Alain è l'unico personaggio di tutta
la serie animata su cui non ho mai avuto dubbi. Quando racconto la storia
di Oscar & C. a chiunque sono spesso ironica e pungente, anche perfida,
nei confronti di tutti i personaggi. Mi si chiede spesso come possa piacermi
una storia in cui nessuno mi va per il verso giusto. Confesso che una risposta
razionale non sono in grado di darla. Su tutti ho qualcosa da ridire,
tante cose da criticare, consigliare; tranne che su di lui. La sofferenza
di chiunque merita rispetto. Lo merita quella di Oscar, che fa di tutto
per andarsela a cercare e allora le sta anche bene; quella di André,
che troppe volte vorrei poter aiutare, alleviare, spingere, muoviti ragazzo
non meriti di essere così triste, datti una svegliata e che diamine;
quella di Maria Antonietta che non sa riconoscere la felicità, e
la individua solo quando è troppo tardi, come succede a molti; anche
quella di Fersen che vorrebbe ma non può, che fa ma non può,
e non potendo scappa e si nasconde dietro lo scudo del "non si può
fare e quindi non lo faccio". Per tutta questa sofferenza, per tutti costoro,
io, Elisa, avrei saggi consigli da dare, dritte da fornire per non stare
così male: se me li trovassi davanti sarei capace di compilare un
rapido prontuario (tipo quelli della farmacia "Una corretta alimentazione
aiuta la vita" ecc...) per chiunque di loro sulle cose che dovrebbero e
non dovrebbero fare per vivere, se non felici, quantomeno sereni e con
la coscienza a posto. Però per la sofferenza di Alain non ho parole,
rimango muta e senza consigli, come se fosse qualcosa di ineliminabile
e inspiegabile. Anche prima dei lutti quell'aria disperata col sorriso,
di chi non si abbandona alla disperazione perché la conosce, mi
lascia senza motivi, senza parole... e con tanto affetto, più di
quello che abbia mai dato a qualunque personaggio. Perché è
qualcosa di inconsolabile, e solo. E io tremo per lui. E gli voglio
bene, ad Alain, imprescindibilmente e sicuramente, senza alcun dubbio o
critica.
Forse è l'uomo ideale. Forse. Chissà.
Di sicuro per me lo è più di André, proprio perché
più terreno; paradossale. Ma André è impossibile,
irraggiungibile e irreale, si sa, e in più è di Oscar, ci
si rinuncia in partenza: altro da fare che accapigliarsi per un uomo. Alain
invece no: è reale (forse meglio realistico), vivo, terribilmente
concreto. E allora si potrebbe dire che, visto che è lì,
realistico, a portata di mano, me lo piglio, anzi, lo cerco tra gli uomini
di carne che è meglio. Eppure, anche se a prima vista magari non
sembra, anche lui è irraggiungibile, forse come e più di
André, perché solo, corazzato, barricato da una tale sofferenza
scritta nell'animo che chiunque ci cozzerebbe contro inutilmente. André
no, per lui la corazza si apre, perché lui, pur non avendocela scritta
fin dall'inizio, la riconosce: è anche un po' la sua. E' questo
alla fine, per me: Alain ha la sofferenza scritta nel cuore, e forse è
la sofferenza del suo popolo, quella della miseria, quella della solitudine,
o forse più semplicemente è sofferenza e basta; non so che
tipo di sofferenza sia. Ma stavo dicendo un'altra cosa. Forse sarebbe il
mio uomo ideale, quello con cui dividerei battaglie, ideali, quello che
stringerei a me, quello da cui mi farei stringere, quello con cui,insomma
dividerei la vita. Forse. Perché sono sicura che non si farebbe
avvicinare, che non si metterebbe a nudo come sarebbe necessario fare se
si vuole dividere la vita con qualcuno. Quando lo fa, quando apre la corazza,
viene straziato. Succede nella storia originale (nel manga piange per la
sorella), succede in diverse fanfic. La sua sofferenza c'è e non
si può cancellare, non si può far finta di non vedere; e
non si può consolare. Un pianto che c'è, c'è e basta;
al limite della follia. Come se in fondo ci fosse sempre stato. E non ci
fosse nulla da fare.
André... André è per
Oscar e su questo non ci piove: un assioma. Sono l'uno per l'altra e alla
fine, Ikeda permettendo, che si può dire se non: "ragazzi, buon
pro vi faccia!" Ma Alain, Alain di chi è? Appartiene a se stesso,
solo, solamente a se stesso ed è questa la cosa triste, assolutamente
straziante. E poi, se viene il dubbio che non appartenga neanche se stesso
ma alle persone che ama senza che nessuna di queste appartenga a lui, allora
rimane solo il suo pianto senza possibilità di sorriso.
Più di una volta ho pensato: lo adotto,
quell'uomo. Come un cane del canile.
