I pirati fantasma

La Ballata dell'Inferno O! O!
1. La figura che uscì dal mare
2. Che cosa vide Tammy il mozzo
3. L'uomo sull'albero maestro
4. L'episodio della vela spiegata
5. La fine di Williams
6. Un altro uomo al timone
7. La comparsa della nebbia e ciò che essa portò
8. La luce verde
9. L'uomo che grid aiuto
10. Le mani che tiravano
11. Alla ricerca di Stubbins
12. Il consiglio
13. l'ombra nel mare
14. La nave fantasma
15. La grande nave fantasma
16. I pirati fantasma
Appendice: la nave silenziosa.

La Ballata dell'Inferno O! O!

Solista... All’argano, marinai!
Marinai. . Ha!-o-o! Ha!-o-o!
Solista... Alle barre dell’argano, anime incatramate!
Marinai... Ha!-o-o! Ha!-o-o!
Solista... Date un giro!
Marinai... Ha!-o-o!
Solista... Pronti a spostare!
Marinai. . Ha!-o-o!Solista...
Pronti a mollare!
Marinai... Ha!-o-o!
Solista... Ha!o-o-o-o!
Marinai... MOLLA! E via andiamo!
Solista... Ascolta lo scalpitio dei vecchi marinai!
Marinai… Zitto! Scalpitano!
Solista... Scalpitano, scalpicciano — pestano, calpestano, Mentre la gomena si tende
Marinai... Ascolta! Scalpicciano!
Solista... Molta quando si tende!
              È’ bello-o-o-o quando si allenta!
Marinai... Ha! o-o-o-o! si tendono!
               Ha! o-o-o-o- scalpicciano!
               Ha! o-o-o-o-o-a-! Ha! o-o-o-o-o-o!
Coro... Gridano ora; oh! Sentiti
            Scampanii, scalpiccii
            Ha!-o-o-o! Ha!-o-o-o! Ha!-o-o-o!
Grida, Scalpitii!
Solista... O ascolta l’indimenticabile coro dell’argano e delle barre!
              Il canto-o-o-o, lo schiocco e lo schianto.
              Urtano contro le stelle!
Marinai... Ha-a!-o-o-o! Molta e andiamo!
               Ha-a!-o-o-o! Ha-a!-o-o-o!
Solista... Senti la canzone dell’argano. Senti la ballata dei Marinai;
              Lo stridio li copre
              Le campane rispondono alle barre.
Marinai... Senti e ascolta! Sentiti!
              Ha-a!-o-o! Ha-a!-o-o!
Solista.. Senti le canzoni che lanciano contro il cielo!
Marinai... Ha-a!-o-o! Ha-a!-o-o!
Solista.. Zitto! Sentiti! Ascolta
O sentili!
Lanciano bestemmie tra le cime!
Marinai... Ascolta! O sentili!
               Zitto! O sentili!
Solista... Scalpitano tra le barre!
Coro... Gridano ora; oh! sentiti
            Scampanii, scalpiccii:
            Ha-a!-o-o-o! Ha-a!-o-o-o!
            Ha-a!-o-o-o!
            Grida, scalpitii!
Solista... O senti il canto dell’argano!
Romba l’argano!
Marinai...Clic e clac, clic
               Molla, E si alza il vocio!
Solista...Clic e clac, miei bei ragazzi.
             Com’è bello!
Marinai... Ha-a!-o-o! Senti il clic e il clac!
Solista... Ha-a!-o-o! Clic e clac!
Marinai...Zitto, O sentili pulsare!
              Ascolta! O sentili bestemmiare!
Solista... Clic, clac, clic clac
Marinai... Ha-a!-o-o! Molla e andiamo!
Solista... Molla! Lascia la cima!
Marinai... Ha-a!-o--o! Lascia la cima:
               Ha-a!-o-o! Clic e clac
Solista...Si affanna ora ogni bel marinaio.
             Molla tutto! Molla t-u-t-t-o!!
Marinai... Ha-a!-o-o! Molla tutto!
