Il ballo di fine anno decretò
la conclusione di quel ciclo di studi.
Non mi ero mai resa conto della
popolarità che mi circondava a scuola fino a quel momento: non ci
fu ragazzo dell’ultimo anno che non provò a convincermi ad andare
al ballo in sua compagnia! Credo che lo stupore si potesse leggere sul
mio volto a caratteri cubitali: non avrei mai osato neanche immaginare
che tutti quei ragazzi potessero rivolgermi un simile invito!
- Hai carisma, mia cara. –
mi disse Mary, cercando, ancora una volta, di convincermi delle mie qualità
– Traspiri un così naturale fascino e mistero da tutti i pori che
è impossibile resisterti! –
Questo è quello che
pensavano tutti di me?! Stranamente, non m’importava affatto. Non sarei
andata al ballo. L’evento più atteso e sognato da tutti gli studenti,
sin dall’inizio della “high school”, era da me così tranquillamente
trascurato al punto che io stessa me ne meravigliai.
Ma qualcosa mi fece cambiare
idea.
Alex non voleva mancare al
gran ballo e, dal momento che aveva rotto con Mary, era rimasto senza dama;
così mi chiese di accompagnarlo e io, quasi senza riflettere, accettai.
Era la prima volta in vita
mia che facevo qualcosa senza prima averci pensato accuratamente, ma, in
quel momento, non ero riuscita a controllarmi.
Stavo quasi per entrare in
un negozio per acquistare un abito da sera adatto al ballo, il mio primo
abito veramente femminile, quando, ferma di fronte alla vetrina, vidi la
mia immagine riflessa. La scrutai bene. Non ero male, mi dissi, ma a lui
non interessavo.
Ripensai alle parole che Alex
mi aveva detto per convincermi ad accettare il suo invito:
“Non puoi farmi andare da solo:
sei la mia migliore amica!”.
O Dio! Solo adesso mi rendevo
conto di come ero stata impulsiva in quel momento.
Già… la sua migliore
amica… non era nuova la sensazione che provavo dentro di me, al riecheggiare
di quelle parole, ma non capivo cosa fosse. Rabbia?! Dispiacere?! Gelosia?!
No… era rassegnazione….
Non entrai più nel negozio
e non comprai il vestito e, quando a sera Alex si presentò alla
porta di casa mia, gli dissi che non sarei più andata al ballo con
lui. Non era giusto.
Lui doveva, e voleva, andarci
con Mary.
Gli suggerii di correre a cercarla
e di mettere da parte tutto ciò che li allontanava l’uno dall’altra.
Fortunatamente mi ascoltò e tra loro tutto si aggiustò. Ne
fui inspiegabilmente felice, più di quanto lo sarei stata se fossi
andata al ballo con Alex.
Dopo la cerimonia dei diplomi,
io feci le valigie e, con in tasca tutto il denaro che i miei avevano messo
da parte per permettermi di frequentare il college, salii sul primo aereo
per la Francia. Non dissi loro niente, andai via senza avvertirli perché
sapevo che non avrebbero capito e che mi avrebbero ostacolato in tutti
i modi. Gli lasciai solo un bigliettino di poche righe:
“E’ inutile dirvi dove
sono diretta: dovreste saperlo.
Vi chiedo solo di non
essere adirati per quello che ho fatto e spero ne capirete il motivo.
Vi voglio bene, France.
P.S. vi farò
avere presto mie notizie.”
Molte volte, infatti, avevo chiesto
ai miei genitori di portarmi a visitare la Francia, ma loro erano sempre
riusciti a rimandare e deviare l’argomento.
Quando sarai più
grande, mi ripetevano sempre.
Ogni estate mi avevano portata
in Irlanda a trovare i vari parenti paterni, e in giro per l’Europa, ma
mai avevano avuto il coraggio di assecondare il mio desiderio. Era come
se qualcosa li spaventasse, come se sapessero che quel Paese, prima o poi,
mi avrebbe separata da loro.
Atterrai in Francia piena di
entusiasmo e buon umore, con una miriade di aspettative nelle valigie del
mio cuore e un sogno finalmente divenuto realtà: essere in Francia!
Meraviglioso! Mi stabilii a Parigi.
Soggiornai per qualche tempo
in un albergo, poi, mi trovai un appartamentino nel quale vivere.
Immediatamente, mi misi a girare
la città da capo a fondo. Avevo comprato una cartina, ma non la
usai. Era come se conoscessi già quei posti, come se ci fossi già
stata. Ogni tanto mi fermavo a guardare una strada o una piazza e nella
mia testa sentivo qualcosa: questo non c’era, qui non era così,
lì è rimasto tutto uguale…. Che stupida, mi ripetevo sempre,
come fai a pensare certe cose se è la prima volta che metti piede
in questi posti! Così cercavo di allontanare da me quei pensieri,
ma un giorno successe una cosa che mi turbò molto.
Camminavo lungo un’affollata
via, la stessa presso cui, un tempo, dicono sorgesse la Bastiglia, quando
sentii una grande confusione attorno a me.
Non era quella della gente
che mi stava vicina: era una confusione diversa, piena di rabbia e disperazione,
di urli e di strani rumori assordanti…. Provai un forte e improvviso calore
al petto, come un fuoco che divampasse dentro di me, come mille aculei
che mi trapassassero il torace, e caddi a terra svenuta.
Quando mi risvegliai, in ospedale,
il medico disse che mi avevano sottoposto a tutti gli esami possibili e
inimmaginabili, ma che non avevano trovato nulla di preoccupante: stavo
benissimo, doveva essere stato soltanto un calo di pressione.
No, non era stato un calo di
pressione… ma cosa, allora?!
Mi chiusi in casa per qualche
giorno, coi miei pensieri, le mie paure, il timore che potesse accadere
di nuovo… non volevo pensarci, non potevo permettere che la mia vita venisse
sconvolta così… Ho un’immaginazione troppo fervida, mi ripetevo,
cercando di consolarmi. Dovevo trovare assolutamente qualcosa che mi distraesse.
Così, mi misi a cercare un lavoro.
Conoscendo quasi perfettamente
sia il francese che l’inglese, non mi fu difficile trovare un impiego,
due anzi! Portavo a spasso i visitatori stranieri per un’agenzia turistica
e, nei ritagli di tempo, che facevo in modo avessero un’ampia portata,
traducevo libri per una casa editrice. Entrambi lavori che mi piacevano
molto. Col primo potevo incontrare tantissime persone ed entrare in contatto
con diverse culture e, col secondo, coltivavo la mia passione per la letteratura.
Soprattutto, però, mi davano modo di mantenermi! Non che i soldi
che avevo preso in prestito dai miei genitori fossero pochi, ma non volevo
spenderglieli tutti. Li tenevo da parte per le esigenze inaspettate, sperando
di potermi vantare, un giorno, se non altro di essermela cavata da sola.