Pazzo?
(1882)
Sono pazzo? O soltanto geloso? Non lo so, ma ho
sofferto orribilmente.
Ho compiuto un atto di pazzia, di pazzia furiosa, è
vero; ma la gelosia lancinante, ma lamore esaltato, tradito, condannato, ma il
dolore abominevole che ho sopportato, tutto ciò non basta per far commettere delitti e
pazzie, senza essere veramente criminali nel cuore e nel cervello?
Ah, ho sofferto, sofferto, sofferto in un modo
continuo, acuto, spaventevole! Ho amato quella donna con uno slancio frenetico... E
tuttavia, è proprio vero? Lho veramente amata? No, no, no. Mi ha posseduto anima e
corpo, invaso, incatenato. Sono stato, sono la sua cosa, il suo giocattolo. Appartengo al
suo sorriso, alla sua bocca, al suo sguardo, alle linee del suo corpo, alla forma del suo
viso; mi manca il fiato sotto il dominio della sua apparenza esterna; ma lei, la donna che
ha questo corpo, la odio, la disprezzo, lesecro, lho sempre odiata,
disprezzata, esecrata; perché è perfida, bestiale, immonda, impura; ella è la donna
di perdizione, lanimale sensuale e falso in cui non esiste anima, in cui il
pensiero non circola mai come laria libera e vivificatrice; ella è la bestia umana,
anzi meno di ciò: ella non è che un grembo, una meraviglia di carne dolce e rotonda,
dove linfamia si annida.
I primi tempi del nostro legame furono strani e
deliziosi. Tra le braccia di lei sempre aperte, mi esaurivo in una furia di insaziabile
desiderio. I suoi occhi, come se mi avessero fatto venire la sete, mi facevano aprire la
bocca. Erano grigi a mezzogiorno, color verde al cader del giorno, turchini al levar del
sole. Non sono pazzo: giuro che avevano questi tre colori.
Nelle ore damore, erano turchini, e come pesti, con pupille enormi e nervose. Le
labbra, scosse da un fremito, lasciavano intravedere talora la punta rosea e umida della
lingua, che palpitava come quella di un rettile; e le palpebre pesanti si rialzavano
lentamente, scoprendo uno sguardo ardente che mi annichiliva e mi rendeva folle.
Stringendola tra le braccia, la guardavo negli occhi
e fremevo, scosso dal bisogno di uccidere quella bestia, come dalla necessità di
possederla senza fine.
Quando camminava nella mia camera, il rumore di
ognuno dei suoi passi faceva battere il mio cuore; e quando cominciava a svestirsi,
lasciando cadere le vesti, e usciva, infame e radiosa, dalle vesti che calpestava intorno
a sé, sentivo lungo tutte le membra, nel mio petto anelante, uno sfinimento infinito e
vile.
Un giorno, mi accorsi che era stanca di me. Glielo
vidi negli occhi, al risveglio. Curvo su di lei, attendevo ogni mattina il suo primo
sguardo. Lattendevo, pieno di rabbia, di odio, di disprezzo per quella femmina
addormentata di cui ero schiavo. Ma quando il turchino pallido della sua pupilla, quel
turchino liquido come acqua, si scopriva, ancora languido, ancora stanco, ancora malato
delle recenti carezze, era come una fiamma rapida che bruciasse ed esasperasse i miei
ardori. Quel giorno, quando apri le palpebre, scorsi uno sguardo indifferente e spento,
che non desiderava più nulla.
Ah, lo vidi, lo seppi, lo sentii, lo compresi subito.
Era finita, finita per sempre. E ne ebbi la prova a ogni ora, a ogni secondo.
Quando la chiamavo con le braccia e le labbra, ella
si volgeva annoiata, mormorando: «Lasciatemi, via!», oppure: «Siete odioso», oppure:
«Non posso mai star tranquilla!».
Allora, fui geloso, ma geloso come un cane, e
scaltro, diffidente, dissimulatore. Sapevo che ella avrebbe ricominciato presto, che un
altro uomo sarebbe giunto ad accenderle i sensi.
Fui geloso con frenesia; ma non sono pazzo, no,
certo, non sono pazzo.
Attesi; spiai. Non mi ingannava; ma rimaneva fredda,
addormentata. Diceva talora:
«Gli uomini mi disgustano».
Ed era vero.
Fui allora geloso di lei stessa, geloso della sua
indifferenza, geloso della solitudine delle sue notti, geloso dei suoi gesti, dei suoi
pensieri che mapparivano sempre ignobili, geloso di tutto ciò che indovinavo. E
quando aveva talora, al suo alzarsi, quello sguardo stanco che seguiva già le nostre
notti ardenti, come se qualche concupiscenza le avesse incalzato lanima e
rimescolato i desideri, mi venivano soffocamenti di collera, tremiti di indignazione,
voglie di strangolarla, di abbatterla sotto i ginocchi e di farle confessare, stringendole
la gola, tutti i segreti vergognosi del suo cuore.