Solista...Clic clac - Molla, avanti così!
             Fermi! Tutto pronto?
Marinai... Ha-a!-o-o! Ha-a!-o-o!
Solista... Clic e clac, miei bei ragazzi.
Marinai... Ha-a!-o-o! Molla e andiamo!
Solista... Alza le «castagne», e torna indietro.
Marinai... Ha-a!-o-o! A vanti così-o-o-o-o!
Solista...Grande è la ballata! Grande è l’argano!
              Lascia andare le «castagne»! F-e-r-m-a!
Coro... Hai-o-o! Disarma le barre!
            Ha-a!-o-o! Molla e andiamo!
            Ha-a!-o-o! Carica le barre!
            Ha-a!-o-o! E via voliamo!
            Ha-a!-o-o-o!Ha-a!o-o-o-o!Ha-a!-o-o-o-o-o!

1. La figura che uscì dal mare

       Cominciò senza alcun preambolo.
       Raggiunsi la Mortzestus a San Francisco. Prima di essere ingaggiato, avevo sentito che giravano delle storie strane intorno a quella nave, ma ero senza imbarco e troppo ansioso di partire per preoccuparmi di sciocchezze. Inoltre, a quanto si diceva, su quel vascello il cibo e la paga erano buoni.
       Quando chiesi a qualcuno di chiarirmi quelle voci, nessuno vi riuscì. Mi fu etto solo che la Mortzestus era sfortunata, e che faceva delle traversate straordinariamente lunghe e incontrava spesso brutto tempo. E poi, per due volte, era stata disalberata e aveva perso il carico. Inoltre le erano accadute un mucchio di altre cose che possono succedere a qualsiasi nave, e in cui non piacevole essere coinvolti. Ma erano cose normali, ed ero disposto a rischiare pur di tornare a casa. Ciò nonostante, se ne avessi avuto la possibilità mi sarei imbarcato su qualche altro vascello, solo per una questione di comodità. Quando posai la mia sacca sulla nave, scoprii che avevano già ingaggiato il resto della ciurma. Vedete, tutto l’equipaggio era fuggito quando la nave era arrivata a San Francisco, cioè, tutti tranne un ragazzo, un «cockney» che era rimasto sulla nave. In seguito, quando lo conobbi, mi disse che aveva avuto intenzione di ricavarne un giorno di paga sia che lo facesse qualcun altro sia che non lo facesse nessuno.
       La prima notte che passai a bordo, scoprii che tra gli altri uomini della ciurma l’argomento generale di conversazione era il fatto che la nave avesse qualcosa di strano. Dicevano, come se fosse un fatto scontato, che la nave era abitata dai fantasmi. Eppure tutti trattavano l’argomento in modo scherzoso, tutti tranne il giovane «cockney» di nome Williams che, invece di ridere alle facezie degli altri, sembrava prendere sul serio tutta la faccenda.
       Tutto ciò m’incuriosì. Cominciai a chiedermi se, dopo tutto, quelle chiacchiere avessero un fondamento di verità. Colsi la prima occasione per chiedere al giovane «cockney» se avesse qualche ragione di credere che le voci sulla nave fossero fondate.
       Sulle prime sembrò poco disposto a parlare, ma poi cambiò idea, e mi disse di non sapere di nessun incidente in particolare che si potesse definire insolito nel senso che intendevo io. Eppure c’era un mucchio di piccole cose che, smesse insieme, davano da pensare. Per esempio, la Mortzestus faceva sempre traversate molto lunghe e trovava sempre tempo molto brutto: bonacce e venti di prua. Poi accadevano altre cose: le vele che, come egli stesso sapeva, erano state riposte con cura, di notte venivano trovate spiegate. E poi disse cosa che mi sorprese.
       Ci sono troppe ombre su questa nave. Danno sui nervi come nient’altro che abbia mai visto.»
       Parlò tutto d’un fiato, senza riflettere, e io mi voltai a guardarlo.
       «Troppe ombre!», dissi. «Che diavolo vuoi dire?»
