b r a i n p o w e r

3.1 Albori del Socialismo Europeo     (Ret-to prev. page)

(un fantastico report giornalistico dell'800 trascritto quasi integralmente ma non interpretato)


Parte 1: Dialogo registrato casualmente al Cafè du Paris nel 1890 (circa)


Gurvitch: Bonjour dottor Durkheim, dova và di bello?

Durkheim: Ah! Salve Gurvitch, mi scusi ma ero così distratto… la mia mente è completamente occupata dalla solita questione che vorrei risolvere, ricorda? Quella del... "bisogna essere soggetti morali od individui sociali?". Vorrei parlarne con lei per qualche minuto. Mi permette?

Gurvitch: Certo ma a patto che, a sua volta, mi consenta di offrirle almeno un caffe!

Durkheim: Tres bien et… merçi beaucoup! Ma torniamo al problema. Postulato che la morale è una dimensione della società moderna, il sistema morale deve comprendere tutte le regole d'azione che s'impongono imperativamente alla condotta dell'individuo ed alle quali viene collegata una sanzione. Quindi la sanzione è una conseguenza dell'atto ma essa non deriva dall'atto in sé, bensì dalla conformità o meno dell'atto medesimo ad una regola prestabilita. E' come dire … godere dei beni altrui e… questo enfatizza la proprietà privata.

Gurvitch: Mon cher ami, riconosco la sua ferma volontà di definire un modello sociale conforme ai tempi. Vedo ancora molta teoria in queste parole ma soprattutto l'abbandono di una qualsivoglia analisi teorica della morale. Si direbbe che lei parta da presupposti teorici sulla morale già scontati.

Durkheim: Questo è vero. Comte ha già fatto un buon lavoro ed io non pretendo di criticarglielo ma solo di renderlo usabile in termini pratici. Nella mia idea, l'uomo è un essere morale soltanto in quanto vive in società poiché la sua moralità coincide con la solidarietà che si forma nel gruppo. Si può dire che è morale tutto ciò che è fonte di solidarietà e la moralità è tanto più solida quanto più numerosi e forti sono questi vincoli!

Gurvitch: Ho letto il suo libro "Il Suicidio" e al di là degli aspetti macabri, ritengo entusiasmante questo suo lavoro specie per comprendere il momento politico che stiamo traversando. La disgregazione sociale paventata dall'avvento dell'industrializzazione spinta è una realtà consistente e la frammentazione di questa società indubbiamente dissolve i vincoli solidaristici. Bisognerebbe intervenire…ma come?? Guardi, c'è Bayet, chiediamogli cosa ne pensa.

Bayet: Buongiorno signori. Scusate ma…mi sono appena scontrato con quel pittorucolo dai capelli rossi, quello laggiù che sta dipingendovi, dovrebbe chiamarsi Van Gog o Van Bob ma non ho ben capito. Non so perché…mi ha rifilato un paio di parole irripetibili! Dunque il problema può essere risolto se considerassimo la morale pratica come un codice di doveri assoluti basato essenzialmente sulla responsabilità individuale. La morale come oggetto di analisi sociologica è però ben diversa dalla morale come sfera di responsabilità sociale. La scienza della morale dovrebbe essere ricondotta nell'ambito degli "usi e costumi" quindi, non è poi così tanto universale.

Il cronista: A questo punto uno dei tre personaggi che sedevano in un tavolino attiguo s'intromette:

"Signori, chiedo scusa…mi presento sono il dottor Levy-Bruhl ed i miei amici sono il dottor Wundt ed il dottor Filloux. Abbiamo casualmente ascoltato i vostri dialoghi e vorremmo parteciparvi, naturalmente se ce lo permetterete!"

Gurvitch: Prego, visto che sono stato il primo ad occupare questo tavolino, vorrei gratificarmi della vostra ospitalità, naturalmente ritengo che anche i miei amici concordino!

