Quando si svegliò, la
prima cosa che vide emergere dalla nebbia fu la parete del muro, bianca
e ruvida e fredda. Cercò di aprire la bocca, ma era talmente impastata
e secca che fu una sensazione quasi dolorosa, quanto il mal di testa che
lo aggredì di soppiatto. Si sollevò a sedere sul letto e
si prese la testa tra le mani, cercando di mettere a fuoco il campo visivo.
Naturalmente, quello non era il suo letto; non dormiva a casa da almeno
tre giorni. Le lenzuola erano altrettanto ruvide e fredde sul suo corpo
nudo. Cominciò a massaggiarsi le tempie, ma quel dolore pulsante
rendeva impossibile formulare un solo pensiero sensato. Si girò
piano e vide una sagoma al suo fianco. Sollevò lo sguardo fino alla
testa appoggiata al cuscino, coperto da lunghi capelli color del miele.
Allungò una mano e sfiorò la pelle della ragazza, ma non
appena il calore del contatto si fece percepibile la ritrasse e sgusciò
fuori dal letto. La stanza ondeggiò, ma lui mantenne un saldo controllo
del proprio stomaco e si trascinò verso lo specchio.
Fissato malamente alla parete
e attraversato da una lunga crepa, quest’ultimo gli restituì un
volto stropicciato dal sonno e disgustosamente malridotto. Appoggiò
la fronte a quella del suo gemello dall’altra parte e, sorridendo a fatica,
mormorò a se stesso un flebile e sarcastico “Buongiorno..” Immerse
le mani nella bacinella di ceramica colma d’acqua gelida e si sciacquò
il viso e la bocca. Miliardi di spilli gli punsero la pelle e avvertì
un sapore strano, che non aveva niente a che fare con l’alcol.
Frammenti della notte precedente
cominciarono a ricomporsi nella sua mente come un delirante mosaico.
***
“Amico, tu hai bisogno di qualcosa
che ti distragga!”
“Già, forse hai ragione..”
mormorò sistemandosi il berretto in testa.
“E io conosco il posto che
fa per te, anzi... per noi!” ammiccò il gigante. Era incredibile
come un corpo tanto massiccio potesse convivere impunemente con un sorriso
tanto fanciullesco e ingenuo. L’insieme era quasi spaventoso, poichè
non era mai chiaro quale dei due elementi avrebbe preso il controllo l’attimo
successivo. Il suo nuovo amico era imprevedibile come il cielo in certe
stagioni dell’anno, quando il sole esce all’improvviso da dietro un temporale
o la pioggia sorprende nel bel mezzo di un pomeriggio caldo e assolato.
Aprì la porta della
locanda con un gesto deciso, come se fosse casa sua, e in effetti vennero
accolti da una selva di saluti e inviti a sedersi al tavolo, a giocare
a carte, a baciare labbra invitanti. Per la maggior parte erano soldati
come loro, le uniformi sbottonate o gettate alla rinfusa ai piedi delle
sedie. Si diressero al bancone attraversando la stanza fumosa, presero
il primo boccale e trovarono un tavolo lontano dal caos, per quanto possibile.
“Allora, non vuoi proprio dirmi
che cosa ti tormenta?” chiese Alain al secondo boccale scolato in silenzio,
in netto contrasto con l’ambiente che li circondava.
“Non mi tormenta niente, te
l’ho già detto”, rispose il compagno, mentre con un cenno della
mano richiamava l’attenzione dell’oste per un terzo boccale.
Alain si allungò sulla
sedia e piazzò i piedi sul tavolo, incrociando le braccia dietro
la testa.
“Come vuoi”, annuì pensieroso.
“Beh, spero almeno ne valga la pena.”
Andrè vuotò il
boccale in un fiato e lo sbattè sul tavolo, chiedendone un altro
a gran voce.
La ragazza che gli stava davanti
era bionda, lunghi capelli color del miele, luminosi, che ricadevano sulle
spalle e la schiena in onde pesanti e voluttuose. Bionda, certo, l'aveva
colpito anche per quello. Quando poi aveva catturato il suo sguardo, mentre
recuperava i bicchieri vuoti dal tavolo, il desiderio appena abbozzato
era diventato una certezza. Occhi turchesi e maliziosi, luccicanti. Non
freddi e taglienti, non muti e spaventati, non di quel punto d’azzurro
che nessun pittore avrebbe mai saputo riprodurre in maniera adeguata. Ma
potevano bastare, per quella notte.
