.
Ed ora si voltava verso di lei, si chinava davanti a lei, e lei gli vedeva in fondo agli occhi, riposto, quasi nascosto, il desiderio di toccarla, di prenderle la mano e aiutarla a tirarsi su…si ritrasse, come se lui la disgustasse, e vide la sofferenza, sul volto di lui, lampante per un istante, e poi subito repressa, nascosta, soffocata dal ragionamento.
- Va tutto bene, comandante Oscar? – si limitò a dire. E quando lei non rispose lasciò perdere, come sempre. – Venite comandante. È quasi ora di cena.
Lei rimase un momento a guardarlo, come indecisa, sempre con quello sguardo disgustato negli occhi, poi si rialzò, da sola, recuperò le sue scarpe, cadute poco lontano, si sistemò la giacca e cominciò a camminare. Non gli rivolse sguardo o parola, si limitò ad avviarsi, senza badare neanche a Marc, che osservava, beffardo, a qualche passo di distanza.
Ma vi badò Alain, a quel sorriso beffardo, e gli si avvicinò, col desiderio insopprimibile di cancellarlo, con i pugni se necessario, per sfogare il suo dolore per la reazione di Oscar.
- Quella donna è pazza, e tu lo sei peggio di lei, se continui a reggerle il gioco. Il suo posto è in un ospizio, con i pazzi come lei. – lo apostrofò Marc. Alain sorrise, amaramente.
- Una cosa l’hai azzeccata: lei è pazza. – gli rispose, e lo prese, nuovamente, per il bavero. – Ma non azzardarti a giudicare, bellimbusto, perché tu non sai com’era prima, non sai perché è impazzita, non sai niente di lei, niente. Quindi cerca di ricordarlo, e stai zitto, perché la prossima volta che ti becco a ronzarle intorno non te la cavi così.
- Ma che minacce, grand’uomo! Non mi fai paura! Non sei neanche in grado di farti rispettare da una donna.
- E io ti ripeto soltanto di non giudicare gli altri, piccolo insetto che crede di essere importante. Tu non sai niente. Accetterò il tuo giudizio solo quando avrai imparato cosa significa soffrire per gli altri. – lo spinse via, si volse e seguì il suo comandante, nella luce dorata del tramonto, come aveva già fatto prima e avrebbe continuato a fare.
 

[continua]

                                                                                                                                Illy
 
 

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