       Ma lui rifiutò di dare spiegazioni odi dirmi dell’altro. Scosse solo stupidamente il capo, quando lo interrogai. Sembrava aver preso improvvisamente un atteggiamento scontroso. Fui certo che si stesse comportando di proposito così ottusamente. Pensavo che provasse, in un certo senso, vergogna per essersi, lasciato andare, per aver espresso i propri pensieri sulle «ombre». Quel tipo d’uomo talvolta pensa delle cose, ma spesso non le esprime in parole. A ogni modo, capii che era inutile fargli altre domande, perciò lasciai cadere l’argomento. Eppure, per parecchi giorni dopo quest’episodio, mi ritrovai a chiedermi, di tanto in tanto, che cosa avesse voluto intendere per «ombre».
       Il giorno dopo partimmo da San Francisco con un bel vento a favore, che sembrava smentire le chiacchiere sulla sfortuna della nave. Eppure...
       Esitò per un momento, e poi riprese a parlare.
       Nelle prime due settimane di viaggio, non accadde nulla d’insolito, e il vento si mantenne ancora a favore. Cominciai a pensare di essere stato piuttosto fortunato a imbarcarmi su quella nave. La maggior parte degli uomini era soddisfatta, e l’equipaggio cominciava a pensare che le chiacchiere sui fantasmi della Mortzestus fossero tutte sciocchezze. Ma poi, proprio quando stavo cominciando ad ambientarmi, accadde qualcosa che mi aprì gli occhi.
       Era il turno di guardia dalle Otto a mezzanotte, e io ero seduto sulla scaletta di tribordo che portava al castello di prua. La notte era bella e c’era una luna splendida. A poppa udii il mozzo battere i quattro colpi per segnalare che erano passate quattro ore di guardia, e udii la vedetta, un vecchio di nome Jaskett, rispondergli. Mentre mollava la cima della campana, mi vide. Io ero seduto tranquillamente a fumare. Si sporse oltre la murata, e guardò in basso verso di me.
       «Sei tu, Jessop?», chiese.
       «Credo di sì», risposi.
       «Abbiamo visto le nostre nonne e tutti i nostri parenti in gonnella venire in mare in nottate come questa», osservò pensosamente, indicando con un ampio movimento della pipa e della mano, la tranquillità del mare e del cielo.
       Non vidi nessun motivo di contraddirlo, ed egli continuò:
       «Se questa vecchia nave è abitata dai fantasmi, come dice qualcuno, allora tutto quello che posso dire è che vorrei avere la fortuna d’incontrare un fantasma dello stesso genere. Cibo buono, il budino la domenica, una ciurma decente, e tutte le comodità così da sentirsi a proprio agio. E quanto al fatto che sulla nave ci siano i fantasmi, è tutta una dannata assurdità. Sono stato su un mucchio di navi che si diceva fossero abitate dagli spettri, e qualcuna lo era, ma mai da fantasmi donna. In una nave su cui sono stato imbarcato, gli spettri non ti facevano chiudere occhio durante il turno sottocoperta finché non li avevi scacciati dalla tua cuccetta. A volte...».
       In quel momento arrivò un marinaio a sostituire la vedetta, salì sul castello di prua lungo l’altra scaletta, e il vecchio si voltò a chiedergli «Perché diavolo» non fosse venuto a dargli il cambio per tempo. Il marinaio rispose qualcosa che non afferrai perché d’improvviso, a poppa, il mio sguardo piuttosto assonnato si era fermato su qualcosa di straordinario e di terribile. Era la figura di un uomo che si arrampicava a bordo, lungo la murata di tribordo, a poppa del sartiame di coperta. Mi alzai, mi afferrai al corrimano e guardai.
       Dietro di me, qualcuno parlò. Era la vedetta, che era scesa dal castello di prua e si stava dirigendo a poppa per comunicare al Secondo Ufficiale il nome del marinaio che gli aveva dato il cambio.
       «Che cosa c’è, amico?», mi chiese curioso, notando il mio atteggiamento attento.