Bastavano sempre.
"Bel soldato, tienimi con te",
aveva detto prendendolo per mano e costringendolo ad alzarsi sulle gambe
malferme. Dopo il terzo boccale aveva smesso di contarli e, nonostante
si ritenesse un buon bevitore, eccellente anzi, ai limiti del patologico,
le pareti del salone sembrarono allungarsi a dismisura, una parodia dei
sotterranei della città, e fu costretto appoggiarsi al corpo della
ragazza. Anzi, per essere precisi le crollò addosso, stringendo
le sue curve in un goffo abbraccio che i nuovi compagni interpretarono
subito come un approccio diretto e sfrondato degli inutili preliminari.
"Aspetta almeno di raggiungere
la camera, ragazzo", aveva gridato uno dei veterani battendosi una mano
sulla coscia, e Alain e gli altri erano scoppiati a ridere. Gli avevano
affibbiato pacche vigorose sulle spalle e commenti da caserma si erano
mescolati alle risate quando lei lo aveva trascinato verso le scale che
conducevano al piano superiore della taverna.
"Hai capito il falegname! Sono
anni che cerchiamo di farci Isabelle e lui se la porta a letto al primo
colpo!"
"Dacci dentro, ragazzo, e non
fare complimenti se hai bisogno di una mano!"
Lui aveva sorriso distratto
a tutto quel chiasso, concentrato com'era a non perdere l'equilibrio e
rovinare a terra.
"Isabelle!" Dal fondo del bancone,
Alain le strizzò l'occhio. "Trattalo bene, è un mio amico!",
disse sollevando un bicchiere colmo di birra e rovesciandone buona parte
sull'uniforme. Isabelle annuì e passò una mano dietro la
nuca del ragazzo, avvolgendo il suo volto in un bacio che scatenò
gli spettatori del Vieux Grenier.
Fischi, grida, applausi e sedie
rovesciate esplosero nella stanza fumosa, accompagnati da bicchieri che
si infrangevano al suolo. Isabelle assaporò quella bocca centimetro
per centimetro, compiacendosi dell'immediata, violenta risposta che ricevette,
quindi staccò le labbra e rivolse ad Alain uno sguardo languido
e trionfale. Il ragazzo rise forte, e lei si unì a quella risata
rovesciando il capo all'indietro, una cascata di luce nella penombra delle
scale. Era un suono sguaiato, ma anche cristallino e caldo, sincero, perfino.
Da quanto tempo non sentiva
ridere a quel modo, pensò Andrè. E quanto tempo era passato,
dall'ultima volta in cui lui stesso aveva riso? Stringendo saldamente la
mano fredda di Andrè, la ragazza fece di corsa gli ultimi gradini
che la separavano dal secondo piano.
Isabelle chiuse la porta a chiave
e si appoggiò alla parete, osservando attraverso gli occhi socchiusi
il ragazzo seduto sul letto, che si stava togliendo la giacca dell'uniforme.
I rumori della sala al piano inferiore giungevano adesso attutiti, risate
e bestemmie e tavoli rovesciati. Qualcuno doveva aver barato di nuovo,
si disse, e Alain lo stava conciando per le feste. Alain, Alain! chi diavolo
è questo tizio che da giorni ti segue come un cucciolo sotto la
pioggia? E' diverso da noi, Alain, le mani, il portamento, come fai a non
accorgertene?
Con un fruscio di gonne si
avvicinò al letto e si piazzò davanti ad Andrè, che
finì di togliersi gli stivali e le rivolse uno sguardo incerto.
Isabelle gli sfiorò
la fronte, scostando la ciocca di capelli corvini che gli copriva l'occhio
destro. Andrè fu tuttavia molto più rapido, afferrandole
il polso e bloccando il movimento prima che lei potesse scorgere la cicatrice.
Nessuno l'aveva vista, e nessuno doveva vederla.
Come se potesse fare qualche
differenza, pensò acido.
"Infatti, non fa alcuna differenza."
Andrè si riscosse. "Ho visto di peggio, credimi", proseguì
Isabelle con una nota divertita e Andrè capì di aver pronunciato
l'ultima frase ad alta voce. "Hai un bellissimo viso." La voce della ragazza
si era fatta più dolce e suadente, e le sue dita si intrufolarono
di nuovo tra i capelli neri e di nuovo scostarono la ciocca. Questa volta
Andrè non la trattenne.
"Tutto qui?"