Similitudine forte, d'accordo. Una provocazione,
diciamo meglio. Così ritorno al mio interrogativo: chi si occupa
di Alain? Chi si prende cura di lui? I cani del canile hanno la speranza
che qualcuno li prenda come compagnia, guardia, ecc... Lui? Chi avvicinerebbe
Alain a chiedere compagnia, condivisione? Chi magari non ne sarebbe spaventato
a prima vista? Giusto un disperato come André e l'altra disperata
come Oscar, la cui disperazione, comunque, agli occhi di questa povera
lettrice, ha una giustificazione più comprensibile. E poi, che tipo
di compagnia? Lui li protegge, in un certo senso. Protegge a suo modo André,
con i discorsi che gli fa, le battute, le mezze parole, i pugni e quant'altro;
anche su Oscar veglia, con quella sua privata, ruvida tenerezza. Tenero
e ruvido come la lingua di un gatto.
Chi protegge Alain? A chi si può affidare
lui? Mi spaventa la sua necessità di resistere, per poter permettere
agli altri di potersi alleggerire le spalle. La colonna che regge il porticato
dove molti vanno a ripararsi dalla pioggia. C'è qualcuno che prendersi
cura di Alain?
Alain rimane, sempre e comunque, solo. Perché
nessuno gli appartiene e nessuno è nato per dividere la vita con
lui. Dividere la vita. Lui, invece, la sua vita l'ha divisa, l'ha rimessa
in gioco per qualcuno (ma anche qualcosa, la libertà, la dignità)
che gli fosse caro: la sorella, André, Oscar. Ma nessuno ha ricambiato
allo stesso modo; in fondo queste persone neanche potevano ricambiare.
E questa solitudine, la sua, mi spaventa da morire. E' straziante.
Solo. Lui è innegabilmente solo. Perché
la madre appartiene prima al marito poi ai figli, che comunque sono due
in questo caso; la sorella appartiene al suo fidanzato; André appartiene
ad Oscar e Oscar ad André. Chi c'è per Alain? Chi potrebbe
esserci per lui? Chi potrebbe appartenere a lui? Non credo che si tratti
di un legame sentimentale in senso stretto, maschio-femmina. O per lo meno
non è detto che debba essere così.
I suoi rapporti sono in fondo tra lui, uomo
in se' "normale", senza strani grilli, che cerca di sbrigarsela al meglio
con meno dolore e quanto più buonumore possibile per se' e per gli
altri, e i martiri dell'amore assoluto. Lui, persona pragmatica, no, pratica,
viene circondato dai testimoni del sacrificio per amore; dai martiri, insomma.
Accade nella vita che ci si circondi di persone con la stessa problematica.
Lui si circonda di martiri dell'amore impossibile. O sono i martiri che
circondano lui? Mistero insondabile? Non lo so. Sarebbe curioso analizzare
cosa di preciso della sua personalità potrebbe aver attirato persone
come Oscar e André; la presenza della sorella nel gruppo farebbe,
di prim'acchito, propendere per la spiegazione che gli si è attaccata
la sfiga addosso. Però, non mi pare di ricordare nessuna fanfic
in cui lui esista di per se'. Ci sono fanfic in cui Fersen parla di se',
fanfic sulla vita di Girodel, sul generale ecc... e comunque, anche se
costoro li si esamina dal punto di vista della storia principale, parrebbe
di capire che hanno anche altri interessi al di fuori della testimonianza
dell'amore assoluto. Lui no. Sembra che l'unica cosa che lo interessi nel
profondo (la situazione politica non è una cosa intima) siano i
suoi amici martiri. Ma sarà possibile! Pare. Altri interessi? Bere,
puttane, lavoro, scazzottate. Un po' pochino per riempire i momenti lasciati
vuoti dai martiri.
Un'ipotesi che mi è venuta al momento
è che anche lui sia un "martire dell'amore assoluto" mancato. Un
testimone del sacrificio per amore programmato male. In fondo anche lui
ama in modo disperato. Solo che, magari, la vita lo ha costretto a dover
mantenere la pelle ben attaccata allo scheletro, amore o non amore. La
necessità di vivere gli ha imposto di non abbandonarsi all'impeto
della testimonianza. La stessa necessità di vivere gli ha assegnato
il destino di ricevere la testimonianza altrui, di tramandarla, di sopravvivere
per far sopravvivere il ricordo dei martiri, senza però la possibilità
di esporre la propria, di testimonianza. E di cose da dire sull’argomento
“amore impossibile e assoluto” ne avrebbe. A chi, invece, il compito
di sopravvivere per mantenere il suo ricordo? Non so.
Quanto è solo Alain. Lui che appartiene
a tutti coloro che ama senza che nessuno di questi appartenga a lui. Sia
che lo si veda innamorato di Oscar o no.
A tal fine mi è venuta l'idea dell'adozione:
renderlo il mio uomo non è il caso, visto che ne ho già uno
che basta e avanza e poi sono monogama di mio; amico non mi sembra
ancora abbastanza; attribuirmi una parentela di sangue mi sembrerebbe un
volermi precludere delle possibilità in futuro. E allora lo adotto.
Lo adotto? Servirebbe a qualcosa? E poi io
non apparterrei comunque a lui ma a qualcun altro che c’è già.
No, non lo adotto, anche se mi piacerebbe.
Elisa
(brumilde@libero.it)