       La cosa, qualsiasi fosse, era scomparsa tra le ombre che erano dal lato sottovento del ponte.
       «Niente! », risposi brevemente. Perché allora ero troppo stupito di quello che avevo visto per dire qualcos’altro. Volevo pensare.
       Il vecchio lupo di mare mi lanciò uno sguardo, mormorò qualcosa, e s’incamminò verso poppa.
       Rimasi lì a guardare, forse per un minuto, ma non vidi niente. Allora camminai lentamente verso poppa, fino all’estremità della tuga. Da lì vedevo la maggior parte del ponte di coperta, ma non scorsi nulla tranne, naturalmente, le ombre delle cime, degli alberi e delle vele che oscillavano avanti e indietro al chiaro di luna.
       Il vecchio che aveva appena finito il turno di guardia, era ritornato a prua, e io ero solo in quella parte del ponte. Allora, improvvisamente, mentre scrutavo tra le ombre dal lato sottovento, ricordai che Williams aveva detto che c’erano troppe ombre.
       Ero stato troppo sorpreso per capire che cosa avesse voluto dire, allora. Ora, non avevo difficoltà. C’erano troppe ombre. Eppure, ombre o no, capii che, per la mia tranquillità, dovevo stabilire una volta per tutte se la cosa, che mi era sembrato fosse salita a bordo dall’oceano, fosse una realtà o una creazione — come direste voi — della mia fantasia.
       La ragione mi diceva che non era stato nient’altro che fantasia, un sogno veloce: forse mi ero appisolato. Ma qualcosa di più profondo della ragione mi diceva che non era così. Decisi di verificarlo, e mi diressi verso le ombre:
       non c’era niente.
       Divenni più coraggioso. Il buon senso mi diceva che dovevo essermi immaginato tutto. Mi avvicinai all’albero maestro, e guardai dietro la battagliola che lo circondava in parte e, in basso, tra le ombre delle pompe, ma anche lì non c’era niente.
       Allora m’infilai nell’interruzione di poppa. Lì sotto era più buio che sul ponte. Guardai su entrambi i lati del ponte, e vidi che non c’era ciò che cercavo. Questa certezza era confortante. Lanciai un’occhiata ai barcarizzi, e ricordai che niente poteva essere salito a bordo da lì, senza che il Secondo Ufficiale o il mozzo lo avessero veduto.
       Allora appoggiai la schiena contro le paratie, e riflettei su tutta la faccenda rapidamente, fumando la pipa e tenendo lo sguardo fisso sul ponte. Conclusi la. mia riflessione, e dissi «No!» ad alta voce. Poi mi venne qualcosa in mente, e dissi: «Ameno che...» e mi avvicinai alla murata di tribordo, dove guardai su e giù il mare: ma non c’era nient’altro che acqua. Allora mi voltai e m’incamminai verso prua. Il mio buon senso aveva trionfato, e io mi ero convinto che l’immaginazione mi aveva giocato un brutto scherzo.
       Arrivai alla porta di babordo che dava sul castello di prua e, stavo per entrare, quando qualcosa mi spinse a voltarmi indietro. Lo feci, e un tremito mi scosse tutto. A poppa, nella scia ondeggiante della luna che illuminava il ponte e l’albero maestro, c’era una figura scura, indistinta.
       Era la stessa figura che avevo appena attribuito alla mia immaginazione. Devo ammettere che mi sentivo più che sorpreso: ero terrorizzato. Ero ormai convinto che non si trattasse di una fantasia. Era una figura umana. Ma le ombre e la luce della luna che si alternavano, mi rendevano impossibile vedere di più. Allora, mentre rimanevo li indeciso e spaventato, pensai che qualcuno stesse facendo la parte del fantasma, benché smettessi di chiedermi per quale ragione o scopo.
