b r a i n p o w e r

3.1 LA TEORIA DEGLI SPRECHI E LA DISOCCUPAZIONE

Un rivoluzionario modello economico valido per la società post-2000     (Ret-to First page)
(Go Seconda parte)
(Go Terza parte)

Tesi originale

By  romano_l@libero.it   ® © 2000

Il problema della disoccupazione è grave ma non è un fenomeno emergente: in termini economici è il risultato di una determinata situazione di mercato. Qualsiasi tipo di produzione richiede una quantità di manodopera proporzionale al prezzo di quest'ultima; il costo della manodopera rappresenta il massimo sacrificio che un committente è disposto a sostenere per acquisire o produrre un certo bene.

In un'economia libera si ha nel tempo una sorta d'equilibrio generalizzato tra produttori, consumatori e servizi che si concretizza nel cosiddetto "prezzo di mercato" di tutto ciò che può essere oggetto di scambio (cioè beni materiali, monetari e manodopera).

Tale relazione è "ordinaria amministrazione" per un'economia di tipo capitalista ma è piuttosto ingiusta dal punto di vista umano. Il modello capitalista, infatti, funziona bene solo se può contare sulla disoccupazione e sulla disperazione della gente, ovvero sull'offerta - con tendenza al ribasso - del proprio lavoro in concorrenza con altri disoccupati! In altri termini, il frutto della produzione non può essere ripartito in quote uguali per tutti e questo fenomeno finisce per creare disoccupazione con un andamento inversamente proporzionale alla "ricchezza" dell'area geografica in cui si misura il fenomeno medesimo. Non a caso nell'Europa centrale si rilevano tassi di disoccupazione piuttosto bassi mentre nelle zone esterne questo tasso è in forte crescita.

Il problema può essere risolto senza dover ricorrere ad economie pianificate (non si vuole discutere di filosofia politica, semplicemente si vogliono chiarire alcuni aspetti di politica economica) ma

quali sono i fattori necessari per contenere al massimo la disoccupazione?

Purtroppo, in generale l'economia funziona sul principio della "tovaglia corta" (che non può coprire contemporaneamente ciascun angolo del tavolo) e questa tovaglia diviene sempre più corta man mano che i mercati si "globalizzano". Nel mondo occidentale tale principio si dimostra così:

In tali condizioni ed in particolare se l'economia è chiusa (e tra breve l'intero mercato mondiale sarà rappresentabile come tale grazie alla telematica) i livelli d'occupazione della forza-lavoro sono direttamente proporzionali al rapporto di costo uomo/macchina, ovvero fin quando è conveniente l'uso del lavoro umano allora l'imprenditore lo preferisce all'impiego delle macchine per i seguenti motivi:

In termini economici questi due indici si chiamano "oggettivazione" del lavoro umano e sono stati studiati da Marx negli ultimi anni della sua vita. Egli diceva che il lavoro umano sarebbe stato sostituito dalla macchine ed il lavoratore entro un breve "giro" di sviluppo tecnologico sarebbe passato dall'essere un utilizzatore di macchine strumentali ad essere egli stesso uno "strumento" della macchina (indubbiamente una bella inversione). Oggi, in moltissimi casi quest'aspetto è più che verificato!

Il problema della disoccupazione consiste proprio in questo!

In effetti le manovre del Governo sono orientate al contenimento della disoccupazione attraverso due correttivi di base:

In questo modo il Governo ha spostato la "tovaglia" da un'altra parte nel tentativo di contenere la disoccupazione! Infatti ci saranno ceti un po' più poveri (i lavoratori) ed altri un po' più ricchi (gli imprenditori) ma la somma dei nuovi e dei vecchi prodotti posti in vendita sul mercato è ancora costante così come lo è la base monetaria che riflette la liquidità globale delle famiglie.

Se la manovra del Governo riesce allora l'unico vantaggio ottenuto sarà quello di avere un po' più di ragazzi occupati ma grazie alla "mobilità" ed al contratto di "primo impiego", questi saranno in concorrenza diretta con la fascia dei lavoratori d'età compresa tra i 40 ed i 50 anni oramai scarti della società, disoccupati e non pensionabili.

