L'orribile
(1884)
La tiepida notte discendeva lentamente.
Le donne erano rimaste nel salotto della villa.
Gli uomini, seduti a cavalcioni sulle sedie del giardino, fumavano, dinanzi alla porta,
facendo circolo intorno a una tavolata piena di tazze e di biccbierini.
I loro sigari brillavano come occhi nellombra
che sinfoltiva da un minuto allaltro. Era stata narrata proprio allora una
terribile disgrazia accaduta il giorno prima: due uomini e tre donne annegate sotto gli
occhi degli invitati, lì di fronte, nel fiume.
«Orribile!», esclamò un invitato.
Il generale di G... sentenziò:
«Sì, queste cose commuovono, ma non sono orribili.
Lorribile, questantica parola, vuol dire
assai più che terribile. Una paurosa disgrazia, come quella narrata, commuove, sconcerta,
impaurisce: non atterrisce. Perché si provi orrore più che la commozione dellanima
e più dello spettacolo di un morto, bisogna provare un fremito di mistero, o una
sensazione di spavento anormale, innaturale. Un uomo che muore, anche nelle condizioni
più drammatiche, non suscita orrore; un campo di battaglia non è orribile; la vista del
sangue non è orribile; i delitti più vili di rado sono orribili.
Ecco due esempi personali che mi hanno fatto
comprendere che cosa si può intendere per "Orrore".
Fu durante la guerra del 1870. Ci ritiravamo da
Pont-Audemer, dopo aver superato Rouen. Lesercito, di ventimila uomini circa,
ventimila uomini in fuga, sbandati sfiduciati, sfiniti, andava a riorganizzarsi a Le
Havre.
La terra era coperta di neve. Cadeva la notte. Dal
giorno innanzi non avevamo mangiato più nulla. Fuggivamo celermente. perché i Prussiani
non erano lontani.
Tutta la campagna normanna livida, chiazzata
dalle ombre degli alberi che cingevano le case si distendeva sotto un cielo nero,
greve e sinistro.
Nella luce opaca del crepuscolo, non si udiva altro
che un brusio .confuso, sordo e tuttavia smisurato di gregge in cammino, un trepestio
infinito, misto a un vago tinnire di gamelle e di sciabole. Gli uomini, curvi, a coppie,
sporchi, spesso anche stracciati, si trascinavano, arrancavano sulla neve, con lunghi
passi affranti. La pelle delle mani si appiccicava allacciaio del fucile, perché
quella notte gelava terribilmente. Spesso vedevo un moblot togliersi le scarpe per
andare scalzo, tanto soffriva coi piedi costretti nelle calzature; e ogni orma lasciava
una traccia di sangue. Poi, di lì a poco, sedeva in un campo per riposarsi qualche
minuto, e non accennava a rialzarsi.
Ogni uomo seduto era un morto.
Ne avevamo lasciati dietro di noi, di quei poveri
soldati che contavano ripartire non appena avessero un po riposato le loro gambe
indurite. Invece, appena avevano smesso di muoversi, di far circolare il sangue quasi
inerte nella carne raggelata, un torpore invincibile li fermava, li inchiodava a terra,
chiudeva loro gli occhi, paralizzava in un momento il meccanismo umano logorato. E si
lasciavano andar giù, la fronte sulle ginocchia, senza tuttavia cadere perché le spalle
e le membra diventavano immobili, duri come legno, incapaci di rizzarsi o di piegarsi.
E noialtri, più robusti, andavamo sempre avanti,
presi dal gelo sino al midollo delle ossa, procedendo come per forza dinerzia in
quella notte, in quella neve, in quella campagna fredda e mortale, oppressi, dal dolore,
dalla sconfitta, dalla disperazione, attanagliati, più che altro, dallabominevole
sensazione dellabbandono, della fine, della morte, del nulla.
Scorsi due gendarmi che tenevano per le braccia un
ometto strano, vecchio, senza barba, daspetto veramente sorprendente. Credendo
daver preso una spia cercavano un ufficiale.
