In tutte le sue passeggiate,
non le era mai capitato di incontrare delle pattuglie. Rimase così
un po’ sorpresa quando si ritrovò di colpo in mezzo a dei soldati.
Una mezza dozzina circa. Indossavano un’uniforme che lei aveva visto da
quando era bambina e seguiva suo padre in mezzo ai suoi soldati. Erano,
per lei, tutte facce sconosciute. Tutte, tranne una.
Il vecchio De LaFère
l’aveva conosciuta fin da bambina. Era uno degli uomini di fiducia di suo
padre e le era stato spesso citato come esempio. Era sempre stato nel reggimento
del generale Jarjayes e credeva che sempre vi sarebbe stato: era uno dei
suoi più fedeli collaboratori. Per questo era sicura di ciò
che sarebbe successo. Per questo era sicura che finalmente avrebbe ottenuto
ciò che più voleva.
Non si era accorta di star
camminando verso quei soldati, e i suoi uomini non li avevano notati. Erano
quasi alla fine del loro turno, e si stavano preparando a dividersi perché
uno guidasse i compagni verso il loro comandante.
De LaFère (1),
invece, si era accorto di lei, si era accorto che lei non li aveva notati
e si stava dirigendo verso di loro, inconsapevole. Aveva avvertito gli
altri. si erano distanziati, pronti a prenderla in mezzo. Con un gesto,
aveva mandato uno ad avvertire il generale, qualche isolato più
in là. Non era lontano, sarebbe arrivato in breve tempo. Forse,
troppo breve.
Era avvenuto tutto in pochi
istanti.
Oscar non si era accorta di
nulla.
I suoi soldati non si erano
accorti di nulla, se non quando era stato troppo tardi.
I soldati della Corona erano
pronti. Oscar camminava verso di loro. Ormai era accerchiata, senza che
loro dovessero fare alcunché. Fu tutto molto semplice. Nessun combattimento,
nessun sguainare di spade, nessun ferito. Oscar si ritrovò davanti,
improvvisamente, De LaFère che le sbarrava il cammino, col
cappello in mano.
Gli altri si erano avvicinati
in quattro passi, circondandola.
Oscar si fermò, guardando
De LaFère. Sorrise. Si ricordava di tante volte…
Tante volte in cui l’aveva
presa sulle ginocchia e le aveva portato qualche dolce, ben conoscendo
la sua golosità.
Suo padre non ammetteva che
lei fosse golosa. Lo considerava un vizio indegno di un soldato. Ma De
LaFère continuava imperterrito a portarle dolci, rispondendo
che un ufficiale deve essere un gentiluomo, consapevole e in grado di apprezzare
i propri privilegi. Le sembrava di sentirlo nuovamente, mentre rispondeva
a suo padre:
“De Jarjayes, voi state educando
Oscar perché diventi un soldato degno della tradizione della vostra
famiglia, ma non dimenticate che è anche un nobile. Un nobile deve
saper apprezzare i privilegi propri della sua condizione, quei privilegi
che lo differenziano da un popolano. Ebbene, tra questi privilegi rientrano
anche i dolci.” Dopo questa tirata suo padre sorrideva e le permetteva
di mangiare il dono, che lei divideva quasi sempre con Andrè… Andrè…
una fitta di dolore le serrò il cuore, mentre il pensiero tornava
a lui. Per un attimo il sorriso dal suo volto scomparve, lasciando intravedere,
attraverso l’ennesima maschera che si era costruita, la desolazione che
era in lei. Ma non fu che un attimo. Subito la consapevolezza della propria
morte vicina, oh quanto vicina, le riaccese negli occhi la speranza e le
fece rifiorire sul viso quel piccolo sorriso.
Ironia della sorte! Da bambina,
aspettava con ansia le visite di De LaFère, sapendo che le avrebbe
portato quel che desiderava. Ora, anche ora, lo sapeva, le stava portando
in dono ciò che lei aspettava, e che le era stato negato.
