Diario di un magistrato
(1885)

        Al momento della morte aveva raggiunto il grado di Presidente della Corte di Cassazione; era un magistrato integerrimo, la cui vita senza macchia veniva citata come esemplare in ogni tribunale francese. Gli avvocati, i giovani consiglieri, i giudici s’inchinavano profondamente, in segno del massimo rispetto, alla sua alta figura bianca e asciutta, illuminata da due grandi occhi dallo sguardo profondo.
       Aveva trascorso la vita punendo i delinquenti e proteggendo gli indifesi. Truffatori e assassini non avevano nemico più spietato poiché egli sembrava leggesse nel fondo delle anime loro i pensieri più nascosti e svelasse con un’occhiata tutti i loro sotterfugi intenzionali.
       Cosi era morto a ottantadue anni, ossequiato da tutti e rimpianto da tante persone. Soldati in alta uniforme lo avevano scortato sino alla tomba e uomini in cravatta bianca2 avevano sparso sul suo monumento funebre parole di desolazione e lagrime che sembravano vere.
       Ebbene, ecco lo strano documento che il notaio, al colmo dello sbalordimento, scovò nello scrittoio in cui il magistrato era solito riporre gli incartamenti relativi ai grandi delinquenti.
       Quel documento aveva un titolo:

PERCHÉ?

       20 giugno 1851. Torno ora dal Tribunale. Ho fatto condannare a morte Blondel! Perché mai quest’uomo ha ucciso i suoi cinque figli? Perché? Ho incontrato spesso persone per le quali la distruzione d’una vita è uno dei maggiori piaceri. Già, dev’essere come una voluttà, forse la maggiore tra tutte. E infatti uccidere e quanto c’è di più vicino a creare. Creare e distruggere! Queste due parole racchiudono la storia dell’universo, tutta la storia del mondo, tutto ciò che può esistere, tutto!
       Perché uccidere dev‘essere così inebriante?

       25 giugno. Pensare che lì c’è un essere il quale vive, cammina, corre... Un essere? Che cos’è mai un essere? È la cosa animata, che porta in sé il principio del moto e una volontà che regola il moto. Non ha vincoli di sorta, i suoi piedi non toccano il suolo: è un granello di vita che si muove sulla terra e questo granello di vita, venuto non si sa da dove, può esser distrutto come si vuole. Resta allora il nulla, il nulla assoluto. L’essere imputridisce... e basta.

       26 giugno. Perché dunque uccidere dovrebbe essere un delitto? Già, perché? E invece una legge naturale. Ogni essere ha la missione di uccidere. Uccidere è insito nella nostra natura. Le bestie non fanno che uccidere: uccidono per vivere e uccidono per uccidere, tutto il giorno, in ogni istante della loro esistenza. L’uomo uccide continuamente per cibarsi, ma poiché ha anche bisogno di uccidere per voluttà, ha inventato la caccia. Il bimbo uccide gli insetti che trova e ogni sorta di animaletti che gli capitano sotto mano. Ma questo non basterebbe all’irresistibile necessità di strage connaturata in noi. Uccidere gli animali non ci appaga: abbiamo bisogno di uccidere l’uomo. Un tempo questa necessità veniva appagata con i sacrifici umani. Oggi le esigenze della vita sociale hanno fatto dell’uccisione un delitto e l’assassino viene condannato e punito. Ma poiché non possiamo vivere rinunciando a questo naturale, imperioso istinto di morte, ogni tanto ci sfoghiamo con un guerra nella quale un popolo intero sgozza un altro popolo.
       E allora è un’orgia di sangue, un’orgia in cui impazziscono gli eserciti, un’orgia della quale si inebriano anche i borghesi, le donne e i ragazzi che la sera sotto la lampada leggono l’esatto resoconto delle stragi.
       Si potrebbe credere che la vergogna dovrebbe schiacciare coloro che sono destinati a eseguire queste carneficine di esseri umani. No! Li si colma di onori! Li si veste d’oro e di stoffe smaglianti; essi portano piume sul capo, decorazioni sul petto. A loro vengono conferite croci di guerra, ricompense e titoli d’ogni sorta. Sono orgogliosi, rispettati, amati dalle donne, acclamati dalle folle, soltanto perché hanno avuto la missione ufficiale di versare sangue d’altri uomini. Essi mostrano in parata per le strade i loro strumenti di morte che il passante in abiti borghesi guarda con invidia. Perché uccidere è la legge fondamentale che la natura pone nel cuore umano. Non c’è niente di più entusiasmante, niente di più onorevole che uccidere!

