Veramente i Giudei furono perfidi?

Una lancia spezzata a favore
delle autorità giudaiche

B
reve riflessione sui rapporti
tra Gesù e le autorità giudaiche

in un difficile contesto storico



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La tradizione cristiana, sull'onda dei Vangeli, ci ha tramandato il ricordo della perfidia degli ebrei, che condannarono Gesù, vittima innocente del loro odio e della loro cecità spirituale. Essa conservò questo ricordo nella preghiera del Venerdì Santo, con cui, fino a qualche decennio fa, invitava i propri fedeli a pregare per i perfidi Giudei
1. A distanza di circa due millenni dagli accadimenti di quel tempo è da chiedersi se gli ebrei, o meglio, le autorità religiose e civili del giudaismo di quel tempo fossero veramente perfide e così malvagie e cieche come gli evangelisti ce le presentano; o se, invece, il loro comportamento nei confronti di Gesù fosse in qualche modo comprensibile e giustificato.

Va subito detto che i vangeli furono scritti nel I sec., tra gli anni 65 e 100 circa, in un periodo di rottura tra il nascente cristianesimo e il mondo giudaico. Le conseguenze furono quelle di un inevitabile scontro con conseguente polemica, che in Matteo e, in particolar modo, in Giovanni è palpabile. Di questo clima di scontro ne risentirono i vangeli e le stesse lettere di Paolo2, le quali ci testimoniano delle forti tensioni che intercorrevano tra lui, le sue comunità e il giudaismo in genere3. Quindi, quanto ci viene trasmesso dai vangeli circa la “perfidia” delle autorità giudaiche non va preso interamente come oro colato, ma va rivisitato e ricompreso attentamente alla luce della realtà degli avvenimenti di quel tempo.

Se è vero il contesto storico in cui Gesù operò; se sono veri i suoi comportamenti e le sue parole, sia pur essi passati attraverso il filtro di una elaborazione di fede e alla luce della risurrezione, davanti a noi si presenta un Gesù che non di rado violava apertamente la sacralità del sabato4, non osservava i digiuni prescritti5, non seguiva le disposizioni della legge sulla purità rituale6. Molto spesso si contrapponeva apertamente alle autorità religiose e civili, legalmente costituite, e non di rado denunciava pubblicamente le loro meschinerie e la loro ipocrisia, destituendole di autorevolezza nei confronti della gente7. Non una parola spendeva a favore della loro rigorosa osservanza della Legge, che si imponevano, né un elogio per la loro pietà (Mt 23,2-3). Egli, inoltre, in particolare verso la fine della sua missione terrena, lasciava intendere, quando non lo proclamava apertamente, di essere lui il Messia atteso, l'inviato di Dio8; anzi, dava da capire alla gente e alle stesse autorità, che, preoccupate, seguivano la sua predicazione e il suo operare, di essere, addirittura, Figlio di Dio e Dio lui stesso9. Criticava duramente la Torah orale e la disprezzava, definendola, tout court, precetti di uomini10, come dire che non valeva un fico secco. Egli, poi, si ergeva a giudice divino, che sarebbe venuto a giudicare gli uomini nella potenza della sua gloria11. Criticava il modo di intendere e di praticare la Torah e ne dava una interpretazione tutta sua, completamente diversa rispetto a quella tramandata dai Padri12. Contestava Mosè circa la possibilità di divorziare, sancendo l'indissolubilità del matrimonio13; si dichiarava favorevole a perdonare alle donne adultere, che Mosè, invece, aveva condannato alla lapidazione14. Frequentava volentieri la feccia dell'umanità, banchettando con i peccatori e i pubblicani, verso i quali aveva una particolare attenzione15. Si lasciava avvicinare e toccare dalle prostitute, immonde e reiette per definizione16. Non solo, ma poneva questa feccia in un confronto spiritualmente vincente con le autorità religiose, prospettando alle prostitute e ai peccatori il Regno dei cieli, che, invece, veniva negato ai pii Farisei17. Annunciava apertamente che avrebbe distrutto il Tempio per poi ricostruirlo in tre giorni18. A dispetto della tradizione dei Rabbi del suo tempo, colloquiava pubblicamente con le donne19. Non va, poi, trascurato come quest'uomo ambiguo, difficile da decifrare per i suoi discorsi non sempre facili da comprendere e da accettare20, se non addirittura blasfemi, come quando invitava la gente a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue, promettendo loro in tal modo la vita eterna21, fosse costantemente circondato da una folla22, che egli affascinava con i suoi discorsi e il suo modo di operare23. Una folla che già aveva tentato di proclamarlo re24. Era una folla che parteggiava per lui e che le autorità temevano25.