Le portava un occasione per
morire. Morire, e raggiungere Andrè.
Sorrise, guardandolo con la
stessa luce di aspettativa con cui lo guardava da bambina. Quel sorriso,
era il primo di vera felicità che le spuntava sulle labbra dalla
morte di Andrè. De LaFère vide quel sorriso, e ne rimase
turbato. Non era logico, sulle labbra di un condannato a morte come lei.
Non si intonava con la consapevolezza di esserlo che leggeva nei suoi occhi.
Non poteva esserlo. No, non poteva, a meno che lei non volesse veramente…
ma quell’eventualità era peggiore di qualsiasi altra.
Dovette deglutire più
volte, prima di riuscire a parlare.
- Buongiorno, madamigella Oscar.
Felice di rivedervi.
- Mai quanto me, De LaFère.
Mai quanto me. - fu l’inquietante risposta.
- Spero siate in buona salute.
- quei convenevoli erano più adatti a un ballo che a quella situazione.
Il tono in cui erano pronunciati, si sarebbe adattato meglio ad un elegante
salotto, a degli abiti eleganti, che a quella strada e quelle divise sporche,
strappate.
- Non mi lamento, monsieur.
Tuttavia, credo che starò meglio tra poco. - scherzava sulla propria
morte, consapevole di farlo, decisa a farlo, contenta di farlo.
- Già, credo anch’io,
Oscar. - allibito, non sapeva che rispondere. Possibile che…? - Ma giuro
che mi dispiace. Non avrei mai pensato che sarebbe finita così.
Sì, mi dispiace veramente.
- A me no, De LaFère.
A me proprio no. - rispose Oscar, accentuando il suo sorriso. - Dov’è
il generale?
- Vostro padre?
Ci fu un attimo di silenzio.
Oscar lo guardava. Scosse la testa.
- Non è più mio
padre, De LaFère. Ho rinunciato alla nostra parentela, quando ho
rinunciato al mio nome per unirmi al popolo. - rispose lei, con un sorrisetto.
- Sta arrivando, sarà
qui tra pochi minuti.
Lei annuì.
- Vi dispiace se intanto mi
siedo?
- No, naturalmente. Sedetevi
pure.
- Vi ringrazio, De LaFère.
- si sedette, poggiando la schiena al muro. - Non pensate di starvi comportando
un po’ troppo gentilmente con me? Io ve ne sono grata, ma voi rischiate
un’accusa di tradimento. Io sono una traditrice, per l’esercito e per la
monarchia. Sono sospettabili tutti coloro che hanno o hanno avuto rapporti
con me. - De LaFère sorrise, ironico.
- Sospettato? l’ufficiale che
vi ha catturato? Andiamo! E solo per avervi permesso di sedere? Ma quello
è una garanzia per me! Un nemico seduto non scappa! Ma non temete,
- continuò, senza lasciarle il tempo di rispondere - so fino a dove
posso spingermi. Il mio affetto per voi è abbastanza perché
vi parli gentilmente, ma non vi permetterò di fuggire. Starò
bene attento a non darvene la minima possibilità.
Quelle parole avrebbero dovuto
essere minacciose, almeno fredde. Avrebbero dovuto provocare in lei una
qualche reazione di spavento, almeno di preoccupazione. E invece…
Oscar scoppiò in una
risata. Alta, penetrante, acuta.
Scosse De LaFère, fino
al midollo.
Scosse i soldati che l’avevano
catturata, che credettero di stare guardando una pazza.
Attirò l’attenzione
dei suoi uomini, che stavano discutendo. Si interruppero. Si voltarono.
Si accorsero della situazione con uno sguardo.
- Merde! - disse uno - questa
non ci voleva! Presto, vai a chiamare gli altri!
Non ci furono obiezioni, discussioni
inutili. L’altro partì come un razzo verso il loro campo. Più
veloce che poteva, perché un minuto guadagnato poteva cambiare tutto.