       Ma ero felice di qualsiasi idea che il buon senso non ritenesse impossibile e, per il momento, mi sentii sollevato. Prima non avevo considerato questa possibilità. Cominciai a farmi coraggio. Mi accusai di avere troppa fantasia, altrimenti l’avrei capito. Ma, strano a dirsi, nonostante tutti i miei ragionamenti, avevo ancora paura di andare a poppa per scoprire chi fosse la persona ferma sul lato sottovento del ponte di coperta. Eppure sentivo che, se non l’avessi fatto, sarei stato da buttare ai pesci. Perciò m’incamminai, benché non molto velocemente, come potete immaginare.
       Avevo già percorso metà della distanza, e la figura era ancora lì, immobile e silenziosa. La luce della luna e le ombre si intrecciavano su quella forma, a ogni rollio della nave. Penso che mi sforzassi di essere sorpreso. Se era uno dei marinai che faceva il buffone, doveva avermi sentito arrivare, e allora, perché non se la svignava quando ne aveva ancora l’opportunità? E dove poteva essersi nascosto prima? Mi feci tutte queste domande rapidamente, con uno strano miscuglio di dubbio e di certezza e, nel frattempo — vedete — mi stavo avvicinando. Avevo oltrepassato la tuga, ed ero a meno di venti passi di distanza quando, d’improvviso, la figura silenziosamente fece tre ampi passi verso la battagliola di babordo, e saltò in mare.
       Mi precipitai a guardare, ma non vidi mente, tranne l’ombra della nave che ondeggiava sul mare illuminato dalla luna.
       Sarebbe impossibile dire per quanto tempo rimasi a fissare l’acqua con uno sguardo assente: certamente trascorse un intero minuto. Mi sentivo vuoto, solo orribilmente vuoto: tanto violenta era stata la conferma della mostruosità di quella cosa che io avevo ritenuto fosse solo una fantasia. Mi sembrò per qualche minuto, sapete, di essere privo della capacità di pensare coerentemente. Credo che fossi stordito, intontito.
       Come ho detto, trascorsi più o meno un minuto a fissare l’acqua scura che era sotto la fiancata della nave. Poi ritornai improvvisamente in me. Il Secondo Ufficiale stava urlando: «Mettete sottovento i bracci di trinchetto».
       Mi avvicinai ai bracci, come in sogno.

2. Che cosa vide Tammy il mozzo

       La mattina seguente, durante il mio turno di guardia sottocoperta, andai a dare un’occhiata ai punti dove quella cosa strana era salita a bordo e aveva lasciato la nave. Ma non scoprii mente d’insolito e nessun indizio che mi aiutasse a chiarire il mistero dell’uomo strano.
       Per parecchi giorni dopo quella notte, tutto fu tranquillo, sebbene la notte mi aggirassi sui ponti cercando di scoprire qualcosa di nuovo che servisse a gettare una luce sulla faccenda. Fui attento a non dire niente a nessuno della cosa che avevo visto. A ogni modo, ero certo che mi avrebbero solo riso in faccia.
       Trascorsero molte notti nello stesso modo, e io non ero nemmeno un briciolo più vicino a una soluzione del problema. E poi, durante il secondo turno di guardia, accadde qualcosa.
       Era il mio turno al timone. Tammy, uno dei mozzi al primo imbarco, controllava il tempo, camminando su e giù lungo il lato sottovento della poppa. Il Secondo Ufficiale stava avanti, appoggiato al corrimano di poppa e fumava. Il tempo era ancora bello, e la luna, benché calante, era tanto luminosa da fai risaltare ogni particolare.
       Erano già passate tre ore, e devo ammettere che avevo sonno. In realtà, credo di aver sonnecchiato, perché la vecchia nave rispondeva bene al timone e c’era pochissimo da fare, oltre che dare di tanto in tanto un colpetto.
       Ma poi, all’improvviso, mi sembrò che qualcuno mi chiamasse, sottovoce. Non potevo esserne certo, e lanciai prima un’occhiata al punto dove il Secondo Ufficiale stava fumando, e poi guardai nella chiesuola. La nave era sulla rotta giusta, e mi sentivo sollevato. Poi, improvvisamente, udii di nuovo la voce. Questa volta non c’erano dubbi, per cui gettai un’occhiata sottovento.