Levy-Bruhl: Mi premeva farvi notare che la "pratica morale" può corrispondere all'insieme delle regole della condotta individuale collettiva, cioè all'insieme dei diritti e dei doveri. Secondo me, la "morale teorica", si prefigge un altro scopo: essa fondamentalmente è legislatrice, non ha funzione di conoscere ma di prescrivere.

Wundt: Sostengo anch'io la tesi del dottor Levy-Bruhl, anzi aggiungo che la morale deve essere inserite nel novero delle scienze normative perché anche nella pretesa di essere teorica, essa non cessa mai di essere normativa dal momento che rimane in ogni caso legata all'azione. Da questo si deduce che non potrà mai essere puramente teorica!

Durkheim: Insomma signori…l'esigenza è quella di scongiurare il tramonto dell'antica solidarietà organica, dobbiamo accettare che gli uomini per poter vivere insieme devono capirsi e devono sacrificarsi l'uno per l'altro, devono in qualche modo rimanere vincolati. Quindi dobbiamo fornire loro un sistema di regolamentazione morale che sia un vero sistema di regolazione della vita morale, quest'ultima deve essere intesa come forma e modi di vita in relazione al bene/male. Dal momento che il sociale non è un prodotto della vita collettiva ma un suo presupposto, esistono degli standard di atteggiamento che potremmo definire "fatti sociali" cui ricomprendere gli schemi generali.

Filloux: Mi scusi dottor Durkheim, io non sottovaluterei troppo questo problema, lo porrei in termini pratici più che teorici. Del resto lo ha già scritto lei che, contrariamente alla disunione che spezzetta ed abbandona l'uomo all'angoscia ed alla solitudine, la coesione è il fine, l'essenza della società. La coesione è importante per la società ed è morale ciò che crea solidarietà sociale, basta volerla…

Durkheim: Lei ha ragione dottor Filloux, infatti per sociale si designano grossomodo tutti quei fenomeni che si verificano all'interno della società, per poco che essi presentino ma con una certa generalità un interesse sociale, indipendentemente dai puri fattori biologici o psicologici. In realtà la società e fatta DI individui e non DA individui. Questa definizione è importante perché mette in evidenza come la sfera sociale invade la soggettività estromettendola. Ad esempio gli utilitaristi commettono un errore considerando la società come un insieme di individui isolati. Se così fosse, costoro non avrebbero altri motivi di entrare in contatto se non per cooperare. Quindi non ci sarebbe solidarietà, anzi, è proprio questo il tema su cui si va discutendo!

Non vale nemmeno la giustificazione del dottor Tarde che purtroppo non è presente a questa discussione. Il suo emulazionismo non è accettabile perché uno stato individuale che rimbalzi da un individuo ad un altro, non cessa di essere individuale, cioè di mantenere alcune differenziazioni. In definitiva la società racchiude le sole forze agenti dell'individuo ma questi, uniti tra loro, formano un essere psichico nuovo, che ha un proprio modo di pensare e sentire.

Signori, la discussione si fa eccitante e purtroppo tende all'oltranza. Non vorrei saltare il pranzo. Vi propongo di vederci questa sera a cena, a casa mia. Consideratevi tutti inviati ad un simposio da far invidia a Platone! Se volete, a vostra volta, farvi accompagnare da qualche illustre personaggio, fate pure…sarà benvenuto!

Il cronista:In quel momento ci fu una nuova intromissione: "Mi scusi signore, ma dall'inizio che seguo la vostra discussione, sarei felicissimo se potessi partecipare anche più tardi alla sua conclusione. Prometto che no disturberò e…mangerò pochissimo! In compenso vi consegnerò una relazione scritta su quanto verrà fuori!"

Durkheim: Bene ragazzino! Puoi venire ma portati molta carta, molte penne ed anche molto caffè perché sarà una lunga notte!

Il cronista:Detto questo Durkheim si congedò dal gruppo che via via, in piccoli drappelli si dissolse.