Andrè sorrise. L'occhio
perduto, il viso sfigurato, una vita che se ne andava in pezzi giorno dopo
giorno. Una furia che si annidava nel profondo del suo cuore, del suo ventre,
impedendogli a volte di respirare, prendendo il controllo delle sue azioni
e dei suoi pensieri, una donna bellissima e intoccabile che l'aveva improvvisamente
lasciato solo, una donna che avrebbe voluto prendere a pugni, come tanti
anni prima sulle rive di un fiume tranquillo, per scuoterla dal torpore
che l'affliggeva e liberarsi finalmente della catena che lo teneva legato.
Tutto qui, mi chiedi? "Tutto
qui", confermò.
"Mi piace", disse lei seguendo
con la punta del dito il percorso della cicatrice. "Ti dà un'aria
più adulta."
Una risata ironica uscì
dalle labbra di Andrè, e la ragazza lo spinse via con violenza,
mandandolo a cadere sul materasso. Sdraiato sulla schiena, Andrè
continuò a ridere per qualche secondo.
"Reagisci sempre così
agli apprezzamenti?" chiese Isabelle. "Voi soldati della Guardia siete
tutti uguali, anche dietro un bel faccino come il tuo si nasconde uno stronzo
qualsiasi." Fece per allontanarsi ma Andrè le afferrò la
mano e la trattenne vicino al letto. Il movimento brusco le fece perdere
l'equilibrio, e Isabelle finì sul torace nudo del ragazzo.
"Scusami", disse lui tra i
suoi capelli. "Non sono abituato a ricevere complimenti."
"A chi vuoi darla a bere, soldato?
E' inutile che cerchi di commuovermi con la parte dell'incompreso! Avrai
più donne tu che l’intera guarnigione!", gli bisbigliò un
attimo prima di sollevarsi a baciarlo, la cortina di capelli biondi che
offuscava la luce della lampada a olio. Andrè la strinse in un abbraccio
convulso e replicò al bacio con foga, i lineamenti cesellati di
Oscar che si sovrapponevano ai suoi. Quando però le dita scesero
a sciogliere le stringhe del corsetto, lo sguardo di Isabelle non si dilatò
per il panico, nè il suo respiro si mozzò all'improvviso,
ma al contrario si fece più caldo e rapido e gli occhi virarono
dal luminoso turchese al blu intenso del velluto. Lo aiutò a liberarsi
degli ultimi lacci e passò a occuparsi dei suoi pantaloni.
Andrè si abbandonò
alle mani di Isabelle e respinse il volto della donna che amava, pur sapendo
che si trattava di un rifiuto solo momentaneo. Al risveglio, come sempre,
se lo sarebbe ritrovato davanti, e come sempre avrebbe occupato l’intero
campo visivo.
***
Isabelle si era sollevata a
sedere sul letto, la schiena appoggiata al cuscino, e guardava pigramente
nella sua direzione.
“Buongiorno, soldato..” Ben
attento a non guardarla in faccia, Andrè si mosse in direzione dei
propri abiti, sparsi sul pavimento.
“Buongiorno.” La stanza stava
rincominciando a vorticare e un senso di nausea l’assalì con violenza.
Si portò la mano alla bocca e si piegò in avanti, ma non
successe niente.
“Stai bene?”
Rispose con un cenno del capo,
mentre scivolava a terra lungo la parete.
La ragazza si alzò dal
letto e, drappeggiandosi il lenzuolo sotto le ascelle, si inginocchiò
davanti a lui e gli sollevò il mento con un dito. Nella luce impietosa
del mattino, che colpiva dolorosa dalle persiane accostate, ogni traccia
dell’intimità che avevano condiviso fino a poche ore prima si era
dissolta. Andrè avvertì ancora una volta quella sensazione,
delusione mista a fallimento e disperazione, anche se non sapeva esattamente
per che cosa essere deluso o disperato, in una situazione del genere.
Deluso dal comportamento di
Oscar, che per la seconda volta nella sua vita confondeva una scelta con
una fuga?
O deluso di se stesso, che
per la seconda volta non era forte abbastanza da fermarla, che non riusciva
a farsi capire, a farsi ascoltare, che non riusciva non solo a infrangere
la cortina che avvolgeva l’animo di Oscar, ma neppure ad aggirarla, a scostarla
poco a poco, il fedele Andrè, imprigionato in un ruolo che cominciava
a odiare, ammesso che l’avesse mai amato.