       Allora vidi Tammy allungarsi sull’agghiaccio, con la mano tesa, nell’atto di toccarmi un braccio. Stavo per chiedergli che diavolo volesse, quando si ‘portò un dito alla bocca per farmi segno di non parlare, e indicò verso la prua, lungo il lato sottovento di poppa. Alla luce fioca, il suo viso era pallido, e pareva molto agitato. Per qualche secondo fissai nella direzione che indicava, ma non vidi niente.
       «Che cos’è?», domandai a voce bassa, dopo aver scrutato inutilmente.
       «Non vedo niente.»
       «Shhh!», sussurrò, senza guardarmi. Poi, con un improvviso singulto, saltò nel chiostro del timone, e si fermò accanto a me, tremando. Il suo sguardo seguiva i movimenti di qualcuno che io non vedevo.
       Devo confessare che ero sorpreso. Il suo atteggiamento, che aveva rivelato tanto terrore, e il modo in cui fissava sottovento, mi fecero pensare che vedesse qualcosa di soprannaturale.
       «Che diamine ti è successo?», chiesi aspramente. Poi mi ricordai del Secondo Ufficiale. Lanciai un’occhiata verso il punto avanti, in cui oziava. Ci i volgeva ancora le spalle, e non aveva visto Tammy. Allora mi voltai verso il i. ragazzo
       «Per l’amor di Dio, torna al tuo posto prima che il Secondo ti veda!», dissi. «Se vuoi dirmi qualcosa, dimmela dall’altra parte del chiostro del timone. Stavi sognando.»
       Mentre parlavo, quel furfantello mi afferrò con una mano per la manica e, indicando con l’altra il solcometro, urlò: «Sta venendo! Sta venendo...».
       In quell’istante, il Secondo Ufficiale arrivò correndo, e chiese che cosa stesse accadendo. Allora, all’improvviso, vidi qualcosa che somigliava a un uomo, accucciato sotto la battagliola che era vicina al solcometro. Ma era così vaga e irreale, che potevo a stento dire di aver visto qualcosa. Poi, come in un lampo, i miei pensieri corsero alla figura silenziosa che avevo visto alla luce tremolante della luna, una settimana prima.
       Il Secondo Ufficiale mi raggiunse, e io indicai la figura, senza parlare. Eppure, mentre lo facevo, ero consapevole che egli non avrebbe visto quello che vedevo io. (Strano, non è vero?) E poi, in un attimo, persi di vista la cosa, e mi accorsi che Tammy mi stringeva le ginocchia.
       Il Secondo continuò a fissare il solcometro per qualche secondo, poi si voltò verso di me con un sorriso di scherno.
       «Dormivate tutti e due, suppongo!» Quindi, senza aspettare un mio diniego, disse a Tammy di andare all’inferno e di smettere di fare baccano, o l’avrebbe buttato a calci giù dalla poppa.
       Dopodiché, andò a poppa e riaccese la pipa. Qui cominciò a camminare avanti e indietro, lanciandomi, di tanto in tanto, delle occhiate che mi sembrava avessero un’espressione mista di dubbio e di stupore.
       Più tardi, non appena mi fu dato il cambio, mi affrettai alla volta della cabina del mozzo. Ero ansioso di parlare a Tammy. C’erano una decina di domande che mi preoccupavano, ed ero incerto sul da farsi. Lo trovai accucciato su una cuccetta, con le ginocchia tirate fino al mento, e lo sguardo fisso sull’entrata con un’espressione terrorizzata. Infilai la testa nella cabina ed egli sobbalzò, poi vide chi era, e il volto gli si rilassò.
       Disse: «Entra», con una voce bassa, che cercava di non far tremare. Scavalcai il battente della porta, e mi sedetti su una cuccetta di fronte a lui.
       «Che cos’era?», chiese, mettendo i piedi a terra e chinandosi in avanti. «Per l’amor di Dio, dimmi che cos’era!»