Sono pazzo? No.
Una sera, la sentii felice; una passione nuova
vibrava in lei. Ne ero sicuro, indubitabilmente sicuro. Palpitava come dopo le mie
strette; gli occhi le fiammeggiavano, le mani erano calde, tutta la persona vibrante
sprigionava quel sapore di amore da cui la mia pazzia amorosa era sorta.
Finsi di nulla comprendere, ma la mia attenzione
lavvolgeva come una rete.
Pure, non scopersi niente.
Attesi una settimana, un mese, una stagione. Ella si
schiudeva a un incomprensibile ardore; si placava nella felicità di uninafferrabile
carezza. E, dun tratto, indovinai! Non sono pazzo. Lo giuro, non sono pazzo. Come
dire? Come farmi capire? Come esprimere questa abominevole e incomprensibile cosa?
Ecco in quale modo me ne accorsi.
Una sera, rincasando da una lunga passeggiata a
cavallo, si lasciò cadere, con le guance rosse, il petto ansante, le gambe affaticate,
gli occhi appannati, su di una sedia bassa, di fronte a me.
Lavevo già veduta così! Amava! Non potevo
ingannarmi!
Allora, perdendo la testa, per non contemplarla più
oltre, volsi il capo verso la finestra, e scorsi un domestico che conduceva per la
briglia, verso la stalla, il suo grande cavallo, che si impennava. Ella pure seguiva con
gli occhi lanimale focoso e saltellante. Poi, quando fu scomparso, si addormentò
dun tratto.
Fantasticai tutta la notte, e mi sembrò di penetrare
misteri che non avevo mai sospettati. Chi approfondirà mai le perversioni della
sensualità delle donne? Chi comprenderà i loro inverosimili capricci e
lappagamento strano delle più strane fantasie?
Ogni mattina, fin dallaurora, ella partiva di
galoppo per pianure e boschi, e, ogni volta, rincasava illanguidita, come dopo frenesie
damore.
Avevo compreso! Ero geloso, ora, del cavallo
muscoloso e veloce, geloso del vento che le accarezzava il viso quando andava di corsa
pazza; geloso delle foglie che baciavano, passando, i suoi orecchi; delle gocce di sole
che le cadevano sulla fronte attraverso i rami; geloso della sella che la portava e che
stringeva con le cosce.
Era tutto ciò che la rendeva felice, che
lesaltava, lappagava, la esauriva e me la rendeva in seguito insensibile e
quasi svenuta.
Risolsi di vendicarmi. Fui dolce e pieno di premure
per lei. Le tendevo la mano quando saltava a terra dopo le sue corse sfrenate.
Lanimale furioso sferrava calci verso di me; ella lo accarezzava sul collo ricurvo,
lo baciava sulle froge frementi, senza asciugarsi di poi le labbra; e il profumo del suo
comò, in sudore come dopo il tepore del letto, si mescolava, sotto le mie narici,
allodore acre ed equino della bestia.
Attesi il mio giorno e la mia ora. Passava ogni
mattina per lo stesso sentiero, in un boschetto di betulle che si perdeva nella foresta.
Uscii prima dellalba, con una corda in mano e le mie pistole alla cintola, come se
andassi a battermi in duello.
Corsi verso il sentiero che preferiva; tesi la corda
tra due alberi, poi mi nascosi tra le frasche.
Avevo lorecchio contro il suolo; intesi il
galoppo lontano, poi la scorsi laggiù sotto le foglie, come in fondo ad una volta.
Giungeva in un galoppo sfrenato.
Ah, non mi ero ingannato. Era quello che avevo
immaginato! Sembrava al culmine della gioia, il sangue alle guance, folle nello sguardo, e
il movimento precipitoso della corsa le faceva vibrare i nervi di un godimento solitario e
violento.
Lanimale cadde nella trappola con le zampe
anteriori e ruzzolò, le ossa spezzate. Lei la ricevetti nelle mie braccia. Sono tanto
forte da sostenere un bove. Poi, quando la ebbi deposta a terra, mi avvicinai
allAltro che ci guardava; allora, mentre tentava di mordermi, gli avvicinai la canna
della pistola allorecchio... e lo uccisi... come un uomo.
Ma caddi io stesso, con il viso sferzato da due colpi
di scudiscio; e poiché ella si avventava di nuovo contro di me, la colpii nel ventre con
laltra pallottola che restava.
Ditemi, sono pazzo?