Parte 2: In casa del Dott. Durkheim

Il cronista: Ore 21.00, il gruppo si è ricostituito in casa Durkheim. Vi sono nuovi personaggi che non sono ancora ben noti, forse il loro nome si conoscerà se faranno interventi nella discussione. La cena ha inizio con la consueta puntualità che contraddistingue tutte le cose di quest'epoca.

Durkheim: Signori, vi pregherei di continuare la discussione iniziata stamani al Cafè du Paris anche tra un boccone e l'altro. Aboliamo tutti i formalismi della buona condotta a tavola e, se volete, cerchiamo la genuinità delle idee dietro un buon bicchiere di vino! Alla salute di noi tutti!

Parsons: Scusi dottor Durkheim, sono Parsons, Talcot Parsons, un sociologo statunitense. Vorrei aprire i discorsi contestandole, si fa per dire, un fatto: il suo individuo, da quello che ho capito, risulta essere un'entità piuttosto astratta. Sembra quasi, nella sua semplicità, essere umano immaginario che non è mai entrato in rapporti sociali con altri esseri umani, è puro e molto disponibile, non provato dalla vita quotidiana!

Gouldner: E' vero! Ho anch'io una tale sensazione. Penso infatti che coloro i quali sono ossessionati dall'ordine non tendono alla morale in quanto tale ma ad un sistema morale che dia origine all'ordine. Sia il positivismo che il funzionalismo mostrano interesse solo per certi tipi di credenze morali condivise, cioè solo nei confronti di quelle apportatrici di ordine. Il positivismo dà per scontato che i valori morali condivisi che non producessero ordine, non sono veri valori morali.

Durkheim: No, no, suvvia signori! La morale non è l'astratto di dover essere filosofi o moralisti; essa è da ricercarsi in quella realtà sui generis che è il sociale distinto dall'individuale. La connotazione morale della realtà sociale è nel dover imporsi agli individui nel dover essere morali. Per questa via, il dover essere morale discende dal cielo delle aspirazioni religiose alla terra della vita quotidiana, si fa sangue della società, s'incarna nell'essere sociale. La società reale si definisce, quindi, nella società morale!

Uno degli ospiti: Questo però tende a sovrapporre all'essere della società capitalistica industriale, il dover essere della società morale. In pratica la regolazione morale della società diviene indispensabile in presenza di capitalismo industriale, laddove è più che necessaria una solidarietà organica. Ciò contrappone la società industriale borghese all'antica solidarietà esistente nelle comunità agricole e nell'artigianato.

Durkheim: Confermo il mio punto di vista! La società morale è, nel suo dover essere, un sistema perfettamente integrato e totalizzante. Nessun momento sociale può, in quanto tale, collocarsi al di fuori del suo ambito. Una tale integrazione è l'esito della differenziazione e non dell'omogeneizzazione. Il dato fondamentale è che la società morale è società organica. L'essere sociale, assunto a dover essere morale, è quello stato d'interdipendenza funzionale caratteristico della società industriale. L'anomia che vi ho dimostrato già da qualche anno è in effetti uno stato in cui l'essere rimane al disotto del minimo morale!

Un altro ospite: A questo punto del processo sociale non rimane altro che un processo di differenziazione ad andamento evoluzionistico: dalla massa indistinta si passa alla struttura articolata, quindi dalla solidarietà meccanica a quella organica in cui l'individuo non è dentro il processo ma ne è l'esito.

Spencer: Ciò sembra piuttosto aderente ad un mio studio. Dissi infatti che nell'individuo sono presenti due forze di cui una lo spinge verso la personalità distinta, l'altra invece gli impedisce di deviare dal tipo collettivo. E' il giuoco tra queste due forze che determina la struttura di una particolare società storica in un determinato stadio del suo sviluppo. Caro Emile, mi permetta di ricordarle che nel modello liberista la divisione del lavoro è di tipo individualista e lei ha optato per una società solidaristica differenziata. Come concilia questo strano rapporto?

