CIBERNETICA & MEDICINA (3)

Emulazione elettronica del cervello animale
By L.R. © ® 2000

PARTE 1                                                    (Ret-to First page)

    1. Introduzione

Prima di entrare nel merito della formazione del pensiero, è opportuno rivedere rapidamente e molto sommariamente la "tecnologia" di un cervello animale. L’elemento fondamentale di un sistema cerebrale è il neurone ovvero quella particolare cellula di tipo ramificato, distribuita in tutto il sistema nervoso degli animali e che presiede a tutte le sue funzioni attive o vegetative. La maggior parte dei neuroni è localizzata nel cervello e forma quel groviglio di tentacoli detto anche "massa cerebrale". In figura 1 è riportata una microfotografia particolareggiata dell’insieme di neuroni cui è composta questa massa ed alcuni suoi dettagli. Negli esseri umani si contano circa 20 miliardi di neuroni concentrati in quasi 1400 grammi di sostanza organica. L’intelligenza non sembra, però, attribuibile esclusivamente al peso e/o al numero dei neuroni presenti nel cervello ma è riposta nella quantità complessiva effettivamente utilizzata dal suo proprietario.

 

Figura 1, Massa cerebrale e neuroni

La conferma di queste ipotesi è nelle figure 2 e 3 che mostrano l’esame all’infrarosso di un cervello umano. La prima figura lo rappresenta in un momento di scarsa attività, nell’altra invece è mostrato a pieno ritmo (aree chiare). Il livello di utilizzo è teorico poiché non si è in grado di stabilire con precisione cosa effettivamente sta facendo il cervello in questi due momenti. Si sa soltanto che, in presenza di determinati stimoli, in certe zone esso consuma più o meno energia e null’altro! Per questo motivo si parla di sensazioni al fine di legare gli stimoli provenienti dal mondo esterno di un individuo alle sue possibili reazioni. L’ipotesi più diffusa individua nelle sensazioni "l’unità di base non analizzabile di ciò che si percepisce quando certi organi psichici e fisici sono stimolati; le sensazioni sono soggettive e classificabili ma non oltre". In base alla definizione testé citata (tratta dall’Enciclopedia De Agostini), non dovrebbe esserci alcuna possibilità reale di comprendere le varie forme di devianza psichica. Nulla vieta di formulare ipotesi: queste saranno più o meno valide in funzione della coerenza con la risposta (o la reazione) effettivamente prodotta dall’essere posto di fronte ad un preciso stimolo.

Fig. 2, Il cervello a "riposo" Fig. 3, Il cervello in "attività"

In questo studio si è ritenuto opportuno impostare l’analisi della sensazione esclusivamente su base evolutiva perché questa, infatti, non prevede il classico concetto di "intelligenza" (capacità di risolvere problemi più che con l’esperienza, con la comprensione delle interdipendenze dei vari fattori). Sono state scartate altre ipotesi alternative perché avrebbero richiesto concetti troppo "filosofici" quindi poco applicabili alla realtà.