Questo, al di là di ogni considerazione teologica e spirituale intessuta in questi duemila anni, fu sostanzialmente il Gesù della storia. Egli si presentò inaspettatamente ai suoi ignari concittadini e alle autorità civili e religiose del suo tempo, che ne rimasero shoccati e scandalizzati. I suoi stessi intimi parenti, sua madre compresa26, non credevano in lui e lo ritenevano fuori di testa27. Molti suoi discepoli, dopo averlo frequentato, lo hanno abbandonato per i suoi discorsi troppo duri e difficili, se non scandalosi e blasfemi28; qualcuno lo ha tradito e altri lo hanno rinnegato o abbandonato con una fuga ignominiosa; altri, invece, delusi, se ne tornarono alle loro case29. Il dubbio su quest'uomo rimase in molti, anche dopo che si presentò risorto da morte30. Nei suoi confronti le autorità si trovarono in una difficile situazione sia civile che religiosa. Da un lato avevano di fronte un sovversivo dissacratore della tradizione dei Padri e per certi aspetti scandalosamente blasfemo; dall'altro, in quanto responsabili dell'ordine pubblico nei confronti degli occupanti Romani, dovevano trovarsi in forte imbarazzo nei confronti di uno che era attorniato costantemente da folle, che egli ammaliava con i suoi discorsi e poteva manovrare come voleva. Poteva scoppiare anche una sommossa, soprattutto durante le festività, e con l'invasore romano in casa non c'era molto da scherzare. La presenza di Pilato, allora governatore della Palestina e famoso per la sua determinazione e la sua crudeltà nell'affrontare e nel risolvere i problemi31, non lasciava tranquilli gli animi delle autorità. Si doveva, quindi, per la pace della Palestina, risolvere alla radice il problema Gesù, che poteva esplodere da un momento all'altro in modo incontrollabile e ciò avrebbe portato sicuramente alla distruzione delle strutture civili e religiose, dei luoghi di culto e alla perdita di ogni autonomia, che i Romani avevano fin lì concesso ai Giudei. Una preoccupazione che lo stesso Caifa aveva esternato ai suoi e che Giovanni, a mio avviso il migliore storiografo tra gli evangelisti, ricorda: “Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: <<Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione>>. Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: <<Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera>>” (Gv 11,47-50; 18,14). Forse per questo hanno deciso di arrestare Gesù sotto le feste di Pasqua e degli Azzimi, perché temevano una qualche azione sovversiva da parte sua. Infatti, solo qualche giorno prima era entrato in Gerusalemme tra gli osanna della gente e da essa acclamato figlio di Davide e re d'Israele, il Profeta, l'Inviato di Dio32. Questa è la vera motivazione che aveva deciso le autorità di farla finita con Gesù. Non sono, dunque, i problemi dottrinali o di rivalità con Gesù, che hanno determinato la sua fine, anche se questi certamente hanno in qualche modo concorso33, ma furono prevalentemente problemi politici, di stabilità e di pace sociale. Le autorità temevano che la crescente notorietà e autorevolezza, che Gesù stava acquisendo presso la gente, portassero le folle, che le autorità giudaiche temevano, fuori dal loro controllo. Questo avrebbe potuto far scatenare una qualche rivolta, che avrebbe spinto i Romani a intervenire pesantemente. Su cosa successe nella guerra giudaica (66-70 d.C.) e in quella successiva, capeggiata da Simon bar Kokheba (132-135 d.C.), ci è testimone la storia. Fu letteralmente una carneficina e un disastro sociale e religioso, che sconvolse e pose fine definitivamente all'assetto sociale e religioso di Israele, operato faticosamente in lunghi secoli di tradizione.
Questo era il personaggio storico Gesù
34; questi erano i problemi che le autorità giudaiche si sono trovate a dover risolvere. Si può forse dar loro completamente torto? Si può forse tacciarle di perfidia e di cecità?