Durkheim: Le ricordo che la specializzazione non fa saltare il rapporto di solidarietà ma ne muta le relazioni comunitarie trasformandole in interdipendenze funzionali.

Spencer: Mi spiace, non sono d'accordo a meno che non si potesse giustificare una società capitalistica industriale, competitiva e conflittuale nell'ottica della società moderna e morale! In questa società prevale l'utilitarismo che trova nel finalismo dell'agire sociale la vera divaricazione dal modello solidaristico. La cooperazione che è alla base della convivenza sociale, non passa attraverso la soggettività individuale ed è pertanto un fatto sociale sottoposto a regole sociali. Quindi il processo sociale è solo la dinamica attraverso la quale gli individui si uniformano agli standard di comportamento. E' un processo di adattamento.

Durkheim: Be' è già qualcosa. L'utilitarismo è innato nelle persone, la solidarietà è insita nella coscienza dell'individuo. Il passo verso l'essere sociale e morale è breve…basta considerare l'uomo e la sua anima, cioè che le attività sensoriali sono egoistiche e particolari, le attività morali tendono invece a fini impersonali.

Kant: Ok, ma questo l'ho già detto io, ci vuole qualcos'altro!

Durkheim: Allora impostiamo tutto in un'altra ottica! Poniamo in evidenza il principio della causa e dell'effetto: "un atto malvagio urta la coscienza comune perché è criminale", oppure è meglio dire che "un atto è malvagio perché urta la coscienza comune". Non so se vi è chiara la differenza! Da questo si deduce come ovunque si afferma un potere dirigente, la sua funzione principale è quella di far rispettare le credenze, le tradizioni, le pratiche collettive. Esso deve difendere la coscienza collettiva dai suoi nemici interni ed esterni. Esso diventa in tal modo il suo simbolo, l'espressione della coscienza comune agli occhi di tutti. Un potere politico si legittima dunque nella misura di cui si fa incarnazione della coscienza collettiva.

Hobbes: Caro Durkheim, questo invece l'ho già detto io ma non funziona perché è difficile stabilire qual è la giusta dimensione del potere. Se l'individuo solidaristico possiede una sua morale di tipo collettivo, non c'è assolutamente bisogno di un potere forte. Un potere di tal genere infatti, schiaccia l'individualità e non a caso il mio libro è intitolato "Il Leviathan"...

Durkheim: Vorrei sapere come! La società deve essere organizzata in modo tale da assicurare ad ognuno i mezzi rapportati ai suoi bisogni ma, poiché i bisogni degli individui tendono ad essere illimitati ed incolmabili, la regolamentazione sociale diviene più che necessaria.

Un terzo ospite: la vita sociale è indipendente dalla vita individuale, quest'ultima è invece dipendente dalla vita sociale. Ciò significa che gli individui devono riuscire ad adeguare i propri bisogni sulla base dei propri mezzi anche se, comunque, ci sarà sempre uno scarto tra mezzi e bisogni. In questa tavola rotonda cui vini e polli abbondano, tra un maialino e l'altro l'equa distribuzione dei beni non è stata ancora affrontata, nemmeno sul piano teorico! Nessuno di voi ha sentito parlare di un certo Karl Marx?

Parsons: Si, io ho sentito qualcosa ma al momento non è ancora chiaro di cosa parla…forse tra qualche anno ne sapremo di più. Volevo però far notare che la soddisfazione quantitativa, salvo eccezioni, è di per sé autolimitativa, non lo è invece l'aspetto qualitativo. Un giorno si arriverà alla saturazione dei bisogni quantitativi degli individui e questo lo dovremo alla società industriale a base capitalistica, con la sua "straproduzione", probabilmente la società dovrà sacrificare qualcosa oppure ci sarà un roseo futuro, staremo a vedere…

Durkheim: E' l'obbedienza alla norma che limita i desideri infiniti degli individui però ogni costrizione, devo ammettere, è una perdita di valori umani, una costrizione dell'essere. Per questo il rispetto delle norme deve essere sentito come un atto dovuto e solo in tal modo esse possono divenire fonte di felicità!