       30 giugno. Uccidere è legge: perché la natura ama l’eterna giovinezza. Essa sembra urlare in ogni suo atto primordiale:
       «Presto, presto, presto!».
       Più si distrugge, più si rinnova.

       2 luglio. L’essere... che cos’è l’essere? Tutto e niente. Per il pensiero filosofico è il riflesso di tutto. Per la memoria e per le scienze è un compendio dell’universo, di cui porta in sé la testimonianza storica. Specchio delle cose e specchio dei fatti, ogni essere umano diventa un piccolo universo nell’universo!
       Ma viaggiate, osservate il formicolare di tutte le razze, e allora l’uomo non è più nulla, più nulla... Più nulla. Salite in barca, allontanatevi dalla riva gremita di gente, presto non scorgerete più che la costa. L’essere umano diventa impercettibile, scompare, tanto è minuscolo e privo di significato. Traversate l’Europa in un treno rapido, e guardate dal finestrino: uomini, uomini, ancora uomini, innumerevoli, sconosciuti, che brulicano nei campi, che brulicano nelle strade, stupidi contadini che sanno appena dissodare la terra, donne schifose che sanno appena fare la minestra per i maschi e generare. Andate in India, andate in Cina e vedrete anche li agitarsi milioni di esseri che nascono, vivono e muoiono senza lasciare traccia maggiore di quella che lascia una formica schiacciata per via. Andate nei paesi della razza nera dove ci si ripara in capanne di fango: nei paesi degli arabi chiari di pelle dove ci si metta al riparo sotto una tenda grezza che ondeggia al vento, e capirete che l’essere singolo, isolato non è niente, assolutamente niente. La razza è tutto. Che cos’è l’individuo, l’oscuro individuo d’una tribù che erra nel deserto? Queste popolazioni nella loro saggezza non temono la morte. Per loro l’uomo come individualità non conta nulla. Si uccide un nemico: è la guerra, la stessa cosa che una volta da noi opponeva castello a castello, provincia a provincia.
       Girate il mondo, osservate il lavorio di tante esistenze umane sconosciute. Sconosciute? Ah, ecco la chiave del problema! Uccidere è un delitto in quanto abbiamo numerato gli individui! Quando nascono, vengono registrati, si dà loro un nome, vengono battezzati! La legge li fa suoi. Invece un individuo che non è registrato non conta: si può uccidere in una landa o nel deserto, in montagna o in pianura: che importanza ha? La natura ama la morte: non punisce, lei!
       Lo Stato invece può uccidere perché ha il diritto di modificare l’anagrafe. Quando ha fatto massacrare duecentomila uomini in una guerra, li cancella dallo Stato civile, li sopprime per mano di un burocrate. E finita. Ma noi, noi che non possiamo mutare le registrazioni comunali, noi dobbiamo rispettare la vita.
       Stato civile, divinità gloriosa che imperi nei templi delle municipalità, io ti saluto! Tu sei più forte della Natura! Ah, ah, ah!

       3 luglio. Uccidere deve dare un piacere strano, un piacere intenso; aver davanti a sé un essere vivente e pensante; far dentro di lui un buchetto, soltanto un buchetto, veder scorrere quella cosa rossa che chiamiamo sangue, il sangue che forma la vita, e avere, dopo, davanti a sé solo un mucchio di carne fredda, molle, inerte, vuota di pensiero!