Rischiavano di perdere definitivamente il loro comandante. Comandante,
e molto di più.
La risata finì bruscamente
come era iniziata. Oscar si appoggiò all’indietro, sorridendo ironicamente.
- Non temete, conte. Non ho
alcuna intenzione di fuggire. Non ho proprio la minima intenzione di far
qualcosa per evitare la mia sorte. - ripeté lentamente, mentre il
suo sorriso si distendeva.
I suoi carcerieri erano sbalorditi.
Il suo soldato, all’angolo
della via, era rimasto di sasso.
Oscar non voleva fuggire… quindi…voleva…
morire…
Non riusciva a capacitarsene.
Possibile che la sua disperazione l’avesse portata a tal punto? Possibile
che nessuno, nessuno se ne fosse accorto?
Quelle parole avevano colpito
De LaFère al cuore. Voleva bene ad Oscar. Per lui era ancora la
bambina che frugava nelle sue tasche alla ricerca delle caramelle. Ora,
lo sguardo tranquillo e il sorriso ( soddisfatto? realizzato? aveva la
luce di chi vede la felicità che l’aspetta appena si sarà
liberato del suo involucro di carne) con cui aveva accompagnato quelle
parole, gli avevano fatto sorgere mille pensieri e mille emozioni, ma i
predominanti erano la costernazione… e una domanda, “Perché vuole
questo? Cosa le è successo?”
Non ebbe il tempo di arrovellarsi
alla ricerca di una risposta. Proprio in quel momento arrivò il
generale, condotto dal soldato che aveva mandato a chiamarlo. Il suo viso
era scuro e indecifrabile. Covava una grande emozione dentro di sé,
ma non dava ad intendere quale fosse.
Oscar sorrise, al vederlo,
e si alzò in piedi. Per qualche momento si fronteggiarono in silenzio,
lui truce e cupo, le mani serrate, lei calma, quasi sorridente. Sentiva
avvicinarsi sempre di più il momento della sua ricompensa.
Lui. Lui non vedeva il suo
sguardo. Non vedeva il suo lieve sorriso. Non vedeva la sua divisa macchiata
e rammendata. Vedeva solo che lei era lì, di nuovo. Aveva sperato
che morisse, prima che fosse catturata. Aveva sperato che fuggisse, dopo
che era stata catturata. Aveva sperato tante cose, prima e dopo, ma soprattutto
aveva sperato di non trovarsi in quella situazione. Aveva sperato di non
dover essere lui a colpire lei, quella figlia su cui aveva riposto tante
speranze… quella figlia tanto odiata quando le aveva infrante…eppure tanto,
tanto amata, ancora, nonostante tutto, nelle profondità del suo
cuore.
E poi, d’improvviso…
Oscar quasi non se ne accorse.
Del resto, l’aveva messo in conto. Suo padre aveva usato quel gesto su
di lei tante altre volte, nella sua giovinezza. Era la cosa più
logica, che anche in quel caso reagisse in quel modo. E quel gesto, che
tante volte aveva risvegliato in lei rabbia, ribellione, o semplicemente
tristezza, ora le dette solo quella sicurezza che lei cercava.
Uno schiaffo. Veloce, deciso,
improvviso. Come tutte le altre volte, l’aveva gettata a terra. Suo padre
era vecchio, ma lei era malata… malata e quasi priva di forze.
- E adesso, cosa vorresti che
facessi, sciagurata? - le chiese, la voce fredda, piatta, incolore. - Cosa
ti aspetti che faccia?- le urlò in faccia.
Lei si rialzò a sedere,
lentamente, sostenendosi con le braccia. Lo guardò in faccia e rispose,
tranquilla, la stessa tranquillità che aveva avuto parlando con
le dame di Versailles:
- Che mi uccidiate.
Calmo, lapidario, fulminante.
Il generale ci restò
di sale.
Oscar si alzò del tutto.