La tesi che sostengo, invece, è dimostrata già dalla considerazione marxiana relativa all'oggettivazione del lavoro e dalla seguente analisi:

La morale di tutto ciò è che il livello dell'occupazione è direttamente controllato dal capitale il quale stabilendo a priori il valore aggiunto, ovvero la remunerazione di sé stesso, consente l'incremento di manodopera laddove esiste almeno qualche forma di valore marginale ma anche il contrario!

…fortunatamente però...

Se prima dell'800 il contadino poteva produrre all'infinito il suo fabbisogno perché ce n'era un assoluto bisogno, oggi questo non è più necessario perché i bisogni primari sono completamente soddisfatti (sempre nel mondo occidentale) anche tra i disoccupati. Infatti "il piatto di minestra si rimedia sempre". Secondo questa teoria anche il bisogno di lavorare viene meno ed in fin dei conti il lavoro non è per tutti indispensabile.

Dal punto di vista sociale quest'ultima affermazione riscopre l'antico concetto del "dovere" ma la "necessità di lavorare tutti" è purtroppo un'aberrazione del modello sociale che ci siamo costruiti.

La vera libertà, anche secondo Marx, è l'affrancamento dal lavoro!

La tesi che sostengo coincide perfettamente con quella marxiana (non parlo assolutamente di Comunismo che qui non c'entra) della quale ho assunto le basi ed ho aggiunto la seguente estensione:

  • Poiché senza far nulla è difficile non abbrutirsi - dal punto di vista psicologico esiste una sorta di equilibrio naturale per il quale l'evoluzione umana è un percorso obbligatorio pena l'annichilimento della società tecnologica - allora è necessario far lavorare tutti producendo non solo beni materiali ma anche valori intellettuali attraverso la ricerca e lo sviluppo di qualsiasi cosa purché sia frutto d'idee innovative utili per il benessere di tutti, anche se effimero. Il risultato di questa attività, una volta innescata, dovrebbe portare ad un generico abbattimento del costo reale di produzione dei beni ed alla fine si produrrebbe ancora di più, di qualità migliore ed a costi più bassi al punto tale da rendere insignificanti gli sprechi ed in un ciclo infinito.

Gli "sprechi" oggi sono ancora concepiti in modo errato perché oggi e soltanto oggi, gli "sprechi" costituiscono la vera ridistribuzione della ricchezza!

A conferma di quando detto propongo un fantasioso esempio:

  • Inventando una forma d'energia elettrica non inquinante e di costo bassissimo si potrebbe illuminare l'intero pianeta sempre a giorno: c'è da pensare a quanti miliardi di lavoratori troverebbero impiego nell'installazione e nella manutenzione dei lampioni! Ovviamente il loro salario deriverebbe dalla "salatissima" quota di petrolio che invece di finire nelle tasche dei petrolieri - come accade oggi - sarebbe destinata ai lavoratori!

  • A questo punto si può notare come l'investimento ancora una volta sarebbe spostato altrove ma il risultato in termini occupazionali, ovvero quello che interessa di più, è stato raggiunto anche se a danno dei petrolieri. La società sprecherebbe un mucchio d'energia rinnovabile e non inquinante per illuminare tutto ma la qualità della vita sarebbe migliore e ci sarebbero pochissimi disoccupati: questi ultimi sono i due importantissimi risultati tanto cercati!

Purtroppo c'è stato un inganno da parte di quelle forze contrarie allo sviluppo dell'energia nucleare ed oggi siamo nelle mani dei petrolieri. Non c'è nessuna possibilità di applicare queste teorie fin quando l'intero mondo sarà sotto il "ricatto energetico". Quindi, in ultimo, il gestore della "tovaglia" cui si è parlato all'inizio, ovvero colui che la sposta di volta in volta scoprendo o ricoprendo qualche angolo del tavolo, è ancora l'ottocentesco "Padrone del Vapore" rappresentato oggi dall'impersonale, esoterico, puro capitale d'investimento in beni energetici.

(prosegue sulla Seconda parte)

By  romano_l@libero.it   ® © 2000  TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI ALL'AUTORE
Per un libero scambio d'idee inviare una e-mail all'indirizzo di riferimento