       5 agosto. Se io, che ho passato tutta la vita a giudicare, condannare, uccidere con la mia parola e uccidere con la ghigliottina quelli che a loro volta avevano ucciso col coltello.., se... io... io facessi come tutti gli assassini che ho condannato, io, io, chi mai potrebbe venire a saperlo?

       10 agosto. Chi verrebbe mai a saperlo? Chi potrebbe sospettare di me, di me, specie se scegliessi qualcuno che non avessi interesse a sopprimere?

       15 agosto. La tentazione, la tentazione! È entrata dentro di me come un verme che striscia. Striscia, avanza, serpeggia in tutto il mio corpo, nell’animo mio che ormai pensa soltanto a questo: uccidere; nei miei occhi, che hanno bisogno di vedere il sangue, di veder morire; nelle mie orecchie, dove risuona senza posa un sussurro sconosciuto, orribile, straziante e sconvolgente, l’ultimo grido d’un essere umano; nelle mie gambe, che fremono dal desiderio di andare, di andare sul luogo ove avverrà la cosa; nelle mie mani, che rabbrividiscono per il bisogno di uccidere. Uccidere: piacere raro, degno d’un uomo veramente libero e superiore a tutti gli altri, padrone delle proprie passioni e anelante raffinate sensazioni.

       22 agosto. Non potevo più resistere. Ho ammazzato una bestiola: per provare, per cominciare.
       Jean, il mio domestico, aveva un cardellino in una gabbia sospesa alla finestra della dispensa. L’ho mandato fuori per una commissione e ho preso in mano l’uccellino. Sentivo battere il suo cuore nella mano. L’uccellino aveva caldo. Sono salito in camera mia. Ogni tanto lo stringevo più forte e il suo cuore batteva più veloce: era atroce, era stupendo. Stavo per soffocarlo. Ma così non avrei veduto il sangue.
       Allora ho preso le forbici, quelle per le unghie. Gli ho tagliato la gola con tre colpi, adagio adagio. Apriva il becco, si dibatteva per scappare, ma io lo tenevo — oh, come lo tenevo stretto! Avrei tenuto prigioniero un mastino idrofobo!
       Ho visto scorrere il sangue. Com’è bello, rosso, lucente e limpido! Avevo voglia di berlo. Vi ho tuffato la punta della lingua. E buono. Ma ne aveva così poco, quel povero uccellino! Non ho avuto il tempo di eccitarmi a quella vista, come avrei desiderato. Vedere un toro che si dissangua dev’essere uno spettacolo superbo!
       E poi ho fatto come gli assassini, come i veri assassini.

Ho lavato le forbici, mi sono lavato le mani, ho buttato l’acqua e ho portato quel corpicino morto in giardino. L’ho sepolto sotto una macchia di fragole. Nessuno lo troverà mai. E io mangerò ogni giorno una fragola di quella macchia. Davvero, come si può godere la vita, quando si conoscono certi piaceri!
       Il domestico ha pianto. Crede che l’uccellino sia fuggito. Come potrebbe sospettare di me? Ah! ah, ah!

       25 agosto. Bisogna che uccida un uomo. E necessario!

       30 agosto. L’ho fatto. Sono deluso!
       Ero andato a fare una passeggiata nella foresta di Vernes. Non pensavo a niente, no, proprio a niente. Ed ecco sul mio sentiero un ragazzino. Mangiava una fetta di pane imburrato.
       Si ferma per lasciarmi passare e dice:
       «Buon giorno, signor presidente!».
       Subito un pensiero si fa luce nella mia mente. «Se lo uccidessi?»
       Rispondo:
       «Sei solo, ragazzo mio?».
       «Sì, signore.»
       «Solo solo nella foresta?»
       «Sì, signore.»
       Ero ebbro, come se avessi bevuto, per il desiderio di uccidere.
       M’avvicinai a lui pian piano, convinto che sarebbe scappato. Ecco che l’afferro alla gola... Stringo, stringo con tutta la mia forza... Mi ha guardato con occhi terrorizzati! Che occhi! Rotondi, profondi, limpidi, terribili! Non ho mai provato un’emozione tanto forte.., ma anche così breve! Teneva i miei polsi nelle sue manine. Il suo corpo si contorceva come una piuma sul fuoco. Poi non s’è più mosso.
       Il mio cuore batteva forte... ah! il cuore dell’uccellino! Ho buttato il corpo in un fosso e poi v’ho sparso sopra delle frasche.
       Sono tornato a casa, ho mangiato di buon appetito. Una cosa da niente!
       La sera ero allegro, leggero, ringiovanito... ho passato la serata in casa del Prefetto. Hanno trovato tutti che ero in vena di spiritosaggini.
       Ma non ho veduto il sangue. Comunque adesso sono tranquillo.