Ripeté, calma all’inizio, agitandosi man mano che parlava.
- Mi aspetto, e desidero, che
voi mi uccidiate. Avanti, non credo che le vostre intenzioni siano così
lontane dalle mie parole! Sono una traditrice, ho gettato il disonore sulla
vostra famiglia. Devo morire, non c’è altra possibilità per
riparare a questo. Uccidetemi, padre. Avanti, uccidetemi. Per una volta
che vogliamo entrambi la stessa cosa… avanti, uccidetemi subito, nessuno
vi biasimerà per questo, anzi, sarete lodato!
Lui l’aveva per le spalle,
scotendola, scioccato, dimenticandosi cos’era diventata, cosa aveva fatto.
- Oscar! Cosa stai dicendo?
Oscar? Oscar!
Lei continuava a parlare. L’aveva
afferrato a sua volta per le spalle, implorandolo.
- Uccidetemi, padre, vi prego!
Uccidetemi! Voglio morire, sono stufa di vivere! Vi prego, vi supplico!
Scoppiò in lacrime.
Suo padre si fermò. La guardò un istante. Stentava a riconoscerla.
La figlia ribelle e testarda, decisa e coraggiosa, la figlia che aveva
sempre conosciuto, il figlio che aveva sempre avuto in lei…dov’era? Non
riusciva a ritrovarla in quella creatura che lo supplicava di ucciderla.
Era dimagrita, e chiaramente debole, questo si vedeva, ma c’era di più.
Era distrutta, distrutta dentro. La abbracciò, incurante di tutto.
Si guardò attorno, da sopra la sua testa dorata. Se Oscar era lì,
allora avrebbe dovuto esserci anche…
- Dov’è Andrè?
- le chiese.
- È morto - rispose
lei tra le lacrime, e continuò a ripetere, come una cantilena pesante
e ossessiva - morto, morto, morto, morto…-
- E… tu… vuoi…- esitava. Cominciava
a capire. Forse. Lei gli rispose violentemente.
- Io voglio raggiungerlo! Non
posso stare senza di lui!
- Oscar…
- Io voglio morire! Lo capite?
Io voglio morire!
In quel momento, un urlo, un
rumore di passi in corsa:
- Lasciala stare!
Oscar si staccò dal
padre, stupita e indispettita. Quella voce… possibile?
Venne un altro urlo:
- All’attacco, soldati della
guardia!
- Alain, perché è
qui?- ebbe appena il tempo di mormorare. I suoi soldati irrompevano vociando
nella strada, le armi in pugno, le baionette innestate.
Il generale smise di essere
un padre, tornò ad essere un soldato, un generale. Nello spazio
di un secondo…
…lanciò un’occhiata
a sua figlia, che era tornata ad essere, per lui, un ufficiale disertore.
Sul suo volto vide lo sgomento, lo stupore, il disappunto.
…lanciò un’occhiata
ai soldati ribelli. Sui loro volti vide la devozione, la rabbia, la ferocia.
…lanciò un’occhiata
ai suoi uomini. Pochi. Erano troppo pochi. E consci di questa inferiorità.
Nei loro occhi vide la paura.
Diede un ordine, anche se non
avrebbe voluto. Ma gli ordini erano di evitare gli scontri. E l’avrebbero
evitato.
- Soldati! Fermi ai vostri
posti! Non reagite!
Si rivolse ad Oscar.
- Sono i tuoi uomini?
Lei annuì.
- Allora fermali. Non vogliamo
combattere.
Lei lo guardò un attimo.
Alzò una mano. Alzò la voce.
- Soldati della guardia, fermatevi!
Non c’è bisogno di combattere ancora.
Appena in tempo. Ormai avevano
percorso quasi tutta la via (2).
Si fermarono, le armi ancora
in pugno, pronti a slanciarsi all’attacco.
Il generale si portò
davanti a loro, le mani sui fianchi, le gambe divaricate.