    2.Tecnologia ed evoluzione del cervello animale

Per comprendere meglio come si è sviluppato il cervello, è necessario tornare indietro nel tempo, di qualche centinaio di milioni d’anni, fino all’epoca cui si formarono le prime cellule viventi. Queste "bolle" di citoplasma probabilmente non avevano la vita facile perché ora l’alta concentrazione di sali, ora l’eccessiva temperatura di quella brodaglia primordiale nella quale vivevano, oppure l’urto con uno scoglio lavico ben affilato le condannava ad una "morte" sicura. Qualcuna di queste cellule potrebbe aver sviluppato casualmente una particolare sensibilità ad esempio nei confronti dell’alta temperatura (forse per un errore della loro replica). In effetti, la probabile presenza nel liquido interno di sostanze particolari che se scaldate modificavano il profilo idrodinamico dell’involucro esterno delle cellule medesime ne agevolava l’allontanamento dalla sorgente di calore e quindi la loro fuga verso la salvezza. Un po’ come funzionano le mongolfiere! Quanto appena descritto fu probabilmente il prototipo di uno dei primi meccanismi di "autodifesa" che migliorarono le possibilità di sopravvivenza delle specie. Tale meccanismo è oggi chiamato "istinto", forse in modo improprio. La selezione naturale inoltre permise il maggior sviluppo di quegli organismi monocellulari che, sempre casualmente, andavano dotandosi d’ulteriori protezioni. Poi venne l’epoca delle aggregazioni cui le cellule trovarono più comodo vivere in colonie. Le colonie divenivano più longeve se alcuni dei loro individui si specializzavano in qualche funzione vitale e, tra queste, il coordinamento del gruppo divenne oltremodo importante pena la dissoluzione della colonia medesima! Di questo passo si arrivò infine all’animale superiore. Per quanto appena detto si evince l’origine casuale del tessuto neurale e della sua funzionalità legata alla sopravvivenza della specie in funzione dei pericoli presenti in un determinato luogo ed in un preciso periodo storico. Inoltre, molti secoli dopo, il raggruppamento preferenziale di questo tessuto in una particolare zona costituì ciò che si conosce come "cervello". Quest’ultimo, nel suo aspetto più elementare, si comporta come una macchina che al comparire di un determinato segnale X al suo ingresso compie il lavoro Y (figura 4). Nulla di eccezionale quindi, considerare una parte dei neuroni di un cervello qualsiasi come una semplice matrice di combinazioni cui all’evento X(n) corrisponde l’azione Y(n). Il numero delle combinazioni cresce rapidamente negli animali passando da quelli più elementari dotati di pochi sensori (ad esempio solo quelli tattili), fino agli animali superiori dotati di almeno cinque matrici correlate e rese attive da un enorme numero di sensori (tattili, visivi, auditivi, olfattivi/gustativi) cui alcuni distribuiti lungo il corpo ed altri concentrati razionalmente in alcune zone specifiche. Così, dalla semplice ed anomala miscela di sali all’interno del microcorpo primordiale, si è giunti al complesso sistema nervoso presente in tutti gli esseri viventi, piante comprese. Per quanto detto l’intero sistema nervoso sarebbe il risultato di una serie di…errori casuali nella replica delle cellule poi selezionate secondo il principio dell’evoluzione naturale. Charles Darwin già nel 1859 dimostrò tale principio. Dietro tutte queste attività pertanto non si nascondono entità misteriose ma solo complicate reazioni elettrochimiche. Sembra accertato, ad esempio, che la forma fisica di un qualunque essere vivente è legata ad una sorta di "effetto prossimità" che determina l’aggregazione delle cellule del medesimo secondo un algoritmo basato sulla composizione chimica delle sue cellule e sulle caratteristiche elettrostatiche dell’ambiente circostante. La variazione di uno qualsiasi dei valori implicati potrebbe comportare una mutazione tale che se fosse vantaggiosa per il soggetto, quest’ultimo diverrebbe, attraverso la cosiddetta trasmissione dei fattori ereditari, il nuovo "specimen" della sua razza.


    3. Rapporto tra intelligenza e pensiero

Osservando per un certo tempo un qualsiasi animale superiore ad esempio un comune cane od un gatto domestico, spesso si scoprono taluni comportamenti piuttosto "individualisti". Questi animali dovrebbero agire soltanto e semplicemente in virtù del loro istinto caratteristico ma non sempre i conti tornano! In effetti, sembra che la coerenza del comportamento di un individuo rispetto alla sua specificità sia inversamente proporzionale al livello d’evoluzione medio della razza medesima. Ciò significa che il comportamento "istintivo" sarà in media tanto più lineare quanto più la razza è inferiore e tanto più imprevedibile quanto più l’individuo è evoluto. Pertanto, un qualsiasi animale superiore potrebbe raggiungere capacità intellettuali relativamente molto elevate. Queste capacità sono però limitate dalla massa cerebrale attiva che è definita dall’estensione collegamenti interneurali formatisi nel corso dell’evoluzione della specie. Rispetto all’uomo, negli animali detti collegamenti sono piuttosto scarsi ed infatti, come già detto, il peso del cervello conta relativamente poco rispetto all’effettivo utilizzo dell’insieme dei neuroni disponibili. Spesso il comportamento anomalo di un animale è interpretato come "livello d’intelligenza". Dal momento che negli animali usualmente si considera quest’ultima pressoché zero, tale comportamento sarà interpretato come un livello superiore d’intelligenza rispetto agli altri elementi di una medesima razza.