       30 agosto. Hanno trovato il cadavere. Cercano l’assassino. Ah! Ah! Ah!

       1 settembre. Hanno arrestato due vagabondi. Però mancano le prove.

       2 settembre. I genitori del ragazzino sono venuti da me. Hanno pianto. Ah! Ah! Ah!

      6 ottobre. Non s’è trovato nulla. Sarà stato qualche vagabondo. Ah, ah! Se avessi visto scorrere il sangue, adesso, mi pare, potrei essere tranquillo!

      18 ottobre. Il desiderio di uccidere mi serpeggia nelle midolla. È una sensazione simile a quella delle crisi d’amore che si provano sui vent’anni.

      20 ottobre. Un altro! Dopo colazione camminavo in riva al fiume. Ho intravisto un pescatore addormentato sotto un salice. Era poco dopo mezzogiorno. C’era una vanga che sembrava messa lì apposta, infissa in un campo di patate. L’ho presa, sono tornato indietro, l’ho alzata come una mazza e con un colpo solo, col ferro, gli ho spaccato la testa. Ah! Quanto sangue, questa volta! Sangue vermiglio, pieno di materia cerebrale! Scorreva anche nel fiume, adagio adagio. Mi sono allontanato con passo sicuro. Se qualcuno m’avesse visto.., ah, ah! sarei potuto diventare un assassino perfetto.

       25 ottobre. L’episodio del pescatore ha fatto scalpore. Accusano del delitto un nipote che era andato a pesca col morto.

       26 ottobre. Il giudice istruttore sostiene che il nipote è colpevole. In città ne sono tutti convinti. Ah, ah!

       27 ottobre. Il nipote si difende molto male. Sostiene che era andato al villaggio per comperare del pane e del formaggio. Giura che lo zio è stato ammazzato mentre lui era via. Chi lo crederà?

       28 ottobre. Gli han fatto perdere la testa a un punto tale che ha quasi confessato. Ah! Ah! La giustizia!

       15 novembre. Hanno trovato prove schiaccianti contro il nipote che avrebbe ereditato i beni dello zio. Io presiederò la Corte d’Assise.

       25 gennaio. A morte! A morte! A morte! L’ho fatto condannare a morte. Ah, ah! Il Pubblico Ministero ha parlato come un angelo. Ah, ah! Un altro! andrò a vederlo mentre gli mozzeranno la testa.

       18 marzo. È fatta. L’hanno ghigliottinato stamattina. È morto bene, anzi benissimo. Come sono contento! È bello veder tagliare la testa d’un uomo. Il sangue è sprizzato come un’ondata. Sì, come un’ondata! Ah, se avessi potuto avrei voluto farci il bagno dentro. Dev’essere inebriante rotolarsi a terra là sotto quel getto, riceverlo nei capelli e sulla faccia e diventare rosso, rosso! Ah, se sapessero! Ora aspetterò, posso aspettare. Ci vorrebbe poco a farmi scoprire...
       Il manoscritto conteneva molte altre pagine, ma in esse non si faceva menzione di altri delitti. Gli alienisti a cui è stato sottoposto questo testo sostengono che nel mondo esistono molti dementi che vengono ignorati da tutti: sono scaltri e terribili come questo pazzo mostruoso.