- Ebbene, che cosa volete?
Come giustifichereste questo attacco? Il re è in pace con l’Assemblea
Nazionale. Non c’è giustificazione!
Gli rispose una voce, dal gruppo.
- Poche storie! Lascia il
nostro comandante e vattene!
- È mio prigioniero!
Non sarò tanto vigliacco da consegnarvelo così!
Due uomini si affiancarono
ad Oscar incrociando i loro fucili davanti al suo petto, più per
i soldati della Guardia che per lei.
Oscar…
Oscar guardava i suoi soldati,
senza dire niente, senza fare niente.
Oscar guardava i suoi soldati,
senza pensare a niente.
Oscar guardava i suoi soldati,
ma non vedeva niente.
Sentiva la febbre salire, la
febbre, sintomo di quella malattia che la stava portando via, che le toglieva
la forza di pensare e di agire.
Sentì Alain che parlava,
che rispondeva a suo padre. Il suo tono era quello che aveva usato anche
con lei, all’inizio, quando ancora non la conosceva.
- Davvero, bello? Non sarai
tanto vigliacco da consegnarci il nostro comandante. Perché permettere
a qualcuno di vivere è un atto di vigliaccheria, giusto? Ma di sicuro
saresti stato abbastanza vigliacco da uccidere tua figlia, non è
vero?- terminò in un soffio.
Alain era avanzato, piazzandosi
davanti al generale, le mani sui fianchi, le gambe divaricate.
Si fissarono negli occhi per
alcuni, lunghi istanti, ognuno di loro lesse negli occhi dell’altro, nella
mente dell’altro, nel cuore dell’altro.
Il generale vide negli occhi
di Alain la devozione, la rabbia, la determinazione, e l’amore, sì,
l’amore per sua figlia.
Alain vide negli occhi del
generale il dolore, l’orgoglio, l’affetto, la determinazione.
- Allora? Vorresti forse negarlo?
Non l’avresti forse uccisa, o consegnata alla corte marziale? Sì,
sì che l’avresti fatto, lo sappiamo tutti e due. Ma, purtroppo per
te, adesso siamo qui noi, e se vuoi tornartene alla tua accidenti di villa
tutto intero, farai meglio a lasciarla subito e a non rompere con le tue
stronzate sul coraggio e sulla vigliaccheria.
Aveva iniziato calmo, Alain,
calmo quanto potevano permetterglielo la sua rabbia e il suo temperamento.
Aveva cominciato calmo, ma non si era potuto trattenere, e man mano che
parlava il suo tono di voce si era alzato, arrivando quasi ad urlare.
Si guardarono ancora, a lungo.
Una lotta fra volontà. Una lotta tra sentimenti.
Fu il generale a cedere. Senza
staccare gli occhi dagli occhi di Alain, diede un ordine.
- Soldati! Lasciate il prigioniero
e ritiratevi.
Tutti respirarono, lasciarono
andare l’aria che fino allora avevano trattenuto.
I soldati ubbidirono, dopo
un attimo di esitazione. Si scostarono dal fianco di Oscar, lasciandola
libera. Cominciarono ad indietreggiare, lentamente, senza voltarsi.
Il generale distolse lo sguardo
da quello di Alain. Guardò dietro di sé. De LaFère
lo stava aspettando. Oscar era ancora immobile, lo sguardo appannato e
perso nel vuoto, il volto che passava dal rosso più acceso al pallore
più assoluto.
Diede un ultimo sguardo ad
Alain. Lui, duro, impassibile, ricambiò.
Si volse, se ne andò,
lentamente. De LaFère lo seguì, con calma, senza mai voltarsi
indietro. Nessuno dei due. E quella, fu l’ultima volta che Oscar vide suo
padre.
I soldati ribelli aspettarono
che fossero spariti dietro l’angolo, poi si precipitarono attorno ad Oscar,
chiamandola, sommergendola di domande.
- Comandante! Comandante Oscar!