Se ancora qualche dubbio persistesse, trasportiamo ai nostri giorni l'anonimo personaggio di allora, un tale di nome Gesù, come tanti si chiamavano a quel tempo, spogliato da ogni riflessione teologica e dottrinale, intessuta in questi venti secoli, e mettiamolo con il suo modo di operare e di predicare e con le sue pretese, che abbiamo visto sopra, in relazione alla Chiesa di oggi. Forse che il papa o i vescovi, il clero in genere, di fronte a questo sconosciuto, che i suoi stessi parenti ritengono fuori di testa, e sul quale i suoi stessi discepoli nutrono molti dubbi, accorrerebbero ferventi di ardore spirituale ai suoi piedi e lo adorerebbero, riconoscendolo vero Dio, solo perché lo ha detto lui? Forse che il papa gli cederebbe il suo trono pontificio, considerato che lui è soltanto il suo vicario, invitando l'intero mondo cristiano e credente ad aderire alla sua parola? Verrebbero accettate pacificamente le sue contestazioni dottrinali e una rilettura diversa se non opposta della Parola di Dio, fin qui elaborata? Si accetterebbe pacificamente la contestazione di certi dogmi o di certe pretese di questo Clero? Verrebbe ben accolta la definizione della Tradizione cristiana, che la Chiesa definisce come parte della Rivelazione, come fantasie di uomini? O piuttosto il papa e i vescovi non condannerebbero un simile personaggio, tacciandolo di sovversione, di eresia e scomunicandolo, ignorandolo e ghettizzandolo in ogni modo? E buon per lui di non essere nel medioevo o dintorni, perché l'avrebbero sicuramente messo al rogo, come avvenne, per molto meno, per altri sventurati, credendo in tal modo di dar lode a Dio (Gv 16,2).

Cambiano i tempi, ma la Parola di Dio non è sempre facile riconoscerla ed accettarla per quello che essa è e per quello che essa intendeva dire, libera da ogni vincolo dottrinale, che se da un lato la conserva, dall'altro la imbriglia, togliendole ogni vitalità e diventando, così come lo fu ai tempi del giudaismo, uno strumento di potere e, di conseguenza, di divisioni. È il rischio di Dio, quando egli si affida agli uomini. C'è sempre chi si appropria della sua Parola e con l'intento di preservala e di praticarla, ci costruisce attorno una religione, crea una tradizione, la colloca in una chiesa, che la identifica con se stessa, la sterilizza in dottrine e dogmi, traducendo il vivo e personale rapporto con Dio in pesanti regole morali, cultuali e rituali, che rischiano di mortificare il vero credente. Non che tutto ciò non debba esserci, ma tutto ciò non deve costituire il filtro essenziale e primario, la “conditio sine qua non” senza la quale non si può accedere a Dio, se non, addirittura, identificando tutto ciò con l'autentico rapporto gradito a Dio. Gesù nella sua missione terrena ha sempre parlato di una religione che doveva nascere dal cuore, radicarsi in esso ed esprimersi in uno stile di vita gradito a Dio. Il culto, il rito, la regola morale devono diventare strumenti importanti, ma non essenziali, di espressione di quel culto che è già presente nell'intimo dell'uomo e che si esprime primariamente attraverso la vita. È forse un caso che i vangeli e tutta la letteratura neotestamentaria parlino molto di un culto interiore (Rm 12,1-2) e non presentino mai, neanche una sola volta, un Gesù che si reca al Tempio per compiere dei sacrifici o per pregare o per partecipare a celebrazioni cultuali pubbliche? Quando egli prega si ritira sempre nel silenzio di se stesso ed invita a fare altrettanto35, senzamai correre al Tempio o alla sinagoga, come era consuetudine fare (Lc 18,10; At 2,46a). Anzi, viene presentato un Gesù in conflitto con il Tempio e le sue pratiche; un Gesù che accusa un certo modo di praticare la Legge, che non solo soffoca l'autentico rapporto con Dio, ma allontana il credente da Dio (Mt 23,13).

