L'Etica Calvinista
Attorno al XV secolo, per iniziativa dei grandi pensatori dell’epoca, l’umanità tentò di scrollarsi di dosso le paure mitologiche dei secoli bui, Queste erano dovute al vuoto formatosi dopo il crollo della società Imperiale e dei fasti dell’antica Roma. Certamente la religione aveva dato un forte contributo alle credenze popolari, scambiando la "grazia" divina con la "punizione". Per i peccatori - più o meno tutti - il clero aveva trovato così un modo piuttosto comodo per gestire il potere. La superstizione tornava ad essere, in tal modo, una diretta trasformazione dell’ira divina mediata dal potere temporale delle caste ecclesiastiche. In fin dei conti la nobiltà, per quanto spesso perversa, garantiva almeno un minimo livello di vita senza promettere opportunità trascendentali alle quali era impossibile ribellarsi!
Le azioni di Calvino e di Lutero tendevano essenzialmente a smitizzare il potere temporale o meglio, il misto tra potere temporale e dottrina, riconducendo su un piano più umano - ed in questo caso nel senso più stretto - la fede altrimenti usata per soggiogare i miseri. In particolare Lutero stimolò la gente ad impegnarsi direttamente per alimentarsi, per arricchirsi ed indicò nel "dono divino" la capacità produttiva umana. Inoltre indirizzò, in questo modo, cioè verso una sorta di affrancamento, almeno coloro che erano in grado di farlo.
La vera rivoluzione economica si compì così. Il distacco dal potere dell’antico clero e la lenta insurrezione della borghesia, furono i maggiori elementi che travolsero l’umanità nei secoli successivi.
Occorreva però dare una giustificazione ed una regola ai fenomeni che andavano via via sovrapponendosi, generando un mondo ora non più avvolto nelle tenebre culturali ma sicuramente caotico e privo di certezze.
Se costoro spezzarono brutalmente il legame ecclesiastico (e di cui ancor oggi se ne hanno conseguenze), Giordano Bruno modellò la prima delle ipotesi trascendentali che riportava l’uomo ad essere parte di un universo armonico e non più pedina di una spietata natura dalla quale poteva essere salvato solo con la redenzione (chissà da quali immondi misfatti!). Non era certo l’umile pastore od il modesto artigiano a compiere peccati tali da dannarsi l’anima. Qualche brigante non poteva far testo in un mondo così vivace. Le alte gerarchie avevano molti diritti, taluni dei quali addirittura concessi dal Divino. Ma allora chi doveva pagare per tutti?
L’idea geniale di Giordano Bruno rimosse tutta la concezione aristotelica stantia ed inibitrice di qualsiasi sviluppo. Egli spostò il concetto di "anima" dal prescelto uomo, fatto ad immagine del Dio unico, a tutto l’universo. Le sue monàdi permeano l’universo e si trasformano in funzione delle sensazioni dando corpo all’anima. Quindi Dio è ovunque e Lui stesso è l’universo. Bruno va oltre Copernico dando un’idea di infinito all’intero creato. Non ci sono più i concentrici cieli danteschi od il mitico Caronte che traghetta anime ora non più semplici concessioni fatte all’umano ma tutto è parte di quell’impensabile ed irraggiungibile UNO. Ma è "sparito" anche l’uomo? No, lui no. L’uomo ha la capacità di fare ed è questa la sua ricchezza poi esaltata da Lutero, da Leibniz, da Campanella ed in seguito ritrattata da Cartesio e da altri.
Quindi, per Bruno, la dottrina cristiana presenta molte lacune se interpretata in un modo più "aperto". Non che ne vengano messe in discussioni le basi, ma doveva essere combattuta l’apologia conseguente all’instaurazione di una chiesa che con Cristo aveva poco da spartire. Ciò era necessario. Occorreva trovare una dimensione più adatta all’uomo. La schiavitù dell’ignoranza aveva spadroneggiato per oltre mezzo millennio ed a questo pensò Lutero affermando che non esistevano mezzi per redimersi, quindi era inutile attuare qualsivoglia pentimento. Bisognava incoraggiare il "fare", il vero dono dell’umanità. Bisognava quindi arricchirsi, garantirsi la sopravvivenza allorché, in comunità, potesse essere riflessa a tutti.
Sulla scorta di queste nuove concezioni teologiche e sulla rinascita di un nuovo spirito di vita si formò l’illuminismo, detto così perché parve rischiarare quella cappa di superstizione che avvolgeva il mondo dell’epoca. In realtà si stavano formando due mentalità parallele, derivanti dalla stessa origine e finalizzate allo stesso scopo ma contrarie a tutto ciò che era e che fu. Era necessario dare un nuovo ordine a quest’umanità priva di guida. Su questa scia si formarono le maggiori correnti filosofiche caratterizzanti questi ultimi trecento anni. Se da un lato le rivoluzionarie idee di Calvino vennero tradotte in pratica da Lutero dando vita ad un rinnovamento generale, dall’alto, con i "piedi un po’ più in terra", Hobbes cercò di dare un’impronta più scientifica al problema della sopravvivenza. Ambedue concordavano almeno su un fatto: sull’autorità costituita, forte ed assoluta, super partes, alla quale affidarsi in via definitiva. Ora non è più la grazia divina a fare concessioni all’uomo, finalmente è l’uomo stesso che ritrovato il suo potere può rimodellarsi. Ora, con queste premesse, occorreva formare lo Stato rinnovato, la Nazione moderna.
Giungere a risultati consistenti non era così semplice. Lo stato di necessità era piuttosto evidente, ma le idee sul da farsi erano ancora incerte. Soprattutto perché la Chiesa intendeva recuperare lo spazio che palesemente andava perdendo in virtù del protestantesimo luterano, già forte in centro e nord Europa che poi condurrà allo scisma (1521). Non era neanche chiaro come disfarsi di sovrani poco "illuminati" o troppo dispotici. In pratica non c’era ancora sufficiente cultura per arrivare rapidamente a definire un nuovo sistema. I filosofi giravano intorno a modelli piuttosto innovativi ma avversati ora dal monarca, ora dal vescovo del caso, finivano col dare indicazioni ambigue e contraddittorie. Per "fortuna" che il grande movimento di massa e di ricchezza da e verso il Nuovo Mondo comportò globalmente un notevole riassetto in quelle nazioni che ebbero l’occasione di partecipare al bottino (perché di tale si tratta) sottratto alle popolazioni indigene. Ciò favorì, come già detto all’inizio, la rivoluzione borghese (l’ex artigiano che diventa capitalista, poi industriale ed alla fine finanziatore dell’Imperatore) che avrà il suo massimo nella Rivoluzione Francese in cui si vedrà l’abolizione delle classi e l’instaurazione formale dei principi di uguaglianza e di solidarietà. Poi i giorni nostri, il fallimento …