State bene, comandante? Com’è successo, comandante? Comandante…comandante
Oscar…comandante?
La febbre le annebbiava la
mente, le ottundeva i sensi. Quelle voci le scivolavano addosso senza che
lei le sentisse. La sua mente rifletteva su ciò che aveva sentito
poco prima. Nella voce di Alain, filtrata dalla nebbia della febbre, aveva
colto dei toni nuovi, che prima le erano rimasti celati. Dei toni che erano
molto simili, troppo simili, a quelli di Andrè.
“Possibile- si chiese- possibile
che Alain mi ami?”
ma questo pensiero non le dava
alcuna gioia. Anzi, aumentava la sua pena, perché sapeva di non
amarlo, e di non poterlo amare, perché sapeva che per questo avrebbe
sofferto.
Si accorse che qualcuno la
stava scotendo. Tornò alla realtà, ricacciando le lacrime
che stavano per sgorgare.
Tentò di pensare, di
ritrovare la ragione persa nella nebbia della febbre. Vide il volto di
Alain davanti al suo. Erano le sue mani che le stringevano le spalle, le
sue braccia che la scuotevano. Perché la toccava? Non voleva essere
toccata, non voleva che altre mani ancora cancellassero dalla sua pelle
il ricordo delle carezze di Andrè.
- Lasciami. - mormorò.
Alain non capì. Si fermò, continuando a tenerla per le spalle.
- Cosa avete detto, comandante?
- le chiese.
- Lasciami, ti ho detto di
lasciarmi! Non mi toccare! - urlò, liberandosi della sua stretta
con uno strattone. Vacillò. Venti e più mani si protesero
per sorreggerla.
- Non mi toccate! - urlò,
uscendo dal cerchio dei suoi uomini. Si appoggiò al muro, ansimante.
I soldati le si avvicinarono, preoccupati.
- Comandante, che vi succede?
- le chiesero.
- Non voglio essere toccata.
Non voglio che nessuno mi tocchi! - rispose, la voce che si alzava e si
abbassava, gli occhi brillanti di una scintilla sconosciuta.
Alle sue parole seguì
un lungo silenzio. Tutti cercavano di capire cosa le stesse succedendo.
- Perché? Perché
siete venuti? Perché non mi avete lasciata morire in pace? - poco
più di un sussurro, la sua voce ruppe il silenzio, spezzando contemporaneamente
in mille pezzi la mente dei suoi uomini. Poche parole, più devastanti
di una scarica di cannoni.
- Co…comandante Oscar! Cosa
state dicendo?- Alain. Stupito. Distrutto. Incapace di ragionare. Stese
istintivamente le mani, per toccarla, forse per assicurarsi che non fosse
un’allucinazione. Non fece in tempo. Oscar lo aggredì, violentemente,
con le poche forze che le rimanevano.
- Non mi toccare! - si spinse
ancora di più contro il muro. Passarono i secondi, nessuno fece
nulla. Lei, sfinita, si appoggiava al muro, cercando di riprendere fiato.
Loro interdetti, non osavano fare niente, temendo di provocare un altro
scoppio.
Improvvisamente, fu lei a parlare.
- Comunque, è stato
inutile. Ormai, sono condannata. Due, tre mesi, e niente più Oscar
François!- scoppiò in una risata. Sadica, cattiva. Soddisfatta.
Non aveva mai riso così. Mai, in tutta la sua vita.
- Spiegatevi, comandante! Cosa
volete dire? Non vorrete…- una voce, dal gruppo. Paul? Marc? Jean Luis?
Uno di loro, certamente. Alain non voleva, non poteva pensarci. Non voleva
riflettere su quel piccolo, inutile particolare. Ma la sua mente si aggrappava
a quel futile ragionamento, fuggendo da quello che gli stava rivelando
Oscar, ripetendolo ossessivamente, quasi volesse cancellare in tal modo
quella situazione che la sua mente non voleva accettare.