Gesù era venuto anche per dare un nuovo slancio alla religione, rianimando un culto ormai asfittico, fatto di prescrizioni, di riti, di regole morali, ma non sostanziato dal cuore (Mt 15,8; Mc 7,6). Ma ha trovato un netto rifiuto da parte dei suoi (Mt 23,37; Gv 1,10-11; 12,37).


                                                                                                                                                        Giovanni Lonardi


NOTE

1La preghiera, sorta intorno al VII sec.,erede di antiche formule simili, già esistenti molti secoli prima, probabilmente nate in risposta alla dodicesima maledizione (Birkat ha minim), che gli ebrei formularono intorno all'anno 80 d.C. contro il nascente cristianesimo, fu soppressa nel 1959 da Giovanni XXIII e poi scomparve definitivamente con la riforma liturgica postconciliare. Nel 1970 venne sostituita da Paolo VI con la seguente formula: “Il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza. Dio Onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della Redenzione”. Il testo della precedente preghiera, certamente meno aperta al dialogo, era il seguente: “Preghiamo anche per i perfidi Giudei, affinché Dio e Signore nostro tolga il velo dai loro cuori e anch'essi riconoscano Gesù Cristo, nostro Signore. O Dio, onnipotente ed eterno, che non respingi dalla tua misericordia neppure la perfidia dei Giudei, esaudisci le nostre preghiere, che ti presentiamo per l'accecamento di quel popolo, affinché conosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre” .

2Le Lettere di Paolo, quelle a lui attribuite, furono scritte tutte tra il 50 e il 58 d.C. di gran lunga molto prima che nascesse il primo vangelo, quello di Marco, datato intorno all'anno 69 e, comunque, prima del 70 d.C.

3Cfr. 2Cor 11,4-5..22-23; 12,11; Gal 1,6-9; 3,1.

4Cfr. Mt 12,1-8.10-12; Mc 2,23-28; 3,1-5; Lc 6,1-5.6-10; 13,10-14; 14,1-4; Gv 5,10-11; 7,23; 9,14.16;

5Cfr. Mt 9,14-15; Mc 2,18-19; Lc 5,33-34;

6Cfr. Mt 15,1-2.11.20; 23,25; Mc 7,2-5.15; Lc 11,39-41;

7Cfr. Mt 7,29; 23; Mc 1,22.27; Lc 4,32;

8Cfr. Mt 16,20; 22,42; 23,10; 26,63-64; Mc 14,61-62; 22,67-70; 23,2; Gv 10,24-25;

9Cfr. Mt 26,63-64; Mc 14,62; Lc 22,70; Gv 5,18; 8,28; 10,33.36; 19,7;

10Cfr. Mt 15,9; Mc 7,7.

11Cfr. Mt 9,6; 13,41-43;16,27.28; 19,28; 24,27.30; 25,31; 26,64; Mc 2,10; 13,26; 14,62; Lc17,24; 21,27; 22,69; Gv 5,27; Gv 9,39;

12Mt 5, 17-18.21-48;

13Mt 19,3-9; Lc 16,18;

14Cfr. Gv 8,3-11;

15Cfr. Mt 9,9-13; 18,11; Mc 2,17; Lc 5,32; 15,1-2.11-32; 18,10-14; 19,10;

16Cfr. Lc 7,37-48;

17Cfr. Mt 21,31-32;

18Cfr. Mt 26,61; Mc 14,58; Gv 2,19

19Cfr. Gv 4,27;

20Cfr. Mt 15,17;16,9.11; 19,11; Mc 4,13; 6,52; 7,18; 8,21; 9,32; Lc 2,50; 9,45; 18,34; Gv 8,27.43; 10,6; 12,16; 16,18;

21Cfr. Gv 6,51-56

22Cfr. Mt 8,1.18; 13,2; 14,13.14; 15,30; 20,29; 21,8; Mc 2,13; 3,8-9; 3,20; 4,1; 5,24; Lc 5,2.19; 6,17;

23Cfr. Mt 9,8.33; 12,23; 15,31; 22,33; Mc 1,22; 2,12; 5,20; 6,2.51; 9,15; 12,37b; 6,19; Lc 5,15.26; 8,25.40; 9,43; 11,14.27; 13,17; Gv 7,15.21.31;

24Cfr. Gv 6,15.