       La sua voce era salita di tono, e io alzai una mano per ammonirlo.
       «Shhh!», dissi. «Sveglierai gli altri.»
       Il ragazzo ripeté la domanda, ma a voce più bassa. Esitai prima di rispondergli. Sentii, improvvisamente, che sarebbe stato meglio negare tutto, dire che non avevo visto niente d’insolito. Pensai rapidamente, e gli diedi una risposta in un batter d’occhio.
       «Che cos’era che cosa?», dissi. «t proprio quello che sono venuto a chiederti. Ci hai fatti sembrare una bella coppia di pazzi lassù a poppa, con le tue buffonate isteriche.»
       Conclusi il mio rimprovero in tono adirato.
       «Non era una buffonata! », rispose con un bisbiglio veemente. «Sai che non lo era. Sai che l’hai visto anche tu. L’hai indicato al Secondo Ufficiale. Ti ho visto.»
       Il furfantello stava quasi per gridare, sia per la paura che per l’offesa della mia falsa incredulità.
       «Sciocchezze!», replicai. «Sai bene che ti eri addormentato durante il tuo turno. Hai sognato qualcosa e ti sei svegliato all’improvviso. Eri fuori dite.»
       Ero deciso a rassicurarlo se fosse stato possibile, sebbene, buon Dio! volessi rassicurare anche me. Se avesse saputo che avevo visto un’altra cosa sul ponte di coperta, che cosa sarebbe successo?
       «Non dormivo, proprio come te», disse con tono astioso. «E tu lo sai. Mi stai solo imbrogliando. Sulla nave ci sono i fantasmi.»
       Che cosa?», dissi in tono aspro.
       «Sulla nave ci sono i fantasmi», ripeté. «Ci sono i fantasmi.»
       «Chi lo dice?», chiesi in tono incredulo.
       «Io lo dico! E tu lo sai. Tutti lo sanno, ma non ci credono molto... Io non ci credevo fino a stanotte.»
       «Dannate sciocchezze! », risposi. «Sono tutte chiacchiere di vecchi marinai. Se questa nave è abitata da fantasmi, io sono uno spettro.»
       «Non sono dannate sciocchezze», rispose, non persuaso. «E non sono chiacchiere di vecchi marinai... Perché non vuoi dire che l’hai visto!», gridò, eccitato fino alle lacrime, e alzando di nuovo la voce.
       Lo ammonii di non svegliare gli altri.
       «Perché non vuoi dire che l’hai visto!», ripeté. Mi alzai dalla cuccetta e andai verso la porta.
       «Sei un piccolo idiota!», dissi. «E ti devo raccomandare di non andare in giro per la nave a dire queste sciocchezze.      Accetta il mio consiglio, mettiti a letto e fai una buona dormita. Stai parlando come un pazzo. Domani forse ti accorgerai che hai fatto la figura dello stupido. »
       Scavalcai il battente della porta, e me ne andai. Credo che mi segui fino alla porta per dirmi qualcos’altro, ma nel frattempo mi ero già allontanato.
       Durante i due giorni successivi, lo evitai per quanto mi fosse possibile, facendo attenzione a non trovarmi mai solo con lui. Ero deciso, se fosse stato possibile, a convincerlo che si era sbagliato nel credere di aver visto qualcosa quella notte. Eppure, dopo tutto, fu inutile, come vedrete tra poco. Perché, due notti dopo, si ebbe un ulteriore e straordinario sviluppo della faccenda, che rese del tutto inutili i miei dinieghi.

3. L'uomo sull'albero maestro
4. L'episodio della vela spiegata
5. La fine di Williams
6. Un altro uomo al timone
7. La comparsa della nebbia e ciò che essa portò
8. La luce verde
9. L'uomo che grid aiuto
10. Le mani che tiravano
11. Alla ricerca di Stubbins
12. Il consiglio
13. l'ombra nel mare
14. La nave fantasma
15. La grande nave fantasma
16. I pirati fantasma
Appendice: la nave silenziosa.