Andrè, che tutto quello
che poteva fare era seguirla, ancora una volta, ostinato come il ricordo
di quella sera a palazzo Jarjayes, quando anche lui era caduto nello stesso
errore e aveva finito col confondere la forza con la violenza.
Scacciò il pensiero
come un’immaginaria mosca, agitando una mano nell’aria, ma le parole di
lei risuonarono nelle sue orecchie. “In quanto a quello che è successo
ieri sera, preferisco dimenticare.”
Oh, certo, Oscar, tutti noi
preferiamo dimenticare quello che non ci piace, quello che ci fa soffrire.
Ma nessuno ci riesce. Aveva cercato rifugio in Normandia come lui nell’alcol,
tra due giorni avrebbe preso servizio tra i soldati della Guardia e si
sarebbe servita di quel nuovo incarico per allontanare i fantasmi, come
lui trascorreva le notti da una locanda all’altra, da una donna all’altra,
per allontanare i suoi. Allontanare, non cancellare. I fantasmi sanno essere
molto tenaci.
Sono stanco, Oscar.
Quali parole ancora devo trovare,
per raggiungerti? Quali gesti? Può il mio silenzio essere abbastanza
forte da scuoterti? Può la mia lontananza, davvero, esserti d’aiuto?
Si riscosse dai suoi pensieri
solo quando sentì la porta chiudersi. Isabelle se n’era andata,
era rimasto solo nella stanza. Si guardò attorno. Era questo, dunque?
Una camera pidocchiosa, abiti puzzolenti, pensieri ed emozioni che turbinavano
come fiocchi di neve in una tempesta ma che non avevano niente su cui appoggiarsi,
niente da ricoprire e tenere al caldo se non un paesaggio desolato e arido.
Per te, Oscar? Tutto questo
solo per te?
Finì di vestirsi e scese
al piano inferiore. Il fuoco doveva essersi spento a un certo punto della
notte, e nessuno si era ancora preoccupato di ravvivarlo. L’oste uscì
dalla cucina e lo squadrò con fare inquisitorio, le mani sui fianchi.
“Se cerchi Isabelle, non c’è.”
Andrè si guardò attorno e rabbrividì, una vaga sensazione
di imbarazzo che gli scivolava lungo la schiena. “In compenso, il tuo amico
ti sta aspettando.” Con un cenno del capo indicò una delle panche
di legno accostate alla parete, dove Alain stava russando ancora immerso
nel sonno. La giacca dell’uniforme era sparita chissà dove, la camicia
sbottonata scopriva buona parte del torace. Un braccio ciondolava vicino
al pavimento, l’altro era nascosto sotto la testa. Andrè sorrise
suo malgrado. Sembrava davvero un bambino, in quella posizione. Avrebbe
dato qualunque cosa per dormire con la stessa espressione serena sul viso.
Invece, da quella notte di
settimane prima continuava a sentirsi lacerato, sfilacciato e logoro come
un tessuto antico e dimenticato dal tempo. Come se pensieri, eventi e persone
non riuscissero ad allinearsi tra loro in un insieme compiuto.
Aveva dato voce ai suoi sentimenti,
ma subito dopo si era ritrovato improvvisamente muto. Le parole si erano
rattrappite nell’aria, si erano spezzate come cristalli colorati, schiacciate
da anni e anni di silenzio opprimente.
E la rabbia che provava lo
stava consumando giorno dopo giorno, respiro dopo respiro. Era come masticare
sabbia tra i denti, la medesima orribile sensazione.
Il fatto era che, da quel momento,
non era più riuscito a fermarsi. Non riusciva a trovare un punto
fermo, perchè l’unico che aveva creduto di possedere, e lo aveva
creduto davvero, con tutto se stesso, in realtà si era dissolto
nel nulla allo stesso modo dei sogni al mattino.
“E adesso, Andrè? Che
cosa hai intenzione di fare?” La voce flebile di Oscar, incrinata dalle
lacrime, gli salì dallo stomaco al cuore. Andrè abbandonò
il corpo contro il tavolone di legno, cercando un sostegno che fosse almeno
fisico. L’eco di quella domanda portò con sè un significato
diverso, chiarissimo per quanto sottinteso. ma la risposta adeguata, di
nuovo, si ostinava a sfuggirgli.
Che cosa ho intenzione di fare?
Andrè fece un passo
avanti e sfiorò la gamba di Alain.
“Sveglia, amico. Torniamo in
caserma.”
Aurelia (aka Stella)