Bakunin: Addio!... Me ne vado prima che dia in escandescenze! Qui sembra addirittura che la felicità derivi dalla negazione dell'uomo invece che dalla sua realizzazione... nella più completa libertà ed indipendenza!

Durkheim: Stia calmo, deve accettare che l'apertura verso l'infinito si traduce con un senso di smarrimento dell'individuo. L'uomo deve sentirsi legato a compiti ben precisi, deve subire una valutazione del suo agire e da questo deriva la necessità di limitare la sua libertà. Allora a cosa serve il mio studio sull'anomia se almeno questo principio no è stato compreso?

Bakunin: So io cosa fare col suo studio! L'uomo nasce libero e tale deve rimanere. Al massimo posso accettare la cooperazione…ma solo come dato di fatto non per libera scelta.

Freud: Scusate, ma non vorrei che finiste questa eccellente cena con insulti, tra l'altro poco digeribili. Vorrei far notare che siete scivolati in un campo molto pericoloso: quello della psicologia. Ciò che dice Durkheim a proposito dell'anomia è vero. Bisogna però ricercarne i presupposti nel rapporto premio/punizione a livello genitoriale e, scalando, a livello Entità suprema.

Quindi, se le ataviche abitudini richiedono un tal tipo di gratificazione che, come afferma Bakunin sopprimono l'individuo, dovrebbe essere possibile oltre che necessario, ristrutturare la società per limitarne gli effetti. Dobbiamo far attenzione perché si potrebbe finire realmente nel caos se tentassimo una tale operazione in questa società.

La rivoluzione del 1789 è stata a tutti gli effetti un fenomeno di liberazione sociale ma anche di disgregazione ed infatti è fallita per questo motivo. Bisogna prima preparare gli individui affidandosi ad un processo allungato nel tempo, poi si potrà parlare di liberazione e di esseri interiormente sociali e forse non ci sarà più bisogno di essere morali ovvero di darci delle leggi!

Durkheim: Forse questo è giusto ma bisogna tener conto che il diritto, la morale e la religione sono da sempre le principali funzioni regolatrici della società e sono le aree d'interesse primario per la Sociologia che vede in queste il sistema di regolazione sovrapposto all'individuo quale elemento necessario per controllarne la dinamica. Non se ne può fare a meno. La religione è una forma di costume come il diritto e le usanze. Ciò che la distingue è che essa domina sia la condotta sia la coscienza degli individui. I suoi dettami non sono solo atti ma anche idee, sentimenti...

La morale è quindi un sistema oggettivo di regolazione delle coscienze e poiché coinvolge la solidarietà, essa diviene anche regolazione morale dell'economia che presuppone una visione solidaristica dei rapporti economici. La regolazione morale diviene pertanto un sistema imperativo di regolazione della condotta individuale e della vita sociale.

Il cronista: A questo punto Bakunin interruppe la sua cena e se ne andò sbattendo la porta dietro di sé. Durkheim non batté ciglio ma continuò con un'estrema calma il suo discorso. Forse, tra gli ospiti, non erano molti coloro che lo ascoltavano seriamente, essi erano per lo più interessati alle numerose pietanze che venivano continuamente servite.

Bisogna tener conto che il frenetico sviluppo industriale in atto a fine secolo rendeva tutto molto possibilista, almeno dal punto di vista della borghesia. Lo stesso Durkheim, da bravo borghese, era molto preoccupato per il mantenimento dell'ordine pubblico finalizzandolo al mantenimento dello status quo sociale che favoriva lo sviluppo del capitalismo industriale. Lo era in misura minore per la salute dei meno abbienti.

Tutta la sua filosofia è in realtà il continuo invocare di un ordine forte, magari trascendentale che riuscisse ad arginare le potenti trasformazioni sociali. Infatti, in Francia l'eco della Rivoluzione non si era ancora del tutto smorzato e l'avvento del "movimento di massa" per quanto utile al capitalismo, certamente doveva essere inquadrato e gestito anche dal punto di vista sociale oltre che economico.