Figura 4, Matrice neurale (ipotesi)

Nell’uomo invece un comportamento anomalo è definito pazzia o genialità oppure stupidità perché anche da lui è atteso un comportamento più o meno conforme allo standard sociale nel quale vive. Nella figura 5 è riportato uno schema originale di ciò che dovrebbe essere il legame tra pensiero ed intelligenza. Al centro di questa figura c’è un riquadro fondamentale che spiega come si arriva a concettualizzare un fenomeno qualsiasi (Procedimenti conoscitivi…); quindi, se l’intelligenza è la capacità di un individuo "a cavarsela" più o meno facilmente qualora fosse posto dinanzi ad un problema, si può considerare il pensiero come il prodotto di quell’elaborazione intellettuale che va appunto sotto il nome d’intelligenza. Tale elaborazione è basata sul presupposto di saper separare le soluzioni corrette da quelle non corrette, vale a dire sull’esperienza e sulla capacità d’interpretare determinati fenomeni; poiché taluni animali manifestano minime capacità di acquisire esperienza, per il ragionamento appena fatto si può concludere che anche in loro c’è una forma di pensiero ovvero anche gli animali in qualche modo riflettono. Poco fa si è accennato al modo cui le deviazioni comportamentali possono manifestarsi sia come genialità, sia come stupidità. Nel primo caso si notano nel soggetto scelte rapide e corrette, il contrario nel secondo caso. A questo punto è necessario affermare che normalmente la "dotazione" cerebrale di un singolo individuo è più o meno uguale a quella di tutti gli altri individui della medesima specie; quindi il suo comportamento, malattie a parte, non può essere molto differente da quello tenuto dai suoi simili ed al limite può avere solo sfumature soggettive; in altre parole l’attribuzione di "intelligente" o di "stupido" è una valorizzazione arbitraria effettuata dall’uomo sulla base di osservazioni compiute su un certo numero di soggetti; esse non esistono come valori assoluti ma valgono solo come risposta a determinate attività utilitaristiche distinte per razza animale.

Figura 5, Schema logico del pensiero (ipotesi)

Assume invece un’importanza estrema l’addestramento che avviene nei primi momenti di vita. Ciò è valido sia per gli animali, sia per l’uomo (prima socializzazione). Purtroppo, a causa della scarsa uniformità di funzionamento del sistema elettrochimico cerebrale, si determina una velocità d’apprendimento differente tra gli individui. Per questo motivo alcuni di loro impareranno più velocemente di altri. Saranno questi ultimi coloro che sembreranno i più intelligenti ed i più adatti ad essere inseriti nella vita. Negli animali ciò comporta una differente reazione alle spietate leggi dell’evoluzione; nell’uomo interviene la società a protezione degli individui più deboli e/o meno preparati. Si presume dimostrabile che detta diversità è solo apparente ed è in gran parte determinata dalla prima socializzazione. In effetti, un buon maestro riesce sempre a mantenere alto il livello medio di preparazione dei suoi allievi; un cattivo maestro creerà delle forti asimmetrie tra il primo della classe e l’ultimo. Pertanto, immaginare l’esistenza un "quoziente d’intelligenza" anche per gli esseri umani è una banalità utile solo per creare discriminazioni!


    4. La Pazzia

D’aspetto differente è invece la cosiddetta "pazzia". In questo caso si è di fronte ad una modifica strutturale dello schema di pensiero adottato da un certo individuo. Costui si può definire deviante anche rispetto all’eventuale genialità manifesta, all’irrazionalità od alla sua semplice stupidità. Secondo le osservazioni sperimentali compiute su vari soggetti esaminati esclusivamente dal punto di vista psicologico (quindi non si tratta di analisi cliniche), queste alterazioni si formerebbero in un livello molto interno del blocco neurale relativo alla sezione pensante del sistema cerebrale. Ciò sembra dovuto ad una forte variazione dei collegamenti interni (spiegati più avanti) rispetto ad un normale cervello. La variazione può essere conseguenza di un’alterazione fisica (eventi di tipo traumatico e/o patologico) od il risultato di forti traumi psicologi (shock emotivi), oppure congenita. Tali osservazioni inducono a credere che la pazzia non è sempre di natura irreversibile. Si presume che alla sua origine intervengano fattori tali da alterare i meccanismi della connessione virtuale tra neuroni e pensiero (giunzione fisico-pisichica). Dette considerazioni sarebbero valide tanto per l’uomo quanto per gli animali ed infine, tutti gli esseri viventi possono essere soggetti a forme di pazzia latenti o manifeste. Purtroppo vi sono dei vincoli che spesso ne impediscono la risoluzione ed è di questo che si parlerà nel prossimo capitolo.

*** Fine della Prima Parte ***

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