25Cfr. Mt 21,26.45; Mc 11,18.32; 12,12; Lc 20,19; 22,2;

26Sulla questione cfr. “Il racconto di Matteo” al titolo “Maria, donna di fede?”

27Cfr. Mc 3,21.31; Lc 2,19.50-51; Gv 7,5;

28Cfr. Gv 6,60.66

29Cfr. Mt 26,47-49; 26,56b.69-75; Lc 24,21; 20,10.

30Cfr. Mt 28,17b; Lc 24,11.36-38;

31 L'amministrazione di Pilato fu segnata da diversi episodi, che lo videro protagonista di imprudenze, provocazioni, crudeli e spesso cruenti repressioni, che Flavio Giuseppe ci ha testimoniato nelle sue opere "Antichità Giudaiche" e "Guerra Giudaica". Egli ricorda l'episodio dei "ritratti raffiguranti l'imperatore", introdotti nottetempo in Gerusalemme. Il fatto provocò una forte contestazione da parte dei giudei, durata cinque giorni e che poco mancò si concludesse in un bagno di sangue, evitato per la fierezza degli stessi giudei, mostratisi pronti a morire pur di ottenere il proprio riscatto. Pilato, alla fine, cedette e ritirò le immagini profanatrici. L'episodio successivo narra di Pilato che per finanziare la costruzione di un acquedotto prelevò denaro dal tesoro del tempio, provocando una rivolta dei giudei. Pilato diede ordine ai suoi soldati di mimetizzarsi tra la folla tumultuante e, ad un segnale convenuto, cominciarono a bastonare i rivoltosi, provocando un parapiglia generale con molti morti al seguito. Ad onor del vero, però, va detto che quell'acquedotto serviva prevalentemente a portare l'acqua al Tempio, particolare, questo, che viene taciuto da Flavio Giuseppe. Altro episodio, riportatoci da Filone, fu l'affissione di scudi nel palazzo di Erode, in Gerusalemme. Su questi  Pilato aveva fatto incidere il suo nome e quello dell'imperatore, con riferimento alla sua divinità, provocando uno scandalo tra i giudei. Lo stesso Luca nel suo vangelo ci riporta, molto sinteticamente, un episodio sulla crudeltà di Pilato, sconosciuto alle fonti profane: "In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici". Un tale comportamento denota da parte di Pilato non solo crudeltà nei confronti di persone civili inermi, ma anche uno spregio nei confronti del culto ebraico e una profanazione del Tempio stesso. Un ultimo episodio, avvenuto nel 35, riportatoci sempre da Giuseppe Flavio e che costò, questa volta, il posto a Pilato, fu il massacro dei Samaritani sul monte Garizim. I Samaritani denunciarono i fatti al legato di Siria Vitellio, da cui Pilato dipendeva. Vitellio, per non inimicarsi i Samaritani, ritenuti fedeli amici dei romani, destituì Pilato e lo inviò a Roma per rendere conto direttamente a Tiberio del suo operato. Al suo posto venne messo Marcello, amico fidato di Vitellio. - Per gli episodi qui riportati cfr. Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, Libro II, §§ 169-174. 175-177; Filone d'Alessandria, Legatio ad Gaium, §§ 299-305; Lc 13,1.

32Cfr. Mt 21,8-11; Mc 11,7-10; Lc 19-37-38; Gv 12,12-13.

33Cfr. Mt 27,18; Mc 15,10

34Con questa presentazione del Gesù storico non ho inteso esaurirne lo studio. Qui mi sono limitato a qualche accenno molto superficiale e incompleto, finalizzato a dare soltanto una pallida idea di chi potesse essere Gesù, spogliato dal suo rivestimento teologico e dottrinale, imbastito in circa venti secoli di fede; e quali problemi potessero avere, per contro, le autorità giudaiche del tempo nei suoi confronti. Del resto se Gesù è andato a finire sulla croce, con il benestare di Roma, non fu per semplici questioni di gelosia o di invidia, ma perché, dal punto di vista delle autorità giudaiche, dava dei seri problemi sia a livello religioso che sociale.

35Cfr. Mt 6,5-6; 14,23; 26,36.39; Mc 1,35; 6,46; 14,32.35; Lc 5,16; 9,18.28; 11,1;