Ma Oscar continuò a
parlare, sempre con quel tono soddisfatto.
- No, oh no, non ho abbastanza
coraggio per uccidermi. - rise, amaramente. - Ci ho tentato, ma non
ce l’ho fatta. Poi, quando mi sono ritrovata in mezzo a quei soldati…credevo
che Dio avesse finalmente avuto pietà di me. Ma siete arrivati voi…
Beh, pazienza -scrollò le spalle- mi sarei risparmiata qualche mese
di sofferenza…la febbre che sale, le forze che diminuiscono ogni giorno
di più, la tosse che si fa sempre più forte, che fa sputare
sempre più sangue, la costrizione a letto, il delirio, l’agonia…
Ma non importa… lo sapevo, lo sapevo già, non mi importa. La tisi,
porta alla morte, solo questo conta. - parlava con un tono strano, disincantato,
terribilmente pratico, ma al contempo così sognante, il suo sguardo,
così perso nel vuoto, e il suo lieve sorriso, mentre elencava gli
orrori che l’aspettavano, così maledettamente felice…
Alain non poteva sopportarlo.
Per l’ennesima volta in poche
settimane, sentiva il mondo crollare intorno a lui. Possibile che lei fosse
arrivata a questo punto? Possibile che lui si fosse ingannato così?
Che fosse stato così cieco? E perché quella reazione al loro
tocco? Perché non voleva essere toccata? Cos’era quella luce nel
suo sguardo?
Deglutì. Cercò
di ragionare. Parlò, con calma. Senza minimamente accennare a toccarla.
- Venite comandante. Meglio
non stare qui, torniamo al campo.
Oscar annuì. Si staccò
dal muro, evitando accuratamente di toccarli.
- Sì, è vero,
andiamo. - s’incamminò, precedendoli, ma dopo pochi passi fu costretta
a fermarsi, scossa da un attacco di tosse che la fece piegare in due.
Loro restarono a guardare.
Avrebbero voluto andare da lei, aiutarla a rialzarsi, ma lei non voleva
essere toccata, non voleva essere aiutata. Alain le si avvicinò,
cauto, non sapendo come sarebbe stata accolta la sua domanda.
- Comandante Oscar? Tutto bene?
Ce la fate?
- Sì… sì Alain,
non preoccuparti, va tutto bene. - rispose lei rialzandosi. Riprese a camminare,
e loro ripresero a seguirla, mentre, lentamente, la verità cominciava
a farsi strada in ognuno di loro. Verità sgradevole e fastidiosa,
ma verità.
Verità che pesava come
un macigno sul cuore di due uomini fermi lì, dietro l’angolo della
strada, ad ascoltare quello che succedeva, a sentire dalla bocca di quella
bambina ormai cresciuta quello che aveva sempre taciuto a tutti, e a capire
ciò che lei non poteva dire, ma che si sentiva in tutte le sue parole.
Soprattutto uno, il più vecchio, era distrutto da ciò che
aveva sentito. La sua bambina in fin di vita, malata nel corpo e nell’anima.
Quello che aveva sentito lo schiacciava col rimorso, per tutte le parole
non dette, tutti i gesti non compiuti quando ancora c’era tempo. La verità
lo aveva annientato. E in questo, era uguale ai soldati della Guardia.
Un nobile, uguale a dei popolani.
Nei loro cuori, il dolore.
Nelle loro menti, il silenzio.
Nelle loro anime, la costernazione.
Nei loro occhi, un’immagine
che non svaniva.
Nelle loro orecchie, l’eco
di una parola non detta.
Pazza.
(1)
Liberamente preso da I Tre Moschettieri di Dumas. So che secondo Dumas
quella famiglia si estingueva, ma qualche parente, o qualcuno disposto
a comprare quel titolo, ci sarà pur stato, no?
(2) Si
sarà notato che è una strada alquanto lunga…
Fine 5° parte
Illy