La parola "spia" corse senzaltro fra
i rimasti in coda e fu fatto cerchio attorno al prigioniero. Una voce gridò:
"Bisogna fucilarlo!". ,E tutti quei soldati che cadevano di sfinimento, che
stavano in piedi perché sappoggiavano sul fucile, ebbero allimprovviso quel
fremito di collera furiosa e bestiale che spinge la folla alleccidio.
Volli parlare; ero allora comandante di battaglione;
ma non si riconoscevano più i capi: avrebbero fucilato anche me.
Uno dei gendarmi mi disse:
"A tutti chiede informazioni
sullartiglieria".
Mi provai a interrogare quelluomo:
"Che cosa fate? Che volete? Perché seguite
lesercito?".
Balbettò qualche parola in un gergo inintelligibile.
Era davvero uno strano tipo dalle spalle strette, dallocchio sornione; era così
turbato dinanzi a me, che non dubitai più che si trattasse di una spia. Sembrava molto
agitato e debole. Mi considerava di sottecchi, con unaria umile, stupida o scaltra.
Gli uomini attorno a noi gridavano:
"Al muro! Al muro!".
Dissi ai gendarmi:
"Rispondete del prigioniero".
Non avevo finito di parlare, che una spinta terribile
mi rovesciò, e io vidi, in un secondo, luomo afferrato dai soldati furiosi,
atterrato, colpito, trascinato sul ciglio della strada e gettato contro un albero. Cadde
nella neve quasi già morto. E subito venne fucilato. I soldati sparavano su di lui,
scaricavano le armi, sparavano di nuovo con un accanimento di belve. Si azzuffavano per
poter tirare; sfilavano davanti al cadavere e sparavano su di esso come si sfila dinanzi a
una bara per gettare acqua benedetta.
Ma, dun tratto, corse un grido:
"I Prussiani! I Prussiani!".
Udii per tutto lorizzonte, il fragore immenso
di tutto lesercito che correva.
Il panico, nato da quelle fucilate su quel vagabondo,
aveva atterrito gli esecutori stessi, i quali, senza comprendere che lo spavento proveniva
da loro, fuggirono e scomparvero nel buio. Rimasi solo dinanzi al corpo esanime, coi due
gendarmi, che il dovere aveva trattenuti presso di me. Sollevarono quella carne
martoriata, maciullata e sanguinante.
"Bisogna perquisirlo", dissi.
E porsi una scatola di cerini che avevo in tasca.
Uno dei soldati faceva lume allaltro. Io stavo
ritto tra loro due.
Il gendarme che esaminava dichiarò:
"Vestito di un camiciotto turchino, di una
camicia bianca, di un paio di calzoni e di un paio di scarpe".
Il primo cerino si spense; fu acceso il secondo.
Rivoltando le tasche del giustiziato, il gendarme riprese:
"Un coltello dosso, un fazzoletto a
quadretti, una tabacchiera, un pezzetto di spago, un pezzo di pane".
Il secondo cerino si spense. Fu acceso il terzo. Il
gendarme, dopo avere a lungo palpato il cadavere dichiarò:
"Nient altro".
Io dissi:
"Spoglialo. Forse troveremo qualcosa contro la
pelle".
E, perché i due soldati potessero darsi da fare
insieme, mi misi io stesso a rischiararli. Li vedevo nella rapida luce del cenno che
presto si estingueva, togliere a uno a uno gli indumenti, mettere a nudo
quellammasso sanguinante di carne ancor calda e morta.
E dimprovviso, uno di essi esclamò:
"Per Dio, è una donna!".
Non saprei dirvi che strana e pungente sensazione
dangoscia mi sconvolse. Non potevo crederlo, e minginocchiai nella neve,
dinanzi a quellammasso informe, per vedere: era una donna! I due gendarmi, allibiti
e avviliti, aspettavano che io emettessi il mio parere.
Ma io non sapevo che pensare, che supporre.
Allora il brigadiere pronunziò lentamente:
"Forse è venuta a cercare il suo figliolo,
chera soldato dartiglieria e del quale non aveva notizie?".
E laltro rispose:
"Potrebbe anche darsi".