Può sembrare strano ma le aggregazioni di ex contadini in masse di manodopera a buon mercato, per quanto rumorose, furono determinanti per lo sviluppo del capitalismo industriale e, infatti, non a caso Durkheim suggeriva le corporazioni finalizzate al sostentamento degli individui e nel contempo utili per la "gestione" indiretta dell'enorme potenziale produttivo fornito dai medesimi.

Durkheim infine esordisce con una pericolosa apologia allo Stato forte, quasi un preludio al fascismo mussoliniano che in effetti ebbe quel rapido sviluppo solo cinquant'anni dopo questo simposio.

Durkheim: Signori, lasciate che sia io a concludere questo banchetto. Vorrei esternare le mie impressioni. Ritengo che dietro la società moderna c'è l'identificazione della società morale con la società capitalistica industriale.

Differenziazione, competizione, individualismo sono i caratteri imprescindibili della società moderna ma comportano forti rischi di disgregazione sociale. Pertanto occorre un sistema di norme sociali necessarie per evitare il rischio di scivolare nell'anarchia.

Questo comporta che il diritto di proprietà, che è alla base di quasi tutte le regole morali di questa società, è il punto di partenza e di arrivo della società capitalista. Esso deve essere assunto a pieno titolo come uno dei principi fondamentali della società morale che vede la sottrazione dei beni privati all'uso collettivo.

Ciò non toglie che alcuni diritti dovrebbero essere rivisti, quali la successione ereditaria per esempio che deriva dal diritto di proprietà che è individuale, quindi nasce e muore con l'individuo. Bisogna però tener conto anche delle famiglie di basso reddito, di coloro che non sono ancora autosufficienti. Essi devono essere sollecitati verso l'associazionismo corporativo che deve diventare centrale nella vita sociale e deve essere dotato di una forte autorità per sottomettere gli individui e di un forte potere politico per comporre gli eventuali interessi contrapposti.

La corporazione dovrà diventare l'ossatura comunitaria della società morale il cui scopo sarà di avvicinare gli individui e le famiglie sulla base di qualche interesse professionale o economico in comune. Bisogna comunque evitare la tendenza alla disgregazione, al caos! Infine, aggiungo, che la regolamentazione morale si deve tradurre in regolazione della vita sociale finalizzata alla conservazione dei rapporti di produzione esistenti, onde evitare che possa essere messo in discussione l'assetto sociale in atto. Quindi, questa società morale che stiamo costruendo, sarà basata sul modello capitalistico/industriale della quale ne sarà l'esito!

Ora signori cari, vi ringrazio per la partecipazione e se volete passare nel fumé, mi sarà cosa gradita offrirvi qualcuno dei miei "Avana".

Il cronista: Il simposio si concluse così, senza vincitori o vinti in quanto la discussione si arrestò già sul nascere.

Da notare che la maggior parte dei brani sono stati stralciati da vari libri in uso alla Facoltà di Sociologia. Il cronista si scusa con i vari autori per l'orrore commesso (ovvero l'aver costruito un falso storico oltre che essersi approfittato del lavoro altrui) ma era necessario tentare di mettere a nudo le idee che hanno portato allo sviluppo di una società (questa!) che si avvia verso la più completa amoralità (o forse proprio perché le sue radici fondano nelle idee di Durkheim, Hobbes, Comte e di altri filosofi/sociologi più o meno noti). La realtà è che, come spiega infine Durkheim, nonostante le tonnellate di libri che sono stati scritti sulla "società migliore", chi ha il potere vuole mantenerlo in un ordine assoluto e questa forse è la più antica tra le leggi umane!

Post scriptum

Il cronista si scusa in anticipo per le possibili errate interpretazioni del pensiero dei personaggi intervenuti virtualmente nel report giornalistico e nell'eventualità si evidenziassero, la loro notifica sarebbe cosa gradita!

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