E io, che avevo pur visto cose terribili assai, mi
misi a piangere. E sentii, di fronte a quella morta, in quella gelida notte, in mezzo a
quella nera pianura, dinanzi a quel mistero, dinanzi a quella sconosciuta assassinata,
quel che vuoi dire questa parola:
"Orrore".
Provai questa stessa sensazione, lo scorso anno,
interrogando uno dei veterani della missione Flatters, un fuciliere algerino.
Conoscete i particolari di quel dramma atroce. Ve
nè uno, tuttavia, che forse ignorate.
Il colonnello andava nel Sudan per il deserto, e
attraversava limmenso territorio dei Tuaregh, che, in quelloceano di sabbia,
che va dallAtlantico allEgitto e dal Sudan allAlgeria, sono una specie
di pirati paragonabili a quelli che un tempo infestavano i man.
Le guide che conducevano la colonna appartenevano
alla tribù dei Ciambaa di Ouargla.
Un giorno, fu eretto il campo in pieno deserto, e gli
Arabi dichiararono che, essendo il pozzo ancora piuttosto lontano, sarebbero andati a
cercare lacqua con tutti i cammelli. Un sol uomo prevenne il colonnello che egli era
stato tradito. Flatters non gli credette e accompagnò la carovana con glingegneri,
i dottori e quasi tutti gli ufficiali. Essi furono trucidati attorno al pozzo, e tutti i
cammelli catturati.
Il capitano dellufficio arabo di
Ouargla, rimasto al campo, prese il comando dei superstiti, spahis e fucilieri, e
fu iniziata la ritirata, abbandonando i bagagli e i viveri poiché mancavano i cammelli
per portarli. Si misero dunque in cammino in quella solitudine senzombra e senza
fine, sotto il sole divorante, che li arroventava dal mattino alla sera.
Una tribù venne a fare atto di sottomissione e
furono portati loro dei datteri. Erano avvelenati. Quasi tutti i Francesi morirono, e, fra
essi, lultimo ufficiale.
Non rimaneva più che qualche spahis, tra cui
il maresciallo dalloggio, Pobéguin, e alcuni fucilieri indigeni della tribù di
Ciambaa. Cerano ancora due cammelli. Una notte, essi scomparvero con due Arabi.
I superstiti allora capirono che fra poco sarebbe
stato necessario divorarsi lun laltro, e, non appena scoperta la fuga dei due
uomini con le due bestie, coloro che restavano si separarono, mettendosi a camminare
isolati nella sabbia, sotto la fiamma intensa del cielo, oltre la portata dei rispettivi
fucili. Andavano così tutto il giorno, e quando fu raggiunto un pozzo. ognuno vi andava a
bere a turno, non appena il più vicino aveva raggiunto la distanza necessaria. Andavano
così tutto il giorno sollevando, qua e là, quelle piccole colonne di polvere che
indicano di lontano i camminatori del deserto.
Ma, una mattina, uno dei soldati, dun tratto
obliquò avvicinandosi al suo compagno. Tutti si fermarono a guardare.
Luomo verso cui marciava il soldato affamato
non fuggì, ma. si appiattò a terra, e prese di mira quello che veniva verso di lui.
Quando lo credette a tiro, sparò. Laltro non fu colpito e continuò ad avanzare;
imbracciando a sua volta il fucile, uccise di colpo il suo camerata.
Allora, da tutto lorizzonte, gli altri
accorsero per avere la loro parte. E colui che aveva ucciso, fatto a pezzi il morto, lo
distribuì. E si sparsero di nuovo, quegli alleati irriconciliabili, fino al primo
omicidio che li avrebbe riuniti. Per due giorni, vissero di quella carne umana ripartita;
poi, tornata la fame, quello che per primo aveva ucciso, uccise di nuovo. E, di nuovo,
come un macellaio, tagliò a pezzi il cadavere e loffri ai compagni, conservando
soltanto la sua parte.
Così continuò quella ritirata di antropofaghi.
Lultimo Francese, Pobéguin, fu trucidato in riva a un pozzo, la vigilia del giorno
in cui arrivarono i soccorsi.
Capite ora ciò chio intendo per
"Orribile"?».
Ecco quanto ci raccontò laltra sera, il
generale di G...